Escano dalla loro bolla i critici gastronomici! Tornino alla realtà! Spariscano i “gastrofighetti”! Eccolo il nuovo sport nazionale. Sparare bordate su un mondo che, finalmente, è diventato così “popolare” che anche lui si merita la sua bolla e i suoi “gastrofighetti”. Se c’è una sovraesposizione della cucina, della ristorazione, degli chef, significa che c’è un eccesso di interesse e questo è certamente un bene. Leggo sul sito del Gambero Rosso un bel pezzo scritto da Andrea Cuomo. Uno sfogo che lamenta come in questo meraviglioso settore ci sia oggi un po’ di guazzabuglio che Cuomo vorrebbe riportare alla normalità auspicando che i critici tornino a parlare il linguaggio della gente che tutti i giorni mangia e va al ristorante. Mi spiace deludere Cuomo, ma non sarà più così. E meno male! Sarebbe come se un critico musicale dovesse adeguarsi al linguaggio di chi non conosce nulla di musica ma prova piacere ascoltarla, sarebbe come se un critico cinematografico non dovesse parlare di fotografia di un film perché pochi sanno bene cosa sia la fotografia in un film, eppure tanta gente va al cinema o fa incetta di prodotti seriali sulle piattaforme per puro svago. Non stiamo dicendo che la critica gastronomica sia un totem intoccabile, anzi come tutte le forme di critica è soggetta a mille variabili che ne possono compromettere la professionalità e la buona fede.
Critica, influencer e reality
Come in qualsiasi altro settore, anche per la ristorazione, c’è la critica professionale (che si spinge ad analisi delle tecniche di realizzazione e degli equilibri gustativi, della presentazione dei piatti e dei tempi di servizio, delle competenze enologiche e del servizio, ecc.) e quella più divulgativa che ha trovato spazio nei tanti reality che hanno avvicinato molta gente a questo mondo e qualcuno ha cominciato a sentirsi un piccolo censore. In questo circo siano benedetti allora i critici nella loro bolla, qualcuno continuerà a leggerli con godimento, altri li eviteranno perché lontani dalla “gente” preferendo seguire il furbissimo Ruffi o i molti “influencer” gastronomici con racconti pieni di effetti speciali senza nessuna sostanza garantendo però un certo spettacolo. Sono solo i lettori e i clienti dei ristoranti gli unici arbitri. Bisogna quindi fare attenzione a parlare di “casta” e di bolle generalizzate, si corre solo il rischio di cadere nel populismo gastronomico partendo da un sentimento diffuso che avrà pure un fondo di verità ma che potrebbe allontanarci dal buon senso.