Come si diventa il migliore bar d’Italia in soli sei anni, che poi sono cinque perché uno è stato sbianchettato dalla pandemia? Citofonare Patrick Pistolesi, 46 anni e quindi quasi un anziano nel mondo in perenne evoluzione della mixology. E’ lui il corpo e l’anima di Drink Kong, il locale nel rione Monti a Roma che per il quarto anno consecutivo è risultato il migliore cocktail bar d’Italia nella lista dei World’s 50th Best Bars. L’ultima volta in cui non ebbe questo primato fu nel 2020, nell’anno del Covid, quando lo sopravanzò lo speakeasy 1930 di Milano. In pratica con il ritorno alla normalità il gorilla di Pistolesi ha preso in mano per non mollarlo più il timone del movimento italiano del bere miscelato, che per la verità ha molte domande da porsi, visto che Drink Kong è al 33esimo posto nella classifica.
Uno e bino
Come si diventa il migliore bar d’Italia, dunque? Intanto ci vuole un progetto coerente. Drink Kong è nato già grande, quando aprì nell’estate 2018 Pistolesi aveva già in mente un locale che si sarebbe distinto nel panorama romano della miscelazione, e vabbè che lo dicono tutti ma lui, che è italo-irlandese e quindi immune da certi languori provinciale e aperto alla contaminazione ha mantenuto le promesse. Prima di sbarcare a Monti aveva già detto qualcosa in questo mondo, come ad esempio il primo bar dedicato solo al gin, il Gin Corner all’hotel Adriano. Certo, qualche correzione in corsa è stata fatta: il primo Drink Kong era più caotico e caciarone, un luogo dove la gente entrava e usciva con pochi filtri, in cui la musica era sempre protagonista, una fiesta mobile che poteva respingere i veri appassionati. Ora DK è un bar maturo, dove è opportuno prenotare e dove chi vuole può dedicare ogni attenzione a quello che c’è nel bicchiere. E comunque chi vuole provare un’esperienza ancora più intima può aprire una porta quasi segreta e sbucare nell’antro elegantissimo del Nite Kong, non un privé, si badi, ma una vera insegna a parte, con una sua carta più opulenta.
Mi sono chiesto quali siano i fattori che fanno di Drink Kong un’eccellenza romana e italiana e sono giunto a individuarne sette.
Uno: la qualità
Il primo ha a che fare, naturalmente, con la qualità dei drink, che sono equilibrati come pochi altri abbia potuto assaggiare in Italia. Qualche esempio; il Paradox è un Negroni bianco con Hendrick’s Gin, Mancino Bianco Ambrato, Luxardo bitter bianco, cordiale al pompelmo, alloro e un ingrediente romanissimo come la cicoria. Il Canova conta sull’acidità dell’aceto per compensare la morbidezza del timo, del rosmarino, del basilico e del cordiale alle olive nere, con la parte alcolica sostenuta dal gin Ford’s. Il Ga-Ri-Bowl-Dee riesce nell’impresa di unire classicismo e rivoluzione in marsina. I mille saranno orgogliosi.
Due: la linearità
Secondo: la inearità
Il secondo fattore è la linearità. Nessun decoratore di interni è stato sacrificato per realizzare ciascun drink, che viene presentato al cliente in assoluta semplicità, senza decorazioni: solo bicchiere, ghiaccio e drink. Che altro serve? L’unica concessione è una scorza di limone nel gin tonic, ma in quel caso non di decorazione si tratta.
Tre: proposta "lunga"
Il terzo fattore è la drink list. La scelta di Pistolesi è cambiarla solo ogni due anni, ciò che reca stabilità e orizzonte e trasforma il momento della new release in un evento. La lista è molto ampia, in modo che anche i visitatori abituali abbiano la possibilità di esplorarla tutta senza annoiarsi, e comunque dopo all’incirca un anno c’è una sorta di aggiornamento del sistema con la versione 2.0 che apporta qualche vivificante correzione di assetto. In sei anni Drink Kong ha cambiato tre drink list: la prima, dall’apertura, fu Reflections (1.0 e 2.0), la seconda, nel 2021, New Humans (1.0 e 2.0). E ora c’è Perimetro e Forma, nella versione 2.0. In ogni carta vengono comunque conservati alcuni drink delle carte precedenti a creare uno storico.
Quattro: chiarezza
Il quarto fattore è un’informazione chiara e geometrica di quello che il drink lover può attendersi dal suo bicchiere, e questo al netto del dialogo con il barista che non può mai essere trascurato. Nell’ultimo menu ogni drink è sintetizzato in un quadrato nel quale l’intensità dei vari sapori (dolce, acido, amaro e il King Factor di cui parleremo dopo) viene graficizzato in un poligono sempre diverso, così che ognuno possa facilmente orientarsi nella scelta e cercare la propria geometria esistenziale.
Cinque: Kong Factor
Il quinto fattore è appunto il Kong Factor, quel tocco di unicità difficilmente riassumibile altrimenti che deriva dallo spirito innovativo e avanguardista di Pistolesi. Bisogna fidarsi. E in molti lo fanno, a giudicare dai risultati.
Sei: versatilità
Il sesto fattore è che in piazza Madonna dei Monti ognuno sa fare tutto. I ragazzi che mi hanno servito nell’ultima mia visita trascorsa arrampicato sul bancone mi raccontavano che tutti ruotano tra il laboratorio, la preparazione e il servizio, ciò che fa sì che il locale non dipenda dal talento di una persona in particolare e quindi non ci sono cedimenti nella qualità della proposta.
Sette: il cibo
Il settimo è una ottima proposta food, superiore al livello medio dei cocktail bar ma pur sempre al servizio del bere: il canovaccio è orientale (del resto da DK si respira il Giappone sin dall’ingresso) ma si lascia volentieri contaminare da link mondialisti e localisti. Bevi come mangi.