I capelli arcobaleno, gli occhiali grandi, la parlata romana, l’attenzione all’etica e all’estetica in ogni suo piatto. Irene Volpe, ex finalista di Masterchef, oggi è una personal chef e una content creator. Ma in realtà Volpe è molto di più, perché come lei stessa racconta la sua cucina è “lo specchio delle sue emozioni”. Da qualche giorno, a queste emozioni se n’è aggiunta una grandissima: varcare le porte del Geranium, tre stelle Michelin e miglior ristorante al mondo. Qui sta svolgendo uno stage di un mese.
Come sta andando questa nuova esperienza?
È il mio primo stage all’estero. Copenaghen mi piace moltissimo e, almeno per ora, sta andando tutto bene. Certo c’è sempre un po’ di ansia di non essere all’altezza. Ognuno ha la sua tecnica, il suo metodo e c’è sempre il timore di commettere qualche errore. Ma sono qui per imparare.
Com’è nata l’idea di uno stage al Geranium?
Era da tempo che volevo fare esperienza all’estero, ma ho dovuto rimandare perché prima ho scritto il mio libro poi mi sono rotta la spalla… e ora eccomi qui. Il mio amico Carlo conosceva una ragazza che lavorava qui e parlandoci mi sono detta: proviamoci!.
Rispetto all’Italia, come funzionano le cucine all’estero?
In primis sto notando che qui c'è più gentilezza nel far notare gli errori. Credo che in tutto il mondo sia in generale un ambiente duro, spesso a prevalenza maschile, ma io onestamente non ci faccio caso. Considero me stessa e gli altri non in quanto uomo o donna ma in base alle capacità. Lavoro bene con chi sa quello che deve fare e viceversa. E penso che questo dovrebbe essere il metro di giudizio. Se vengo discriminata perché pensano che non sia in grado di fare qualcosa? Me ne sbatto, e mi fortifico ancora di più.
La tua cucina è nata durante Masterchef...
La prima volta che ho pensato a un piatto completamente vegetale e che ha poi avviato il mio percorso che mi ha portata a diventare vegetariana, è stata durante una prova con lo chef Riccardo Canella. In quella puntata avevo un vantaggio e feci la spesa prima degli altri, con più calma. Ricordo perfettamente quel momento, mentre prendevo dalla dispensa ortaggi, frutti, olio di ribes nero e altri ingredienti. Avevo preso anche della ricotta, ma venivano in mente solo abbinamenti vegetali. E così è stato. Poi feci lo stesso in finale, riprendendo quel concetto e preparando la cipolla (aperta a fiore come una ninfea, ndr) e un altro piatto crudista.
Cosa significa per te non mangiare carne e pesce?
Mangiare vegetale è una scelta e ha un grande legame con il luogo in cui si vive o le risorse economiche a propria disposizione. In un paese povero non ha senso parlare di questo. Ma noi che viviamo in una società che ci offre di tutto e che – mediamente – possiamo permetterci di scegliere come nutrirci, possiamo fare una scelta etica e ambientale. Si tratta di evolvere le proprie abitudini, non mi piace parlare di cambiamento perché spesso spaventa. È un’evoluzione e una rivoluzione. Può far paura, ma è necessario uscire dalla propria comfort zone. Noi abitiamo il mondo ma non per questo dobbiamo sopraffare la natura, anzi.
Come possiamo supportare questa evoluzione-rivoluzione?
Le persone, ad esempio, non vogliono vedere video di come vengono allevati polli o maiali, però li mangiano (per fare un esempio). E questo è importante: serve consapevolezza di quello che si fa, di quello che si mangia e delle conseguenze che le nostre scelte hanno sull’ambiente e sulla natura. In questo senso chi cucina ha un grande potere e una grande responsabilità, perché attraverso il cibo si trasmettono messaggi, emozioni, concetti.
Durante le tue cene private, tutte a base di prodotti vegetali, ti sei mai trovata di fronte a “onnivori scettici”?
In realtà, quando cucino nelle mie cene private, la maggior parte delle persone non è né vegana né vegetariana. E questa è la sfida più interessante, perché anche i più scettici si lasciano conquistare dalla mia cucina vegetale e quella sensazione di bontà li riappacifica con il mondo, fa sì che vedano un ingrediente in modo diverso. Questo non significa che smettano di mangiare carne, ma è un primo passo.
C’è paura verso la cucina vegetale perché “meno veloce”?
È vero ci sono preparazioni più lunghe ma non solo in questa, anche il ragù deve cuocere 6 ore eppure nessuno se ne lamenta. Lo stile di vita moderno ci impone la fretta, la velocità. Ma mangiare e cucinare significa riappropriarsi di un tempo della nostra vita che ci siamo tolti per dare spazio ad altro. Dovremmo invece riappropriacene.
Qual è il tuo piatto del cuore?
Sicuramente i biscotti di natale. Li ho anche messi nel mio libro e venduti a natale dello scorso anno. Li faceva sempre mia nonna, in enormi quantità. Tutta la casa era invasa dal loro profumo. Io ho ripreso le sue ricette eliminando gli ingredienti di origine animale e ribilanciando la ricetta (ad eccezione del miele) e la soddisfazione più grande è che il gusto è rimasto lo stesso, e racchiude tutti i miei ricordi.