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Delivery Valley: l’idea
A Milano, il progetto Delivery Valley ha preso forma a partire dall’estate scorsa. Oggi, con oltre mezzo milione di euro di fatturato all’attivo e una squadra che è cresciuta a comprendere ventidue persone, la dark kitchen ideata da Maurizio Rosazza Prin e Alida Gotta vanta già due sedi in città. La seconda, dopo la prima cucina in via Col di Lana, ha aperto nel quartiere Isola a gennaio, con l’obiettivo di presidiare un nuovo quadrante strategico di Milano. La capacità di pianificazione, insieme alla forte personalità di chi la dirige, del resto, è alla base del successo di questa startup che punta a liberare il concetto di dark kitchen da etichette troppo rigide. I ragazzi, che il pubblico di Masterchef ricorderà per la loro partecipazione al programma (per entrambi ha rappresentato l’ingresso nel mondo della cucina professionale, e proprio sul set di una reunion Maurizio e Alida, che oggi fanno coppia sul lavoro e nella vita, si sono conosciuti), hanno pensato di scommettere sulla formula ben prima che la pandemia arrivasse a scombinare le carte. Ma proprio il repentino cambiamento delle dinamiche di consumo ha portato fortuna alla Delivery Valley immaginata come una (o più) cucina laboratorio dedicata esclusivamente alle consegne a domicilio, che fosse al contempo piattaforma di lancio per brand dotati di forte identità, tutti ideati a partire da una sorta di ossessione: la centralità del cibo, e del gusto.
Una dark kitchen su misura
“Abbiamo iniziato a captare le potenzialità di questo fenomeno internazionale già un paio di anni fa; ma la formula precostituita della dark kitchen ci annoiava in partenza” spiega Maurizio “troppo legata all’obiettivo di macinare numeri, a scapito dell’originalità”. Dal mondo della moda è arrivato lo spunto per personalizzare il modello: “Abbiamo guardato all’expertise del mondo della moda italiana, che fa del lancio di collezioni il suo fulcro. Applicando l’idea al cibo, al motto di Italian kitchen reloaded: in Italia la cucina è un’ossessione, tutti ne parliamo, ognuno custodisce la propria ricetta. Noi abbiamo perfezionato le nostre per portarle nel salotto di casa, mettendo al centro la godibilità dell’esperienza”.
E così anche l’immaginario della dark kitchen è cambiato: “Perché dobbiamo nasconderci? Abbiamo creato cucine su strada che tutti potessero vedere, annunciate da progetti grafici coerenti con il progetto (Maurizio viene dal mondo del design, ex copywriter, ndr), che invitano tutti a curiosare. All’interno lavoriamo come la brigata di un ristorante, ma abbiamo cambiato il finale: non serviamo in sala, ma sviluppiamo i prodotti perché siano perfetti da mangiare dopo venti minuti, che è il tempo massimo previsto per le nostre consegne. I rider sono i nostri camerieri, ed è nostra responsabilità metterli nelle condizioni di lavorare nel miglior modo possibile, perché siamo una squadra”.
Lo sviluppo dei prodotti
Delivery Valley, infatti, si appoggia alle principali piattaforme di delivery, ma non consegna oltre un raggio di 3 chilometri e mezzo dalla sede di riferimento, e garantisce ai rider un tempo di attesa molto basso, che conviene a tutti. Ma come si lavora per mantenere alto lo standard? “Nelle nostre cucine è come seguissimo più linee e più ristoranti diversi nello stesso spazio. Lo storico degli ordini, aggiornato in tempo reale ci consente di capire cosa piace al nostro pubblico. Facciamo cibo buono, e così abbiamo iniziato ad attirare in squadra persone che arrivano da esperienze importanti nel mondo della ristorazione. Di sabato sera gestiamo anche 400 ordini, c’è l’adrenalina che si vive in un grande ristorante. L’importante è differenziarsi, a Milano ormai anche il mercato del delivery è saturo, il cliente ha aspettative elevate”.
Il menu
Dunque, all’origine di tutto, lo sviluppo di veri e propri brand gastronomici: Lievito Mother Fucker è una pizza al padellino perfezionata in due anni di lavoro, “non deve arrivare gommosa, ma soffice e croccante fuori. Abbiamo persino modificato la curvatura delle fette per evitare che i topping risentissero del trasporto”; Giga burger è il panino della casa, "il pane è pensato per inzupparsi lentamente, la cottura della carne la lasciamo un po’ indietro, perché finisca di cuocersi in consegna, tutte le salse le facciamo noi”; le Giga ribs sono quelle che vanno per la maggiore, “facciamo seicento chili di costine a settimana, il nostro rub segreto fa la differenza”.
Poi ci sono il pollo di Gira gira arrosto, e i fritti di Fritt Fighter. Ogni prodotto ha il suo posizionamento e un’identità social precisa. Presto arriverà anche Cat-su Sandro (interpretazione del katsu sando giapponese), “con uno shokupan fatto da noi incredibile”.
“Le regole sono quelle della ristorazione convenzionale: si parte da un ottimo prodotto, il cibo è fatto al meglio, un piano di marketing e comunicazione efficace sostituisce il lavoro del maitre nel rapporto con i clienti. La cucina non cambia mai, è fatta di ore di lavoro per ottenere un risultato soddisfacente. I nostri prodotti devono avere una prospettiva di crescita, chissà che non possano posizionarsi anche nella grande distribuzione, a partire dalla pizza al padellino. Il “cibocentrismo” negli anni pre covid ha finito per identificarsi solo con l’alta ristorazione. Non dev’essere così. C’è anima nel nostro cibo: basta con le cucine format!”.
Gli ultimi acquisti in squadra sono Fabio Ambesi, panificatore in arrivo dalla scuola di Davide Longoni, e Matteo Lucchetti, cuoco cresciuto nella brigata di Giancarlo Morelli. Prossimo obiettivo, aprire una terza dark kitchen in città. A Citylife. E poi, perché no, guardare ad altre città d’Italia. Senza fretta però.
a cura di Livia Montagnoli