Sono 383 i pub chiusi in Inghilterra e Galles nei primi 6 mesi del 2023, praticamente 2 al giorno. Numeri che riportano al periodo dell’emergenza Covid, stavolta però la crisi è da imputare all’inflazione. E in parte anche a una questione generazionale, ma soprattutto alla Brexit.
I pub nel Regno Unito oggi
Sia chiaro, i pub nel Regno Unito sono un’istituzione. A fine giornata lavorativa, si va al pub. Per festeggiare con gli amici, si va al pub. Per brindare a un nuovo inizio, guardare la partita in compagnia, mangiare un boccone veloce in pausa pranzo, rilassarsi in estate e trovare conforto al freddo in inverno, si va al pub. Non importa quale sia la domanda, il pub è la risposta. Parlare di un cambio di passo generazionale, quindi, non è del tutto corretto: è vero che giovani si sono gradualmente allontanati dal format, che per molto tempo ha dominato la scena (e per secoli è stato anche l’unico presente), ma le storiche birrerie del Paese sono ben lontane dall’essere abbandonate in favore di cocktail o wine bar. Ma la crisi del settore c’è ed è sempre più evidente: le chiusure da inizio anno continuano ad aumentare, soprattutto in Galles, dove nella prima metà dell’anno ben 52 pub hanno abbassato la serranda.
La crisi dei pub: è colpa dell’inflazione
Un numero in calo ormai da anni, quello dei pub: da 60mila locali nel 2000 siamo arrivati ora a 45mila, complice naturalmente l’inflazione. E neanche gli aiuti elargiti dal governo dopo il Covid – uno sconto sulle bollette del 75% - sono bastati per salvare le attività, una situazione destinata a peggiorare ora che la data di scadenza per usufruire del bonus si avvicina (verrà tolto nella primavera 2024). L’aumento dei costi energetici non aiuta, tantomeno il costo dell’iva, e i prezzi più alti delle birre creano sconforto tra il popolo. L’inflazione dei beni alimentari, alcolici inclusi, ha toccato quota 20% nei mesi scorsi e a Londra una pinta di birra è arrivata a costare anche 8 sterline, prezzo finora mai visto nei locali più popolari del Regno Unito. La Brexit, poi, gioca un suo ruolo: la crisi economica è legata anche a quella del personale, che si è notevolmente ridotto da quando il Paese è uscito dall’Unione Europea, abbassando di molto il numero di ragazzi stranieri che scelgono di trasferirsi nel Regno Unito per cercare lavoro.
Il caso di Londra
Unica eccezione per la capitale, che sembra non risentire particolarmente dell’inflazione. A soffrire di più nella metropoli sono le zone periferiche, quelle meno battute e per niente turistiche, soprattutto le insegne indipendenti, costrette a mantenere dei prezzi contenuti per non tradire la fiducia della clientela locale. Uscendo da Londra, poi, la crisi si fa più dura: nelle province o nei village più piccoli ritoccare i prezzi di quello che è per natura un locale abbordabile, adatto a tutti, e soprattutto punto di ritrovo della comunità, diventa più complicato. Una problematica che coinvolge anche le grandi catene come Wetherspoons, oppure il gruppo Stonegate, che gestisce 4.500 locali tra pub, ristoranti e bar, e che ha deciso di aumentare di 20 pence le pinte per poter retribuire equamente il personale. Una decisione per niente gradita dai britannici, che hanno ribattezzato il rituale della birra serale “unhappy hour”.