Di lui abbiamo conosciuto la spontaneità e quella capacità istintiva di leggere il suo tempo. Pasquale Torrente (Tre Gamberi nella guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso, con il suo Convento) è uno dei grandi cuochi di tradizione; uno di quelli che hanno saputo rinnovarsi, migliorare, e apportare continui aggiustamenti senza mai perdere la rotta, da bravo uomo di mare. Del resto lui il mare ce l'ha a un passo, in quella Cetara che ha contribuito a rendere familiare in Italia e fuori, anche grazie alla lunga collaborazione con Eataly che lo ha portato qua e là per il mondo. “Sto sempre con la valigia, e ora mi sono dovuto fermare: in 10 anni è la prima volta che dormo per più di un mese nello stesso letto” dice, raccontando di una vita da globetrotter della cucina, “c'è stata una sovraesposizione che ha fatto bene a tutti, soprattutto a me”.
Il rientro a Cetara
Oggi la scelta è di fermarsi in un orizzonte più intimo, lasciando il palcoscenico internazionale per tornare a Cetara e a una dimensione più familiare: “usciamo da Eataly, lo avremmo annunciato proprio in questi giorni” spiega. Poi il coronavirus ha scombinato questi ed altri piani. Ma intanto la direzione è chiara: torna per riappropriarsi di ritmi più tranquilli e per rispetto dei sentimenti: “sono diventato nonno, voglio godermi la mia nipotina”, ma anche per accompagnare un cambio generazionale alla guida del locale, con il figlio Gaetano in cucina e lui in sala, a fare gli onori di casa. Sarà lì per accogliere, consigliare e creare un servizio che non si esaurisce nel piatto ma accompagna tutto il pasto, in cerca di un'interazione frutto di una innata energia comunicativa. “Ora più che mai il rapporto umano è limitato, credo che dopo si tornerà al contatto; noi abbiamo la fortuna di trasmettere un bel calore umano, una cosa che oggi ci manca moltissimo e speriamo di riprendere quanto prima”. E di farlo sotto le volte del Convento, anche grazie a quella cucina che è lì a un passo, un ben visibile a chi vuole coglierne lo spettacolo. “Una decrescita per crescere” lo chiama questo rientrare a casa. Un'esigenza che non si ferma sulla soglia del ristorante, ma entra anche in cucina.
La semplicità aumentata del Convento
La chiusura forzata imposta dall'emergenza Covid-19 lo trova deciso a rimodulare, ancora una volta, il suo Convento, e ancora una volta farlo senza cambiarne l'anima. “La mia cucina bene o male è sempre stata quella: territorio, prodotti poveri. Eravamo già su questa strada”. Ora però preme sull'acceleratore (o forse il contrario, chissà), per arrivare a quella semplicità aumentata che è il futuro del Convento. “In questo momento c'è da riflettere su tutto”, cercando di immaginare come sarà dopo, e interpretare il futuro che verrà. Così che questo tempo fermo si trasformi in un tempo pieno di opportunità, nonostante tutto. “Se uno si mette a pensare ai danni che ha avuto, non si muove; invece bisogna pensare a come fare incoming e come fidelizzare i clienti”.
Il ristorante che verrà
Pensiamo a tutto: “magari prima la pizza la facevi solo a cena, e ora ti chiedi se non sia il caso di farla anche a pranzo, per esempio”. Oppure di cambiare volto ad alcune proposte storiche. “Lo abbiamo già cominciato a fare, con gli antipasti in condivisione”, le amate alici, per esempio “con pane e burro, con provola, marinate, alla scapece o in forma di polpettina”. E poi i crudi di pesce: “avrà ancora senso avere in carta un piatto a 25 euro? Magari puoi pensare a fare degli assaggi, tipo tapas, a un prezzo più basso”. Prodotti dell'orto e non quarta gamma Il tutto orientato a una maggiore fruibilità, a contenere i costi, a minimizzare gli scarti, “usare tutto, ogni parte, bucce e ritagli inclusi. Gli scarti di una grande ricciola li usi per una puttanesca. Lo fanno anche nei grandi ristoranti, gli stessi che negli ultimi tempi hanno cominciato a usare anche cose meno costose: una volta c'erano solo astici e aragoste, poi sono arrivati sgombri e altri prodotti meno nobili” anche perché ci sono costi fissi da ammortizzare. “Anche per quello dovremo valutare bene come organizzare il lavoro di tutti”.
La cucina, invece?
Parola d'ordine: semplicità. Ma non senza consapevolezza del valore di certe tradizioni e delle potenzialità di tecniche e conoscenze attuali: “Parliamo sempre di vedere la tradizione a 10 km di distanza come dice Massimo (Bottura, ndr). E allora il nostro polpo arrosto lo mettiamo con una crema di melanzane arrostite fatta da Gaetano con tecniche nuove. È lo stesso principio della genovese di tonno”. E poi via, a raccontare ricette su ricette: dallo spaghetto con i ricci “che si farà con le cozze appena aperte, che hanno la stessa cremosità e sono perfette se le sai aggiustare nella sapidità”, all'aglio olio e peperoncino “facciamo tre cotture: una prima in cui bruciamo aglio, poi una seconda a metà e quella finale in padella, con altro olio e aglio fresco. È divertente e buona. Ma semplicissima”. E poi la polpetta di totani e patate - “meno filetti e più polpette” dice - che rilegge la grande tradizione della Costa d'Amalfi, con una salsa ketchup campana, con San Marzano, alici sotto sale e un po' di colatura, e il pesto cetarese, “una cosa interessantissima”: menta prezzemolo basilico e colatura di alici. E continua con la pasta con fondo di tonno e buccia di limone “Era una grande ricetta del mastro Cosentino, il papà di una generazione di cuochi campani. È lui che ha insegnato a usare a 360 gradi tutti i prodotti che si hanno in cucina”.
Bere il territorio
Un ritorno alla centralità del territorio anche in cantina: “stiamo pensando a fare una carta con i vini della Costa d'Amalfi, ci ragionavamo su da un po', ora siamo convinti. Anche perché” aggiunge “le persone quando si spostano vogliono bere i vini locali”. Un modo per farsi ambasciatori della propria terra e diventare un riferimento per i produttori locali, senza per questo dimenticare gli Champagne o altri vini più importanti.
Cambio di prospettiva
“Siamo tornati con i piedi per terra” dice spiegando, con un paragone che gli è caro, che è come per un calciatore quando si spengono i riflettori a fine carriera, “non essere più al centro dell'attenzione può metterti in crisi. Ora è così per tutti” riflette. E continua “ci siamo resi conto finalmente che non siamo niente. Che da un giorno all'altro si può capovolgere la nostra vita, le nostre abitudini, il nostro quotidiano. È dura, ti rendi conto che alla fine non siamo niente. A volte ci sentiamo immortali e non lo siamo”. Un cambio di prospettiva? “Sì, per noi e spero per i clienti, a loro dico 'venite con meno astio al ristorante': sedetevi con la tranquillità, e se sbagliamo qualcosa ditecelo subito, cerchiamo di correggerci, magari ci beviamo un bicchiere insieme. Cerchiamo di stare bene. In fondo” conclude “facciamo solo da mangiare, non siamo medici, non salviamo vite umane”.
Al Convento – Cetara (SA) – piazza S. Francesco, 16 – 089 261039 – www.alconvento.net
a cura di Antonella De Santis
foto di Andrea Moretti tratte dal libro L’uomo che sussurra alle alici (Ed. Catering)