C’è una relazione tra il mood prevalente di un Paese e la sua alimentazione? Io ho sempre pensato di sì, anche per la smodata importanza che attribuisco al cibo nella vita (anche voi, altrimenti non mi stareste leggendo su questa rivista al cibo dedicata), ma non riuscivo a mettere insieme i pezzi, a trovare un nesso causale.
Dittatura della Carbocrema
In questi ultimi tempi forse ho trovato una correlazione, non scientifica ma interessante, che chiamerò l’Indice Carbocrema, IC: tanto più un Paese è in crisi e si percepisce in declino, tanto più i suoi abitanti prediligeranno un’alimentazione basata su un confort food inutilmente cremoso e pesante, da minuscole consolazioni e spropositati grassi, la carbocrema appunto.
Sul declino e la sua percezione non ci sono dubbi, lo ha scolpito a inizio dicembre il rapporto Censis 2023, che recita: “Intrappolati nel mercato dell’emotività: per l’80% degli italiani il paese è in declino, per il 69% più danni che benefici dalla globalizzazione, e adesso il 60% ha paura che scoppierà una guerra mondiale e secondo il 50% non saremo in grado di difenderci militarmente. Ripiegati nel tempo dei desideri minori: non più alla conquista dell’agiatezza, ma alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano”.
L'invasione delle mangerie
Un benessere quotidiano piccolo piccolo che, nella rappresentazione social del food porn onnipresente, ma anche nell’offerta delle mangerie che hanno occupato i centri storici, prende la forma di piatti “ipercremosi”, tanti, abbondanti, che alterano gli esami del sangue solo a guardarli. Piatti che ostentano quanto sono abbondanti, ottundenti (le coronarie e i sensi), porcelli più che buoni, perché servono a tranquillizzare e ostentare tranquillità. Abbiamo vissuto un Natale tamarro, simboleggiato dall’orribile albero di scatole Gucci in Galleria a Milano: l’accordo dello spartito estetico lo danno i trapper, poveri o ex o presunti tali che devono ostentare che ce l’hanno fatta, con loghi sempre più assurdamente grandi ed evidenti, che rendono ogni capo imbarazzante per chi abbia un’estetica evoluta.
Il "poveraccismo" a tavola
Questo poveraccismo a tavola, il ritorno di Remo e Augusta de Le vacanze intelligenti di Alberto Sordi, proletari che si strafogano mentre attorno a loro tutti i ricchi e colti mangiano sobriamente, prende le forme di una nuova abbondanza cafona, roba così così ma in quantità che non ci si crede e a prezzi bassi, facile per stomaci regrediti all’infanzia e alla povertà, come ho scritto a proposito dell’invasione della cucina romanesca a Milano. La tecnica di cucina che più rende l’idea di questa epoca di desideri minori è la ormai onnipresente risottatura della pasta, ormai la nuova panna per quanto è indiscriminata e paracula. Manca solo il ritorno di un grande classico: i tortellini panna, prosciutto e povertà.
Meno ma (molto) meglio
Essendo entrati nel nuovo anno, ci vuole un po’ di speranza, almeno un buon proposito e allora facciamolo: reagiamo alla tamarraggine e alle passioni tristi mangiando magari un po’ meno, ma molto, molto meglio; limitiamo creme e risottature, che si chiama pasta asciutta (non colla, ma asciutta) per una ragione; estendiamo la sobrietà a tutto il resto.
Ce la faremo, penso di no, ma almeno ci abbiamo provato.