E pensare che è stato proprio lo chef Giorgio Locatelli, nell’ultima edizione di Masterchef, a trattare maldestramente il tema dei maltrattamenti in cucina. «Le cose per fortuna sono cambiate», disse durante una delle prime puntate. Noi non ne siamo molto convinti, e quel che è certo è che nel suo ristorante di Londra di bullismo ce n’è stato eccome. A raccontare tutto, a quasi 15 anni di distanza, è Davide Nanni, lo chef selvaggio d’Abruzzo che nel suo primo libro, A sentimento. La mia cucina libera, sincera, selvaggia (ed. Mondadori), ha denunciato i tanti maltrattamenti subiti.
"Lavoravo più di 16 ore al giorno"
Non è stato Locatelli in persona a umiliare il giovane Davide, ma il suo sous chef (come se questo cambiasse qualcosa). Un lungo capitolo del libro è dedicato all'argomento: «Sorte migliore spettò alla mia ragazza, che venne subito presa in simpatia dal sous chef – tempo dopo scoprii che era “più” di una simpatia...». Erano partiti in due, era il 2010: Davide si era diplomato con ottimi voti alla scuola alberghiera e aveva voglia di spaccare il mondo. Ma quell’esperienza si rivelò presto un incubo: «Gli ultimi arrivati venivano messi ai lavori più umili. Sapevo che nelle brigate aleggiava un po’ di “nonnismo” cameratesco, ma non immaginavo che potesse raggiungere livelli simili»
Non parliamo di semplice «gavetta», ma di offese, umiliazioni, violenze verbali e talvolta anche fisiche. «Il mio comportamento umile venne interpretato come passivo» racconta lo chef. E così cominciarono le risate di scherno. «Pagliaccio!» lo chiamava in continuazione il sous chef. Casse di insalate e carciofi da pulire singolarmente divennero una punizione ripetuta: «Arrivai a lavorare per più di sedici ore al giorno. Mi alzavo alle cinque di mattina per essere in cucina alle sei ed evitare che mi si accusasse di essere lento. Uscivo di casa con il buio pesto, salivo sull’autobus che da Trafalgar Square mi avrebbe portato a Marble Arch e, ascoltando Fix you dei Coldplay, piangevo».
In cella frigorifera a pulire
«Pagliaccio, sei in ritardo!; Pagliaccio, cosa hai combinato?; Pagliaccio, sei lento!. Durante i pochi minuti di pausa che mi erano concessi andavo in bagno, buttavo a terra uno strofinaccio, facevo partire un timer di quattro minuti e mi mettevo a dormire». Le vesciche ai piedi si trasformarono in calli, le casse di verdure da pulire gambo per gambo aumentavano: «Un pomeriggio, pensando di non essere visto, acciuffai un mazzetto ed eliminai le radici con un solo strappo. Il capo partita mi raggiunse, afferrò il mazzetto e me lo sbatté in faccia, spaccandomi un labbro». E ancora: «In un’altra occasione fecero cadere in cella frigorifera uno stock di agnello di cinque litri. Attribuirono la colpa a me, obbligandomi a pulire tutto senza spegnere la refrigerazione».
Lo chef "severo ma giusto" ma con un linguaggio offensivo
Dopo due mesi, il corpo iniziò a cedere sempre di più. E intanto anche la sua relazione andava a rotoli. Riuscì a chiudere con la sua fidanzata e quell'ambiente di lavoro tossico, e tornò in Italia dopo aver perso venti chili in quattro mesi. Dopo Londra, ci furono diverse esperienze romane, a partire da quella con lo chef Federico Lamano, che Davide definisce «severo ma giusto»: noi non siamo molto d’accordo, considerando l’uso del linguaggio offensivo riportato d Davide, un modo di esprimersi che per troppo tempo è stato autorizzato in cucina, normalizzato come fosse l’unica via possibile per mantenere la disciplina.
«Vedi queste mattonelle? Mi diceva indicando il pavimento. Sotto c’è la terra, e tu sei a un livello ancora più basso. Dimostrami quanto vali, dimostrami che sei un abruzzese tosto!». Davide è grato a questa esperienza, «oggi posso solo ringraziarlo», noi ci riserviamo il diritto di dissentire, e prendere il più possibile le distanze da questo incitamento al machismo, per cui per essere «un vero uomo» occorre nascondere le emozioni e voler primeggiare. E più in generale ci teniamo a ribadire la differenza tra sacrificio e umiliazione, concetti ben distanti tra loro, troppo spesso facilmente sovrapposti dagli chef che, nascondendosi dietro la scusa della «gavetta», superano ogni ragionevole limite.
Escluso perché bravo
Comunque, questa è la storia di Davide, e lui si ritiene soddisfatto di quell'esperienza. Ce ne furono altre in seguito, tutte buone ma accomunate da uno stesso finale: «A un certo punto mi licenziavo». Perché? «Quando capivo che la mia presenza non era più ben accetta. E questo accadeva perché stavo diventando più bravo dello chef che, vuoi per mancanza di voglia, vuoi per mancanza di stimoli, aveva perso un po’ la vena creativa». Nel 2019, divenne chef del ristorante Casalice, sempre nella Capitale. È stato allora che ha potuto essere finalmente lui a formare un nuovo ragazzo, Marco, «Marcolino», un cuoco «timido, rispettoso e molto educato, instancabile ma senza voglia di primeggiare». Divenuto in poco tempo capo partita dei primi.
Trattare la brigata con gentilezza
Mentre la vita lavorativa migliorava, quella personale andava a picco, con un’altra storia finita male. «Chef, perché non apri una pagina sui social?» il suggerimento della sua brigata fu salvifico. Con la crescita dei follower arrivò la proposta di lavoro in Florida, che il cuoco accettò a patto di portare Marco con lui. Le tante richieste insolite, però, tra amatriciana con le polpette e carbonara con la panna, lo fecero fuggire. Tornò in Italia, dopo qualche tempo cominciò con le sue ricette all’aria aperta, registrate insieme al papà e postate sui social, oltre a prendere in gestione il ristorante di famiglia, Locanda Nido d’Aquila a Castrovalva. Il resto è storia, ma del suo passato non dimentica nulla: «Nella mia brigata non umilierò mai nessuno, ma so anche che serve disciplina e metodo per fare questo lavoro».
A sentimento. La mia cucina libera, sincera, selvaggia - ed. Mondadori - € 21.27