Radici Future: è racchiusa in quest’ossimoro la filosofia di Nuvola Lavazza, il grandioso complesso inaugurato oggi a Torino. Una storia di famiglia che attinge alla memoria per guardare avanti, e certo Lavazza di strada ne ha fatta molta, da quel 1895 - quando Luigi Lavazza aprì la sua drogheria-torrefazione in via San Tommaso 10, nel cuore della vecchia Torino - ai 2 miliardi di fatturato del 2017. Oggi a raccontare una storia lunga 120 anni c’era tutta la famiglia, arrivata ormai alla quarta generazione con i vicepresidenti Marco e Giuseppe Lavazza, mentre già la quinta sta facendosi le ossa. Ed è un caso assai raro che un’azienda di queste dimensioni abbia continuato ad essere gestita sempre dalla stessa famiglia e ad avere il suo quartier generale a Torino, ribadendo l’importanza di quei valori di continuità che sono un po’ il punto di forza di Lavazza. Si spiega così la volontà di creare proprio a Torino, 8 anni di lavori e 120 milioni di euro di investimento, un centro pulsante, una piattaforma aperta al mondo che mette in contatto la città dove tutto è cominciato con i 90 Paesi in cui oggi Lavazza è presente.
foto di Andrea Guermani
Un intervento di rigenerazione urbana aperto alla città
Dove siamo, innanzitutto: quartiere Aurora, poco più di 1 km da via San Tommaso 10. Un’ex area industriale dismessa, recuperata dall’architetto Cino Zucchi e restituita alla città. Già perché la Nuvola Lavazza non è soltanto un edificio avveniristico sede degli uffici, ma è una piazza aperta alla città, un museo (dell’azienda e del caffè, con le icone Carmencita e Caballero), uno spazio eventi che può accogliere oltre 1000 persone, una basilica paleocristiana apparsa per caso durante i lavori e ora visibile anche dall’esterno, una sede dello IAAD, Istituto di Arte Applicata e Design, un giardino, un bistrot accessibile a tutti, un ristorante dal nome emblematico di Condividere. Insomma, un intervento urbanistico totale di rigenerazione - questo è il secolo della rigenerazione e della città ecologica, ha sottolineato Zucchi- che ridisegna un intero quartiere. Nel segno della condivisione (la parola più citata oggi, in fondo tutto nasce al caffè e che cos’è una tazzina di caffè se non la celebrazione del piacere di stare insieme?) e della sostenibilità (ha già ottenuto la certificazione LEED Platinum, il livello più alto). L’apertura alla città è il dato più significativo, una chiave di lettura che accomuna un po’ tutti i più recenti interventi di rigenerazione urbana a Torino, dalle OGR, le Officine Grandi Ripazioni, a EDIT al Grattacielo Intesa Sanpaolo di Renzo Piano. Interventi dove la ristorazione come momento di piacere e di condivisione è un elemento di forza.
foto di Michele Nastasi
Condividere: una nuova filosofia
Alla Nuvola la parola d’ordine è condivisione: di progetti, di idee, di cultura, e anche di cibo. Gli spazi food della Nuvola Lavazza non sono un’aggiunta modaiola: sono parte integrante del progetto. Già operativo il Bistrot, uno spazio innovativo di ristorazione collettiva, che è insieme mensa per i dipendenti e bistrot per gli esterni, ispirato alla filosofia Slow Food, che punta al cibo di qualità come motore di socialità, con menu divisi in tre “isole-ristoranti”: ¡Tierra! per la cucina green e salutistica, San Tommaso 10 per lo street food italiano, Murisengo per i piatti della tradizione nazionale e piemontese. Solo a pranzo, prezzi easy (scontrino medio 7€).
Ma la grande novità, attesissima, è l’apertura, l’8 giugno prossimo, di Condividere, il ristorante allestito dal premio Oscar Dante Ferretti che ne ha fatto una perfetta scenografia, vagamente barocca e onirica, quasi da set cinematografico, giocata sul tema del tempo. Il progetto è di Ferran Adrià (è lui ad aver voluto Ferretti e prossimamente gli piacerebbe lavorare a un ristorante insieme a un regista), legato alla famiglia Lavazza da una lunga amicizia (vi ricordate l’e-spesso?). La sua, tiene a precisare, non è stata una consulenza (“nelle consulenze manca l’anima”), piuttosto la creazione insieme di un nuovo format, un progetto che potrebbe diventare un modello per il futuro, per consentire a giovani chef di realizzare il proprio progetto di ristorazione.
Spieghiamo: il giovane (relativamente, è nato nel 1975) chef in questione è il modenese Federico Zanasi, un bel curriculum (anche con Moreno Cedroni), scelto proprio da Lavazza e da Adrià per guidare un ristorante che da solo non avrebbe avuto la forza economica per avviare (sono 700mq). Il modello virtuoso potrebbe essere proprio questo: una grande azienda che si assume l’onere di aprire un ristorante e offre un’opportunità unica a uno chef valido. Che sia l’inizio di un new deal che incoraggia i nuovi talenti del food? Questa la convinzione di Ferran Adrià. Che ha spiegato con dovizia di dettagli e partecipazione appassionata il progetto condiviso.
foto di Andrea Guermani
La rivisitazione della cucina italiana secondo Ferran Adrià (e Federico Zanasi)
“Condividere sarà una trattoria contemporanea. Zanasi ha girato l’Italia alla ricerca delle trattorie e di quelle tradizioni che costituiscono l’identità italiana”
Da dove siete partiti?
Da un esempio perfetto di condivisione: il pranzo della domenica in famiglia. E da un lungo studio sulle tradizioni, dall’antica Roma fino ad oggi
La cucina italiana è una cucina di condivisione?
Zanasi nei suoi giri non ha trovato in realtà molti esempi di condivisione. Una cucina basata sulla pasta e sul riso non offre molti spazi di condivisione. Più facile con gli antipasti, con uno spirito simile alle tapas spagnole
L’obiettivo di una cucina di condivisione qual è?
Una dimensione di socialità, di divertimento, di piacere. In un ristorante gastronomico si è concentrati sul cibo. Da Condividere c’è il cibo, ma c’è anche il piacere di stare insieme. Non ci sarà un menù degustazione, ma piatti da gustare insieme, ricette recuperate in chiave condivisa, poco elaborate. Una cucina non complicata, per tutti
Un esempio?
Stiamo lavorando molto con la pasta ripiena, con quei tipici agnolotti piemontesi che sono i plin, sono adatti alla condivisione e si possono preparare in vari modi, si possono gustare con le mani, con le pinze, possiamo farli al vapore.. Non ci ha mai pensato nessuno, siamo curiosi di vedere come reagirà la gente. Abbiamo bisogno del feed-back del pubblico, torinesi e turisti. Per questo abbiamo in progetto un’apertura lunga, un mese di rodaggio, per valutare, fare aggiustamenti
Un ristorante che punta alle stelle?
No, un ristorante dove si sta bene, piacevole…Se poi arriverà una stella, benissimo. E io sarò sempre a disposizione per correzioni, per resettare il tiro. Vorremmo soprattutto un ristorante con un’identità e una filosofia proprie. Abbiamo bisogno di ristoranti così, a Torino ce ne dovrebbero essere almeno una decina
E il caffè come entra in tutto questo progetto?
Alla fine ci sarà un momento dolce, ludico, e un gran finale con il caffè. Un po’ come nel progetto Heart che io e mio fratello Albert abbiamo realizzato con il Cirque du Soleil a Ibiza, un laboratorio di esperienze
A 20 anni dalla copertina del Gambero che ha fatto conoscere in Italia la sua “rivoluzione” in cucina, c’è ancora spazio per l’innovazione, e come?
Oggi aprono ogni giorno nel mondo molti ristoranti di ‘cucina creativa contemporanea’ ma pochi sono davvero d’avanguardia. E poi cosa vuol dire ‘cucina creativa’? Negli ultimi dieci anni non ci sono state vere novità, innovazioni radicali come quella che posso aver avviato io con i sifoni. Si inventano in un solo giorno più piatti di quelli inventati in anni, ma la vera rivoluzione è pensare la cucina, riflettere
Domanda finale per entrambi: ristorante preferito?
Adrià risponde senza esitare, quello di suo fratello Albert. E Zanasi non ha dubbi: Condividere. Bel modo per cominciare una nuova avventura, appuntamento l’8 giugno. Adrià ripete che “non è il mio ristorante, non verrò certo a controllare, ma ci verrò a mangiare”.Buona idea.
a cura di Rosalba Graglia
foto di apertura Andrea Guermani