Mentre Milano sta diventando un sambodromo della gastronomia, piace scoprire ogni tanto un luogo dove la cucina viene ancora interpretata come un atto politico (ma il dibattito no!). È il caso di Cucina Franca, un locale aperto al numero 76 di via Friuli, nella Milano di mezzo, non più centro e non ancora periferia, appena a giugno scorso, dall’idea di due amici e soci, l’argentino Facundo Castellani e l’italiano Gianluca Santamato, già titolari del vicino cocktail bar Larg_o. Un locale aperto alla chetichella, per il quale l’estate sarebbe dovuta essere un periodo di rodaggio in vista del banco di prova settembrino e che invece è scoppiato in mano ai titolari. Sempre pieno per tutta l’estate, e anche quando siamo andati, un giovedì sera di fine agosto, non c’era posto per uno spillo e abbiamo finito per mangiare sul bancone, davanti alla minuscola cucina a vista dove una brigata giovanissima sgomita come in metro alle 8 di mattino.
Palco e soppalco
Il motivo di tanto successo è indubbiamente dovuto all’estetica del locale, semplice, efficace, una ventina di coperti all’interno, suddivisi tra il piano terra e un minuscolo soppalco e il dehors che raddoppia gli spazi nella bella stagione (l’inverno vedremo). A una cucina fatti di pochi piatti piuttosto centrati e di ispirazione “terzomondista” senza essere né etnici né fusion. A prezzi decisamente onesti e in questo poco milanesi. A un servizio affidato a un pugno di ragazzotti in gilet e t-shirt. E a un’atmosfera da centro sociale chic, che attira un certo tipo di pubblico, attento e consapevole.
Facundo al comando
In cucina c’è Facundo, argentino di rito maradoniano (si capisce dai tatuaggi e dagli adesivi che citano “El Diez”). I piatti, una decina in tutto nella carta, raccontano i suoi viaggi e la sua visione del mondo. Abbiamo provato tre piatti, piuttosto buoni anche se in diminuendo: ho iniziato con una ottima Ricciola cruda (ma il pesce cambia di giorno in giorno in funzione del mercato), con salsa huancaìna – tipica del Perù e ottenuta frullando assieme formaggio, latte, aglio, cipolla, cracker, ciò che dà vita a un composto giallo, saporito e acido – in un matrimonio di contrasti tra dolcezza e acidità, tra rotondità e spigoli.
Rapa tonnata
Poi abbiamo assaggiato una bizzarra versione del vitello tonnato senza vitello ma con radici di rape e barbabietole tagliate a fettine: anche qui tutto si giova sui contrasti, in questo caso anche tattili: la croccantezza delle rape e la loro nota amaricante non sfigurano a contatto con una delle salse più abusate della cucina lombardo-piemontese. Il terzo piatto mi era stato presentato come il bestseller di Cucina Franca e da qui è discesa una certa delusione: la Parmigiana di Franca è una versione piuttosto pasticciata del grande piatto della cucina meridionale, dove la sola melanzana è perfettamente calata nel suo ruolo mentre al posto della mozzarella c’è il cacioricotta di capra mancina del Monte Bianco e la parte sugosa è rappresentata da una harissa, salsa nordafricana a base di peperoncino, che purtroppo si prende la scena. Inoltre la panatura di panko è grossolana e alla fine un po’ fastidiosa. Un piatto che con qualche accorgimento potrebbe diventare assai più interessante.
Gli altri piatti
Gli altri piatti, da me non assaggiati: Famo la scarpetta al mare? è un piatto da inzuppo in una salsa a base di yogurt labneh, limone, aneto e uova di trota, Se nos quemò la zucchina, Pomodori tagliati fini fini, Pesce alla toscana un po’ francesa, Tartare di manzo parmigiano, Shokupan alla Patricio Rey, Arepami tutto. Un po’ come se gli Inti Illimani andassero in tournée in Giappone. Carta dei vini tutta giocata su macerati, rifermentati e vini naturali in generale, ma non si percepiscono toni oltranzisti, prezzi decisamente onesti. I piatti costano dagli 8 ai 16 euro, io ho speso 47 euro per tre piatti, una birra grande e dell’acqua, con doppio servizio di pane. Alla fine corretto.
Cucina Franca, via Friuli, 78, 20135 Milano - Sito