Shapoor Safari è un cuoco. Da sette anni lavora a Palermo, nelle cucine di Moltivolti, ristorante siculo-etnico dell'omonima impresa sociale che opera nel segno dell'inclusione umana, culturale e lavorativa “a partire dalla determinazione di un diritto inalienabile: quello legato alla possibilità di spostarsi e scegliere il luogo in cui vivere”. Una realtà che conta un bistrot molto frequentato, un coworking e un un bed & breakfast nel quartiere Albergheria, a un passo dal mercato di Ballarò, ma anche la caffetteria Altrove a pochi metri dal Monastero di Santa Caterina e che, sin dai primi giorni di pandemia e ancora oggi, si è adoperata per donare pasti a chi ne ha bisogno.
Progetti non solo solidali, ma anche di successo, sostenibili da un punto di vista economico, umano, sociale. Un'impresa che oggi impiega una trentina di persone di diverse nazionalità, ognuno con una storia e una cultura da valorizzare. Molte di queste sono storie dolorose, di fuga da difficoltà nemmeno immaginabili in questa parte del pianeta.
La storia di Shapoor Safari. Dall'Afghanistan a Palermo
Shapoor Safari è afghano. Fuggito un ventina di anni fa da un inferno che oggi pare essere tornato, da quando la dittatura talebana ha preso il sopravvento. E da cui oggi la sua famiglia sta tentando a sua volta di fuggire. Sono 10 persone: sei donne, due bambini e due uomini la cui vita è stata sconvolta: impossibile lavorare, andare a scuola, vivere senza temere per la propria incolumità. È un paese in fiamme. La via di fuga passa dal Pakistan e da una frontiera controllata dai talebani dove una folla si stringe notte e giorno in una disperata ricerca di salvezza. Superare quel check-point è rischioso e sfiancante e pur avendo un regolare visto non è semplice fuggire e mettersi in salvo. “La cosa più difficile” racconta Shapoor “è stata riuscire a varcare il confine con il Pakistan”.
La famiglia di Shapoor ce l'ha fatta a superare quel confine, grazie all’appoggio dell'ambasciata italiana in Pakistan e al lavoro di mediazione del Sindaco e del Comune di Palermo. "Sono stati giorni, settimane, mesi di preoccupazione, telefonate accorate, notti insonni". Con l'obiettivo improrogabile di portare in salvo queste persone. Adesso rimane un altro scoglio, economico: servono soldi – 10mila euro - per farli regolarmente arrivare in Italia, ottenere i visti necessari, comprare i biglietti aerei, per la loro definitiva messa in sicurezza e per provvedere alle prime esigenze di 10 persone scappate senza poter portare nulla con sé.
“Quello che rivendichiamo è un corridoio umanitario che possa consentire alla famiglia di Shapoor e a tutti e tutte i cittadini afghani di lasciare il paese in sicurezza” spiega Claudio Arestivo, socio fondatore di Moltivolti. Nel frattempo la mobilitazione è partita: “di fronte ad un’emergenza di questo tipo non potevamo che attivarci con i mezzi che abbiamo, cioè la chiamata alla nostra comunità, a maggior ragione” aggiunge “se a rischiare la vita è la famiglia del nostro amato Shapoor, cittadino palermitano di fatto, che tanto ha dato alla nostra comunità e che adesso ci chiede aiuto per sostenere il viaggio della sua famiglia in fuga dall’orrore della dittatura talebana”. L'appello di Moltivolti è chiaro: “Riuniamo una famiglia e allarghiamo la nostra, senza confini”.
Il crowdfunding
La raccolta fondi è stata lanciata attraverso la piattaforma Go Fund Me: il 100% di quanto raccolto verrà usato per far ricongiungere Shapoor con la sua famiglia e garantire ai dieci profughi un accesso sicuro in Europa, nonché a provvedere alle loro prime esigenze al loro arrivo a Palermo. Ognuno può contribuire, con una donazione, grande o piccola che sia. “Non un gesto di beneficenza, ma un segno di giustizia” sintetizza Claudio.
a cura di Antonella De Santis