Era stato scelto proprio per le sue capacità di risanamento aziendale, ma ora Brian Niccol, dalla scorsa estate amministratore delegato di Starbucks, deve fare i conti con un continuo calo delle vendite, cominciato già il Natale scorso. Forti battute d’arresto trimestrali nei suoi mercati più grandi – Stati Uniti e Cina – portano la catena di caffetterie a rivedere le proprie strategie.
Starbucks e il calo delle vendite negli Usa
Le aspettative di vendita non sono state soddisfatte, e il quarto trimestre si è rivelato insoddisfacente. «Dobbiamo cambiare nel profondo la nostra tattica, così da tornare a crescere» ha detto Niccol in una nota lo scorso martedì. Revisione dei prezzi e un generale ripensamento dell’esperienza del cliente all’interno dei punti vendita: è questo che il brand si impone di fare, così che «il pubblico possa ritrovare quel senso di comunità che ha contraddistinto i punti vendita». È la seconda volta che Starbucks si ritrova ad abbassare le aspettative di vendita: nei tre mesi conclusi lo scorso 29 settembre, le vendite negli Stati Uniti sono calate del 6% rispetto allo scorso anno, e il numero di transazioni è crollato del 10%, il calo più ripido dai tempi del Covid.
Male anche il mercato cinese
Ma non è solo il mercato statunitense a mettere a dura prova il gigante del caffè: anche in Cina – attualmente uno dei territori dove le catene di caffetterie investono di più – le cose non vanno bene, con un calo del 14%. Probabilmente dovuto anche alla tanta concorrenza (con brand nuovi e agguerriti) che spinge Starbucks a pianificare un rilancio della propria attività, come ha spiegato Rachel Ruggeri, direttrice finanziaria dell’azienda. Niccol incolpa molto il servizio al cliente, «ho sentito dire che ci siamo allontanati da ciò che eravamo, rendendo difficile l’esperienza al cliente e diminuendo il dialogo».
Più prodotti e meno attenzione al servizio
Vero è che il brand ha puntato sempre più a nuove collezioni, prodotti innovativi, un menu più ampio forse non necessario per chi ha fatto dell’esperienza in caffetteria, ancor prima della qualità, il suo punto di forza. Per questo, Niccol ha dichiarato che Starbucks semplificherà il menu e rivedrà l’offerta dei punti vendita, chiedendo ai clienti cosa potrebbe migliorare (sembra che molti provino nostalgia per il bancone self-service dove un tempo si potevano trovare spezie e zucchero da aggiungere autonomamente alla bevanda).
Ricordiamo, poi, che Starbucks è stato anche al centro di scioperi, boicottaggi, accuse e proteste che hanno influito sulle scelte della clientela (e degli investitori), e che nell’ultimo anno la crescita di altre catene di caffetterie è stata inarrestabile, a cominciare dai CosMc’s di McDondald’s, che proprio sull’offerta di bevande calde e snack dolci hanno puntato tutto. A tutto questo, c’è da aggiungere il costo della vita, l’inflazione, le ripetute (inascoltate) lamentele sul prezzo del frappuccino, la nuova tendenza americana di preparare il caffè in casa, rinunciando a una parte del rituale pur di risparmiare un po’.
Fino a oggi, Niccol ha incentivato le promozioni per cercare di concentrarsi sull’offerta di caffè e migliorare il servizio, ma ogni sforzo per il momento sembra vano. In Italia, invece, il mercato è ben diverso: l’ultima apertura c’è stata a Venezia, dove il colosso ha piantato la sua 45esima bandierina, promettendo ulteriori novità in tutta la Penisola.