"Entrare in una sala da pranzo quattro stelle come quella di Jean-Georges significa entrare in un mondo di perfezione. Ma negli angoli oscuri, nascosti agli occhi degli ospiti, si cela il suo lato crudele e sordido." Così scrive Hannah Selinger sul The Guardian, in un lungo e personale racconto sulla sua esperienza nei ristoranti d’élite.
Jean-Georges, ristorante quattro stelle incastonato nel Trump International Hotel a Columbus Circle, è un luogo dove ogni gesto del personale è regolato con disciplina quasi militare: niente smalto colorato, niente posture rilassate, nessuna distrazione. Il servizio deve essere impeccabile, il tono di voce un sussurro, l’errore non è contemplato. Selinger descrive un mondo ovattato e maniacale, dove l’ossessione per il dettaglio sfocia in un controllo totale dell’ambiente e delle persone.
Dietro l’austerità della sala e la raffinatezza dei piatti, però, si nasconde un universo fatto di pressioni estreme e dinamiche di potere che possono sfuggire di mano. È in questo contesto che avviene il suo incontro con Johnny Iuzzini, celebre pastry chef, noto per il suo talento e per il suo atteggiamento da rockstar. Iuzzini è un nome di punta della pasticceria americana: nel 2003, a soli 29 anni, ha già vinto il prestigioso James Beard Award, pubblicato libri e guadagnato la fama di innovatore nel settore. Ma dietro la sua immagine da genio ribelle, c’è un lato più oscuro.
Selinger racconta di quando, ancora giovane sommelier in prova, venne invitata da Iuzzini a raggiungerlo nel suo appartamento dopo il lavoro. Ciò che sembrava un normale incontro tra colleghi si trasformò in un’esperienza inquietante: mentre erano a letto, lo chef iniziò a filmarla senza il suo consenso e, quando lei gli chiese di smettere, lui le suggerì di coprirsi il volto con un cuscino. Una richiesta gelida e impersonale, che trasformò quel momento in qualcosa di profondamente disturbante.
Il giorno dopo, quando Selinger confidò a un collega di essere stata in un club con Iuzzini, lui reagì con rabbia: “Non dovevi dirlo a nessuno”, le disse nel seminterrato del ristorante, un labirinto nascosto ai clienti dove si trovavano la pasticceria, la cucina di preparazione e gli spogliatoi. Fu allora che l’autrice realizzò l’asimmetria di potere che aveva vissuto: era lei ad aver sbagliato, o così doveva credere.
Anni dopo, nel 2017, quattro donne hanno accusato Iuzzini di molestie sessuali sul lavoro, rivelando un pattern di comportamenti abusivi che il mondo della ristorazione – spesso chiuso e reticente a denunciare i suoi protagonisti – aveva a lungo ignorato. Selinger si chiede quante altre donne abbiano vissuto esperienze simili e quante non abbiano mai parlato.
Ma oltre alla vicenda personale, il suo articolo mette in discussione il sistema stesso del fine dining, un ambiente in cui l’autorità dello chef è assoluta, la pressione è costante e i confini tra vita privata e professionale spesso si dissolvono. “Non era solo me,” scrive Selinger. “Era ogni ragazza. Ogni donna.”
Le sue parole si inseriscono in un dibattito più ampio che sta finalmente emergendo nel settore della ristorazione. Non è un caso isolato, ma parte di un sistema che per troppo tempo ha normalizzato sessismo, molestie e abusi di potere nelle cucine di alto livello. Come abbiamo già raccontato, le donne in cucina continuano a denunciare un ambiente tossico, fatto di avances indesiderate, discriminazioni e silenzi. Il problema non è solo la presenza di figure come Iuzzini, ma una cultura che ha sempre chiuso un occhio, giustificando certi comportamenti con il mito del “genio incompreso” o del “carattere difficile” dello chef.
Rompere il silenzio non è mai facile, ma è il primo passo per scardinare un sistema che ancora oggi protegge i potenti e scarica il peso della vergogna sulle vittime. Perché, come scrive Selinger, queste storie non riguardano un singolo chef, ma tutte le donne.