Giappo-cinesi e all you can eat. L’interregno della cucina asiatica
Giappo-cinesi, fusion orientali, menu nipponici con gli occhi a mandorla e ramen che coesistono con i dim sum sulla stessa tavola. Quando nel mondo, e in Italia, si parla di cucina giapponese la confusione è tanta. E il motivo è presto detto: sushi, sashimi e salmone in salsa teriyaki sono un evergreen; che sia a Roma, New York, Londra o Parigi un ristorante giapponese non conoscerà mai crisi. Ma molto spesso la nostra idea delle tradizioni gastronomiche in arrivo dal Paese del Sol Levante è quanto meno edulcorata, quando non completamente fuorviata da scadenti imitazioni o formule all you can eat che mescolano nel grande calderone della cucina asiatica di tutto un po’. Così il governo nipponico ha scelto di mettere un freno alla proliferazione indiscriminata di pseudo insegne giapponesi nel mondo. Come? Proteggendo le tavole autentiche che si fanno ambasciatrici della cucina washoku (così si definisce la tradizione culinaria nipponica, tutelata dall’Unesco come patrimonio culturale dal 2013) con un bollino di autenticità.
La proposta del governo di Tokyo
Per ora si tratta di una proposta di legge, ma il clamore con cui l’iniziativa è stata accolta fa ben sperare che la certificazione preannunciata da Tokyo si farà. Nel dettaglio, il disciplinare proposto dal Ministero dell’Agricoltura (subordinato all’istituzione di un Comitato per la valutazione della cucina giapponese all’estero) vigilerà – forse già da marzo – su selezione degli ingredienti, preparazione, rispetto e comprensione della cultura nipponica, presentazione e servizio compresi, come l’attenzione tutta giapponese per l’estetica e il gesto impone.
Il bollino: come si ottiene
E la conquista del bollino sarà subordinata a un periodo di permanenza sul suolo nazionale per apprendere i rudimenti della cucina locale. Questo significa che anche uno chef non giapponese di nascita potrà conquistare l’ambito riconoscimento: chi si tratterrà in Giappone per due anni potrà appuntare sul petto una “medaglia” d’oro, chi solo sei mesi dovrà accontentarsi di un bollino d’argento, ma anche un corso breve di cucina nipponica (due giorni e più) garantirà la conquista di un bollino di bronzo da riportare a casa. Al rientro i bollini dovranno essere esposti per garantire al cliente l’autenticità della tavola a cui si affidano per sperimentare l’esperienza della cucina giapponese. Che continua a piacere proprio a tutti.
Mentre dalla Camera di Commercio giapponese in Italia, con sede a Milano, spiegano che in Italia i ristoranti che soddisfano le prerogative non sono più di cinquanta, concentrati principalmente tra Roma e Milano. Sarà la fine delle tavole cinesi che servono impunemente sushi e sashimi?