Chi l’avrebbe mai detto. Negli Stati Uniti, risiede ormai una delle più rodate cerchie di “critica gastronomica”. Una cricca di recensori “altissimi” che in realtà di mestiere fa ben altro. Gioca a basket. Ai massimi livelli. Sono i professionisti della Nba che fra una trasferta e una schiacciata a canestro trovano sempre il tempo per sedersi alle migliori tavole del paese. Tutto grazie a una disponibilità economica da fare invidia persino ai migliori calciatori del mondo.
Chi sono e dove vanno
Circa 30 città e 450 giocatori, altezza intorno ai 2 metri e uno stipendio medio di ben 8 milioni di dollari. Viaggi d’affari (spesso con voli privati), prima classe e soggiorni in alberghi 5 stelle lusso. Stress fisico sì, ma anche un’agiatezza da provocare imbarazzo. È la National Basketball Association, nota più comunemente come NBA, una delle competizioni sportive più "multiculturali" del pianeta. Caratteristica apparentemente irrilevante quando si parla di ristoranti; eppure, in questo caso, è risultata prerogativa indispensabile perché i giocatori si affacciassero con interesse a culture gastronomiche lontane dalle proprie origini.
È il caso per esempio del canadese Kelly Olynyk (nato in realtà da genitori ucraini), attaccante degli Utah Jazz che ha imparato a conoscere a menadito i locali sushi più buoni delle città in cui ha giocato (come a Boston e a Charlotte, città della Carolina del Nord); così come Karl-Anthony Towns, il cestista domenicano (con radici afroamericane) dei Minnesota Timberwolves, che ha fatto della pizza “italiana” una passione culinaria da coltivare nel tempo. Ne sa qualcosa la fidanzata che, dopo essere stata portata più volte dal fidanzato al Fratelli’s Pizza & Cafe, si è addirittura sentita dire: “tutto ciò di cui hai bisogno è una fetta di pizza al formaggio e prometto che ti cambierà la vita”.
Altri invece, durante questi anni di professionismo, si son fatti attrarre dal fascino dell’haute cuisine. Proprio come il veterano Kevin Love, ex Cleveland Cavaliers, da poco ai Miami Heat. Descrive con entusiasmo l’esperienza di fine dining vissuta all’Eleven Madison Park di Daniel Humm (che fra l’altro è pure un amico): “una fra le cucine più incredibili mai viste”. Sostanzialmente, ognuno ha le proprie preferenze, i suoi indirizzi del cuore. Quasi tutti però condividono la curiosità verso il “diverso”. E parte di questo interesse starebbe nella voglia di provare gusti nuovi.
Passaparola e “riti di passaggio”
Un ruolo cruciale viene svolto soprattutto dal passaparola. I players della Nba si scambiano consigli neanche fossero palloni da basket. Sul cibo, sul servizio e sulla location, condividendo talvolta conoscenze nel mondo della ristorazione. Fra i maggiori esponenti di questo insolito gruppo di recensori, K.Olynyk si muove come fosse una specie di Yelp umano, dopo aver girato per migliaia di ristoranti nei suoi 10 anni di lega. Non c’è posto che non conosca; che si tratti della migliore cucina italiana a San Francisco o di suggerire delle squisite alette di pollo. Mr.Love invece elegge la città di Portland a paradiso gastronomico per eccellenza. In città, non ha dubbi su quali siano gli onion rings da provare.
Alcuni ballers poi, quando sono in trasferta, colgono l’occasione per visitare più di un locale. Nello stesso giorno; anzi, in poche ore. L’ammissione è di Olynyk: “A volte, se siamo in città una sola notte, partecipo a due cene”. Prospettiva che accomuna con stupore i giocatori al prototipo del giornalista o critico gastronomico che in viaggio cerca di scoprire più ristoranti possibili nel tempo a disposizione. Di fatto, ça va sans dire, queste visite avvengono raramente in solitaria.
Infatti, lo stile di vita lavorativo porta i giocatori a trascorrere molto tempo insieme almeno in trasferta. Questo significa anche molti pasti insieme. Prima e dopo le partite. Conferma che arriva dal Signor Towns: “viaggiamo così tanto in giro per il paese che andare al ristorante è sempre stato il modo migliore per riunire tutti”. A sostenere comunque il continuo viavai, non solo il conto in banca di ciascuno ma anche un rimborso spese di ben 133 dollari previsto per l'alimentazione quotidiana di ogni elemento della squadra.
E visto che le sorprese non finiscono mai, la testata americana rivela anche l’esistenza di un simpatico rito di passaggio ormai consolidato nel mondo Nba: i debuttanti, rookies nel gergo cestistico, vengono invitati dai veterani nei ristoranti più rinomati d’America solo per pagare il conto. Esattamente quel che fece l’ex campione Rajon Rondo con Olynyk quando entrambi militavano nei Boston Celtics e il secondo era solo un novellino. Il risultato è che alla fine, statisticamente parlando, dalle 449 anime di questa confraternita, qualche recensione onesta e attendibile dovrà pur venire fuori. O almeno quella è la speranza; per i giocatori stessi e per tutti coloro che decideranno di seguirli.