Corre l’anno 2024 ed è quello in cui si festeggia la ricorrenza del 150° anno di emigrazione degli italiani in Brasile. Un evento che oggi porta la cucina brasiliana a ripercorrere l'importante contaminazione che ha ricevuto dalle tradizione del nostro paese. Una migrazione massiva dai numeri impressionanti, se si pensa che dal 1876 al 1920 sono sbarcati e giunti alle porte di San Paolo del Brasile 1.243.633 italiani (dati Ambasciata del Brasile in Italia). La media, in quegli anni, era di due cittadini italiani su tre in una terra quasi disabitata e a basso sviluppo economico e sociale. La comunità più grade emigrata è stata quella del Triveneto, per via delle Guerre di Indipendenza, con i suoi 365.710 migranti insediati nell’area metropolitana di Sao Paolo. Nel 1920 la popolazione totale della città era di 580mila abitanti, due terzi erano italiani, mentre nel 2020 è arrivata a 12,3 milioni, di cui la cui metà è censita come oriunda, con origini italiane.
Oggi San Paolo del Brasile è la città con più persone di origine italiana al mondo. Partire da questo dato è necessario per capire la profondità della contaminazione gastronomica tra i due popoli, con cui è andata costruendosi una cucina tradizionale brasiliana dalle origini italiane. A San Paolo, dalla delegazione dell’Accademia italiana della cucina e il suo delegato Gerardo Landulfo, è nata pure la Settimana della Cucina italiana nel mondo. Qui, ogni anno, 19 chef italiani capitanati da Claudio Rocchi di Osteria Palmira a Roma, vengono invitati per un’intera settimana a consacrare il profondo valore di questo legame oceanico, anche attraverso iniziative di beneficenza.
La cucina italiana in Brasile
José Antonio Dias Lopes, classe 1943, è uno dei più autorevoli giornalisti gastronomici della nazione Carioca, ha lavorato per 23 anni presso la rivista Veja a San Paolo fino a esserne vicedirettore, ha poi fondato e diretto Gula e poi Gosto, fondata nel 2009 e di cui è comproprietario. Nel 2013 JA Dias Lopes è stato eletto Personalità dell’anno della Gastronomia in Brasile. Il suo libro Oriundi è un viaggio nell’Italia brasiliana e nella capacità del popolo emigrato di cercare la propria cucina altrove. All'inizio del Novecento era impossibile reperire gli ingredienti italiani necessari, si cercava dunque di recuperare materie prime capaci di adattarsi alla tradizione italiana. Ma gli stessi migranti hanno creato allevamenti e coltivazioni, avviato attività industriali. Tra le più grandi imprese del Brasile oggi si contano molte attività di origine italiana, soprattutto nel settore enogastronomico, dall’Emporio Chiappetta di origine calabrese al Bauducco piemontese.
Dai formaggi al vino, la rivoluzione italo-brasiliana
A livello gastronomico uno dei contributi più significativi è stato nella produzione di formaggi e del vino. Gli italiani hanno introdotto metodi di produzione casearia e vitivinicola che hanno rivoluzionato l'industria alimentare brasiliana. La fusione delle cucine e delle tradizioni ha dato vita a una vasta gamma di piatti unici che fondono ingredienti e tecniche culinarie delle due culture. Se girando per le vie del Brasile trovate una “galeteria”, sappiate che entrerete per mangiare un piatto discendente da polenta e osei, la polenta gialla veneta con gli uccelli, che in Brasile viene fatta con la farina di mais e accompagnata con i galletti appena nati. Oppure, se vi troverete in una cantina per mangiare, sappiate che sono stati i veneti a esportare il vino: distribuivano le bottiglie nei seminterrati dei palazzi, le file erano lunghe, e per smorzare l'attesa veniva servito anche cibo fatto in casa. Una pratica che poi è cresciuta e con il tempo le "cantine" sono diventati luoghi dove mangiare, come le fraschette laziali.
Sono tanti i piatti che mettono insieme le due cucine. Ad esempio, la "moqueca" brasiliana, una gustosa zuppa di pesce a base di cocco, pomodoro e peperoncino, ha incluso ingredienti e spezie tipici dell'Italia, come il prezzemolo e l'aglio. Un'altra fusione interessante è il "brigadeiro di caffè", una variante del popolare dolce brasiliano "brigadeiro", arricchito con il gusto del caffè italiano. Questa versione è diventata un successo sia in Brasile che in Italia, celebrando la sinergia tra le due culture gastronomiche.
Una nuova cucina
Oltre ai piatti e agli ingredienti, l'influenza italiana in Brasile si riflette anche nelle tradizioni culinarie e nei rituali alimentari. La convivialità intorno al cibo, l'importanza della famiglia e la generosità nella condivisione dei pasti sono valori condivisi sia dalla cultura italiana che da quella brasiliana. Questi legami culturali hanno contribuito a consolidare la fusione tra i due paesi, creando un'identità gastronomica unica e affascinante. Attraverso secoli di scambi culturali e migrazioni, queste due tradizioni gastronomiche si sono fuse dando vita a piatti unici e sapori che riflettono l'incontro di due mondi. Se penso a quegli anni in cui degli italiani da poco italiani (1870) si ritrovavano in un paese a migliaia di chilometri oltre l’oceano e non sapevano neanche comunicare tra loro, conoscendo solo i rispettivi dialetti, mi viene da riflettere su come vediamo le migrazioni oggi. All’epoca, dei campani scoprivano la polenta per la prima volta dai veneti che non sapevano essere italiani come loro, oggi forse abbiamo un po’ perso il senso di scoperta e di fusione culturale.