Se c'è un accessorio che non può mancare ormai in un’automobile è il portabevande. Un optional diventato irrinunciabile nelle vetture a partire dagli anni Ottanta. Il mercato automobilistico dell’epoca ne ha fatto addirittura un dettaglio qualificante per le vendite. Ma come spiegare un simile appeal per un oggetto che ha poco a che fare con la guida? La domanda può sembrare retorica, la risposta molto meno: è l'effetto del drive-through (o drive-thru), letteralmente “guidare attraverso”, il servizio di cibo d’asporto, tutto made in USA, riservato storicamente agli automobilisti dalle catene di fast food. Un format risultato nel tempo talmente popolare da divenire parte integrante della cultura nazionale. Così rilevante da incidere appunto sull’interior design delle macchine. Eppure, dagli anni Duemila fino alla pandemia, il drive-through ha attraversato una fase di declino. Oggi è invece tornato in auge come soluzione perfetta per chi desidera ordinare in meno di 25 secondi; o ideale per chi vuole essere antisociale.
Una fermata che porta all'isolamento collettivo
Ordinare il cibo dal finestrino di un’auto rappresenta l’acquisto tipo dei fast food statunitensi. Secondo il Revenue Management Solutions, contribuisce a ben due terzi del profitto delle aziende del comparto a stelle e strisce. È un dato sorprendente, soprattutto se raffrontato al calo generale dei consumi registrato nel settore a partire dal 2019. L'arrivo del Covid-19 ha messo a dura prova la predisposizione delle persone a socializzare, i continui lockdown e le regole sul distanziamento hanno reso più distanti parenti, amici e colleghi. Ma non è solo la pandemia la causa dell'allontanamento, anche i social network come TikTok e Instagram hanno contribuito al distanziamento sociale e a creare una dimensione collettiva artefatta. Il modello dei drive-through risponde perfettamente a questa insofferenza. Sempre meno persone sono disposte a entrare in relazione con gli estranei preferendo sentirsi sicure e protette, fisicamente e psicologicamente, a casa o all’interno del loro veicolo. I drive quindi sono l’opzione perfetta.
La svolta tecnologica
Tuttavia, il rinnovato successo della proposta drive-through non è riconducibile solo all’esigenza americana di isolamento e solitudine, ma anche di velocità. I colossi del junk food negli ultimi anni hanno investito corposamente tanto nel drive quanto nella sua innovazione. Una rivoluzione tech, in un certo senso imposta dalla fase pandemica, ma che di fatto ha reso il servizio più snello e rapido. Perfettamente in sintonia con la generazione Z, affascinata dagli acquisti veloci. McDonald’s nel 2019 ha acquisito la società Dynamic Yield, cioè quel know-how A.I (intelligenza artificiale) che ha consentito di fornire anche menù digitali in grado di personalizzare l’ordine del cliente in base al tempo e al flusso delle autovetture. Per cui, se fa caldo, il software tende a dare priorità sul display degli ordini al gelato.
Tra i cambiamenti più significativi agevolati dai sistemi tech, ci sono quelli correlati ai tempi d’attesa e servizio: i tempi di attesa dei drive-through si sono decisamente accorciati. Per rendere l’idea, per chi ordina tramite app da Chipotlane, formula d’asporto della catena di cibo messicano, il tempo di consegna sarà di soli 11 secondi. Ma ordine e pagamento devono avvenire prima, tramite la app. Secondo alcuni manager, tra cui Jack Hartung, CFO di Chipotle, queste due operazioni le più "critiche", ovvero responsabili di code e traffico presso gli sportelli. In ogni caso, per coloro che non adottano la pratica di anticipare l'ordine, il tempo medio di attesa non è mai superiore ai due minuti e mezzo.
Il drive del futuro (è solo in macchina)
La trasformazione in corso sta pian piano investendo anche il rapporto con il pubblico; in nome delle più recenti strategie aziendali, le sale di una volta sono destinate a scomparire: quando non sono compresse nella metratura, vengono del tutto sostituite da un sistema di corsie preferenziali che porta le auto fino agli sportelli. Esemplare in tal senso Defy, l'avveniristico drive-through poco fuori Minneapolis della catena Taco Bell: non dispone di alcuna sala da pranzo, ma solo di corsie di passaggio. Lo stabilimento dal colonnato viola brillante sembra volerci dire che il futuro in realtà è già qui: serve a ritmi supersonici gli autisti con un sistema di tubi di plastica che come ascensori trasportano il cibo dal piano superiore (dove si trova la cucina) a quello inferiore (riservato al ritiro). Emblematico di questo nuovo concept futuristico anche il drive-thru di McDonalds a Fort Worth in Texas, senza sale interne e solo con la possibilità di ordinare da asporto.
Una formula d’interazione con la clientela che ha ispirato in egual misura lo spin-off della catena di fast food più famosa al mondo: CosMc’s. Pensato esclusivamente come drive-through, l’ultimo esperimento di McDonald’s nel mondo del “soft beverage” e del coffee riduce infatti al minimo il rapporto con il pubblico; nella sede inaugurata il 7 dicembre a Bolingbrook in Illinois, non c’è traccia della classica caffetteria d’oltreoceano, intesa come luogo fisico in cui poter sorseggiare il proprio caffè, in compagnia, magari davanti a un bel libro o mentre si lavora al computer. Semplicemente quattro corsie di percorrenza auto che conducono a tre sportelli presso cui ritirare anche delle stravaganti bevande zuccherate, così come alcuni assaggi dell’universo Ronald McDonald. Insomma, chiunque voglia ordinare da CosMc’s dovrà farlo dalla propria macchina. Come altri drive-thru, questo format senza patatine e hamburger contempla soltanto il pit-stop.
La storia del cibo da asporto in auto
Il drive-thru risale a molto tempo fa. Il primo poi offriva (sorpresa) un servizio bancario. Nel lontano 1930 la Grand National Bank di St. Louis nel Missouri offriva un servizio pioneristico alla propria clientela, ovvero i depositi potevano essere passati direttamente dalle auto, così da evitare furti in strada. Nel mondo della ristorazione, invece, gli antesignani del servizio sono stati i drive-in che prevedevano la sosta e il servizio direttamente in macchina, dove gli automobilisti potevano consumare il pasto in apposite aree piene di camerieri sfreccianti sui pattini (carhops). A dare inizio alle danze nel 1921 è stato il Kirby’s Pig Stand di Dallas, a cui si deve probabilmente l'usanza di mangiare in auto (e di sporcarla). Pochi decenni dopo, fa la sua comparsa la formula drive-through. Ancora al suo stato embrionale, ovvero gestita da piccole catene, se non a conduzione familiare. Passato alla storia il Red’s Giant Hamburg aperto nel 1947 sulla celebre Route 66.
Questo tipo d'asporto si è diffuso però in tutto il territorio diventando mainstream solo a partire dagli anni Settanta, periodo in cui il format ha rimpiazzato in via definitiva il suo antesignano.
Fast food vs. City Council
All’inizio del secolo poi il drive-through si è dovuto scontrare con i prodromi di una società più consapevole e informata; più sensibile a problemi come l’obesità e l'inquinamento. Tanto che negli anni successivi, diversi consigli comunali (a partire da quello di Los Angeles del 2008) hanno vietato il format per limitare le emissioni di CO2, migliorare la sicurezza pedonale, ridurre i rifiuti e frenare i consumi da cibo spazzatura. Tanto per dire, ad un certo punto, i casi giudiziari di risarcimento di pedoni lesi in corrispondenza dei drive sono diventati così numerosi che alcune law firm americane hanno deciso di farne la propria attività esclusiva.
Minaccia sventata
Il servizio sta mostrando una longevità impressionante. Sulla lunga distanza neanche il segmento del delivery è riuscito a scalfirne la fortuna. Le aziende, minacciate inizialmente da servizi di consegna a domicilio per la richiesta di una percentuale su ogni ordine (almeno il 15%), sono riuscite a ricalibrare i propri profitti garantendo una qualità maggiore a fronte di un aumento dei prezzi. Con il risultato che società come Uber Eats da problema si sono trasformate in risorsa: a tutti gli effetti un veicolo per raggiungere quella platea che con il virus aveva smesso di uscire.
L'altra faccia degli Stati Uniti
Una formula che racconta purtroppo anche storie di disagio sociale. Ne fa accenno con un ritratto verosimile lo scrittore Adam Chandler: “Non sono solo ristoranti. Sono istituzioni nazionali, incarnazioni stradali del meglio e del peggio dell’America”. Parole che alludono alla quotidianità surreale dei drive: scene incredibili di violenza riconducibili ora all'insoddisfazione degli avventori ora alla frustrazione del personale. Eclatante il caso del 2021, con protagonista una dipendente del Jack in the Box di Houston che in seguito a una lite con un cliente spara alcuni colpi di pistola contro la sua vettura.
In quali paesi può avere fortuna?
Highway estese e parcheggi ampi, visione autocentrica e bassa densità di popolazione sono tutte condizioni che favoriscono il perpetrarsi della cultura drive-through. Di qui, funziona negli Stati Uniti, in Australia, oppure negli Emirati Arabi Uniti. Al contrario, non riesce a farsi spazio in Asia nonostante nel continente il cibo d’asporto sia popolare (in Giappone il drive copre solo 1/5 dell’offerta fast food). Difficile infatti che attecchisca laddove si riscontri un’alta concentrazione demografica e uno stile di vita slegato dall’uso quotidiano della macchina. Una proiezione che diversamente fa della penisola italiana un'ottima candidata.
Prospettiva italiana
In Italia, il drive-through esiste da almeno 27 anni. A inaugurare nel 1996 la storia nostrana di questa ristorazione “di passaggio” il McDrive romano della Magliana. Una proposta che nel tempo ha funzionato. Ma solo con la pandemia la formula drive-thru ha avuto uno slancio considerevole venendo rispolverata (nell’ottica del distanziamento sociale all'aperto) persino dal servizio sanitario nazionale per eseguire tamponi o somministrare vaccini. Nello stesso periodo, a Treviso c’è chi ha addirittura pensato al drive quale soluzione per celebrare le nozze.
Ad ogni modo, secondo i dati forniti da McDonald’s Italia, dal 2020 al 2023 i numeri sono cresciuti sensibilmente: i 450 sportelli sono passati dal servire circa 34 milioni di auto all’anno sino ai 54 attuali. Una media che non può essere trascurata e che in proporzione non è lontanissima dalle percentuali di paesi in cui l’esperienza è diventata consuetudine. Cifre che, se confermate negli anni a venire, potrebbero indicare una svolta epocale: il tramonto della convivialità; la fine dell’uomo aristotelico come animale sociale.