Sta facendo discutere il decreto applicativo Masaf sul biologico in materia di Contaminazioni da agrofarmaci, sulla cui bozza non ci sono per ora convergenze unitarie tra le numerose sigle di settore, in vista dell'entrata in vigore dal 2025. L'Italia, come membro dell'Ue, sta recependo gradualmente il nuovo regolamento in materia (approvato in sede europea nel 2018 e in vigore dal 2022) e ha inviato ai sindacati una bozza di testo che ha generato allarme soprattutto nel Wwf Italia, a cui si è poi unita anche l'Aiab, per un possibile cortocircuito normativo sui limiti di pesticidi ammessi (compreso il glifosato), che metterebbe a rischio la permanenza di molte imprese agricole nel comparto dell'agricoltura verde, costringendole a virare sul metodo convenzionale.
Un testo sul bio scaduto dal 2019
L'Italia, da 13 anni, segue con rigore i principi europei considerando irregolare prodotti con sostanze proibite per lo 0,01 milligrammi per chilogrammo. Ma ci sono ancora delle lacune di principio che viaggiano a un livello superiore e che andrebbero affrontate, ma non sembrano una priorità per il legislatore. Ormai un anno fa, il Governo ha provato a dare avvio al Piano di azione nazionale (Pan) per la produzione biologica, scaduto ormai dal 2019, ma il testo si è, di fatto, arenato nei cassetti della burocrazia parlamentare, come denuncia FederBio in questa intervista al settimanale Tre Bicchieri con la presidente Maria Grazia Mammuccini, produttrice di vino in Toscana, a pochi giorni dall'assemblea nazionale in programma a Roma il 30 ottobre. «L'iter del Pan bio è fermo - spiega - e pertanto, al di là del decreto Contaminazioni, su cui è in corso un confronto, il vero problema è che non c'è ad oggi una norma che possa tutelare il comparto biologico italiano».
In che senso non c'è oggi una norma a tutela del bio?
Pensiamo solo al fatto che l'agricoltore biologico, per esempio un viticoltore, il cui terreno confina con quello di un agricoltore convenzionale, deve prevedere e lasciare delle fasce di sicurezza che possono interessare anche diversi filari, a seconda dell’indicazione dell’organismo di certificazione. Su questo, FederBio ha fatto una battaglia nell’ambito del tavolo interministeriale per la predisposizione del Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei fitofarmaci per far sì che non sia l'azienda bio a doversi assumere gli oneri e i costi delle fasce di sicurezza all’interno dei propri terreni.
Cosa avete chiesto al Governo Meloni?
L'applicazione del principio del 'chi inquina paga'. Ovvero, che le distanze di sicurezza fossero non a carico dell’agricoltore biologico ma soprattutto delle imprese convenzionali, le quali, senza costi aggiuntivi, potrebbero raccogliere e trasformare i prodotti agricoli coltivati nella fascia di sicurezza se utilizzano prodotti ammessi in biologico. Attualmente, invece, è l'operatore bio che deve raccogliere separatamente le proprie coltivazioni nella fascia di sicurezza, farli analizzare e, nel caso si riscontrino residui chimici, declassare e vendere tutto come convenzionale. Insomma, l'intero onere organizzativo e economico spera è a carico del soggetto inquinato e non di quello potenzialmente inquinante.
Il decreto Contaminazioni risolve questo problema?
Certamente no. Non lo può fare. Il tema va, piuttosto, affrontato nella più ampia discussione sul Pan e sull'uso sostenibile dei fitofarmaci. attraverso il quale si potrebbe rivedere tutto il quadro normativo sulla materia.
Quindi, cosa pensate di questo specifico decreto Masaf in discussione?
In generale, il nostro non è un giudizio negativo a priori, ma bisogna attendere il testo definitivo. Noi abbiamo mandato le nostre osservazioni al ministero per poterlo migliorare in maniera adeguata.
Perché il vostro non è un giudizio negativo come, invece, quello di altre associazioni?
Partiamo da un presupposto: non avere un limite definito e stretto per le contaminazioni accidentali da sostanze non ammesse in bio, soprattutto in questo momento in cui ci sono altri metodi di agricoltura sostenibile che puntano ad abbassare i residui di agrofarmaci, sarebbe un clamoroso boomerang. Perché si rischia di rinunciare al valore dell'intero comparto, che si basa anche sul divieto di impiego delle sostanze chimiche di sintesi ammesse nell’agricoltura convenzionale. Allo stesso tempo, però, nella logica di fornire garanzie sia ai consumatori sia ai produttori biologici, questo decreto, per la prima volta, inserisce la possibilità che in caso di contaminazione da pesticidi, la cui accidentalità venga accertata da parte dell'organismo di controllo, il prodotto possa essere comunque certificato, seppure mantenendo un limite di residuo che sia definito e molto rigoroso.
Quindi il decreto Contaminazioni fa qualche passo avanti?
Certamente. Dal 2011 infatti, il Decreto ancora vigente dice che sopra 0,01 milligrammi per kg di residui di agrofarmaci, che in molti casi è pari allo zero tecnico rilevabile dalle strumentazioni, il prodotto agricolo non può essere certificato anche se coltivato con metodo biologico. Con questo nuovo testo in discussione, sopra tale limite, l'organismo di certificazione deve aprire una indagine e stabilire se il produttore ha frodato la legge oppure se c'è stata una contaminazione accidentale da pesticidi. In questo ultimo caso, il prodotto può esser bio fino a un massimo di residui che comunque non può superare l'1% del livello massimo di residuo per i prodotti da agricoltura convenzionale, il cosiddetto Lmr. Ed è questo un modo per riconoscere al produttore contaminato un margine di tutela che oggi non c’è, senza ledere un principio fondamentale per la distintività di un prodotto bio.
Le segnalazioni di Wwf Italia e Aiab riguardano proprio il fatto che le partite di prodotto con residui anche sotto 0,01 mg/kg rischiano lo stop.
La bozza di decreto stabilisce che l'ente di certificazione apra una indagine in caso di presenza di pesticidi sotto 0,01 mg/kg, ma non è vero che la partita debba essere bloccata. È solo per adeguare le proprie attività in una situazione dove ci sono indizi di un potenziale rischio. In particolare, su questo punto, FederBio ha chiesto al Masaf che questo aspetto venga meglio precisato. Del resto, il nostro sistema di certificazione si basa su una corretta analisi del rischio e l’adozione di misure adeguate di autocontrollo approvate e verificate dall’organismo di certificazione. Perciò, più che di un’apertura d’indagine si deve parlare di adeguamento dell’attività di controllo rispetto al potenziale rischio di contaminazione.
Quindi, quanto devono preoccuparsi gli agricoltori?
L’allarme che abbiamo sentito recentemente su questo aspetto a nostro parere è eccessivo. Anzi, c'è quantomeno una maggiore tutela per il settore biologico.
Quali altre richieste avete fatto come Federbio?
La bozza del decreto prevede che la contaminazione accidentale da pesticidi possa avvenire solo per una sostanza attiva ma, spesso, in un unico prodotto fitosanitario di sintesi sono presenti più principi attivi. E questo, nel testo definitivo, ci attendiamo che sia considerato, fermo restando che il prodotto non possa essere certificato nel caso in cui la contaminazione superi i livelli massimi di residui, secondo le modalità previste dal testo del decreto.
Diciamo che il problema è la difesa della vostra specificità
Non vogliamo che i prodotti bio perdano la loro distintività e il nuovo Decreto deve tenere conto della realtà attuale delle sostanza impiegate in agricoltura convenzionale e, soprattutto, non aggiungere ulteriori costi e burocrazia a carico degli operatori biologici.