Sono dalla parte di Emmanuel Macron: giù le mani da gennaio. Il presidente francese si oppone alla cosiddetta “défi de janvier”, la sfida (un po’ social) di gennaio che altro non è che la versione transalpina del “dry january”, il mese senza alcol, a sua volta costola liquida del “veganuary”. L’inquilino dell’Eliseo più volte ha tenuto a farci sapere che lui beve vino a pranzo e a cena, e non ha nessuna intenzione di rinunciarci per sostenere con il suo governo – come richiedono 45 medici firmatari di una lettera - una campagna che propugna l’astensione dai piaceri di Bacco per il mese che succede agli eccessi natalizi, come primo passo verso una sensibilizzazione ai danni del bere troppo. Chi vuole metta in tavola solo il bicchiere per l’acqua, ma non in nome dello Stato, anzi dell’État.
Macron sostiene che i Francesi non hanno bisogno di essere rieducati, già hanno un rapporto colto e consapevole con l’alcol, e l’idea di un ramadan invernale non lo convince. Certo, lo accusano di essere in combutta con la lobby dei viticoltori e dei produttori di alcol, un’industria da 500mila posti di lavoro in Francia, ma io penso che davvero sia una posizione personale.
Ognuno governa regole ed eccezioni
Io non siedo all’Eliseo, a mala pena mi isso sul bancone di un bar, ma certe proibizioni non so, mi mettono sete. Che senso ha privarmi di un Pinot Noir o di un Nebbiolo nel più lugubre dei mesi? Scherziamo? Io personalmente non indulgo a gozzoviglie trimalcioniane durante le feste, non è che se vedo in giro un pandoro non so resistere, tanto più che ora penso alla Ferragni e mi passa la fame, non è che passo due settimane a ingollare fichi secchi e struffoli.
Eppure così ci ritraggono i servizi dei tg sotto Natale: una folla di persone che per due settimane si abboffano senza ritegno giocando a tombola e a mercante in fiera, che si stordiscono di calorie e di grassi saturi al punto da non distinguere più lo zio Armando dal cugino Piero e la cognata magra da un attaccapanni. No, io governo le mie regole e le mie eccezioni, amministro gli istinti e le gioie e non voglio essere trattato come un bambino che ha messo tre dita nella Nutella e deve essere punito. E rivendico il diritto di considerare gennaio, già così angosciante e freddo, come un mese qualsiasi, che ha bisogno delle sue piccole felicità senza riti purificatori di massa.
Quindi non toccatemi il mio bicchiere buono a fine di una giornata di lavoro, non mi intruppo nelle legioni dei salutisti a mesi alterni, non seguo le mode e le trovo pure un po’ stupide. E no, nessuna lobby mi paga, forse perché non hanno il mio iban.
Lo Stato paternalista
Che poi a me lo Stato che tratta da smidollati i suoi cittadini (stavo per scrivere: sudditi) mi fa pure un po’ paura. Il paternalismo come forma di governo non ha mai funzionato. Non siamo un solo corpo, non abbiamo un solo grande fegato, siamo una somma di individualità e di volontà, ognuno fa quel che meglio crede quando si tratta di vizi e di piaceri e il bere non è materia che si può regolamentare dall’alto, non è un articolo della Costituzione (anche se lo meriterebbe). Non quando si parla di un bicchiere di vino assunto da un adulto consenziente, magari il discorso può cambiare per il junk drink sgargarozzato da un adolescente. Altrimenti che cosa ci aspetta? Un novembre senza hamburger? Un maggio di tisane per decreto? Un luglio decarboidratizzato?
No, l’unhappy hour non ci piace: a gennaio di dry voglio solo un Martini.