Avevamo passato la giornata a analizzare regione per regione cosa si poteva e non si poteva fare riguardo alla ristorazione. In Lombardia si poteva ancora andare a pranzo, a Napoli non si poteva fare il delivery (e probabilmente in Campania questo divieto permarrà), a Messina volevano chiudere tutto e così via a seguito del Decreto dello scorso 9 marzo. Dopodiché, tutto il lavoro di ricerca è stato superato dai fatti. Come avviene ormai un giorno si e uno no, un nuovo Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri è arrivato a sgomberare il campo dai distinguo regionali e dagli equivoci: in tutta Italia il Governo ha deciso di chiudere tutti gli esercizi commerciali escluse farmacie, negozi di alimentari, profumerie, prodotti per la casa, ottici e negozi di animali. Restano aperti anche gli alberghi (sebbene non ci sia l'ombra di un turista in tutto il paese) e - paradossalmente - i ristoranti d'albergo e i bar di tutte le stazioni di servizio (oltre a quelli delle stazioni ferroviarie, dei porti, degli aeroporti e interni agli ospedali).
Si potrà fare il delivery
Si potrà però – lo ha specificato in diretta social il Capo del Governo – continuare ad effettuare la consegna di cibo a domicilio. Significa che i nostri ristoranti potranno trasformarsi in laboratori, aperti per le preparazioni di cibi che i runner (che beffardamente diventano una delle spine dorsali del paese, poi forse dovremo riparlarne) potranno consegnare nelle case per alleviare ogni tanto la routine domestica. Come ha detto la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, il delivery non va toccato perché “allevia la tristezza e risolleva l’onore”. E effettivamente, nelle lunghe settimane chiusi in casa che ci aspettano tutti, non sarebbe male ogni tanto poter ordinare cibo del nostro ristorante preferito o, chissà, di un grande ristorante gastronomico. C’è un aspetto di umore, di morale e di contrasto alla depressione che va tenuto in debito conto e la cucina ha un ruolo indubitabile in tutto questo.
I grandi ristoranti faranno consegna a domicilio?
Non è un caso, in effetti, che grandissimi ristoranti con grandissimi chef negli ultimissimi giorni, dovendo già subire la chiusura serale, si sono informati riguardo alla possibilità di passare al nuovo business delle consegne a domicilio. Qualcuno, come Irina Trattoria a Savigno o come i Cerea di Da Vittorio, lo ha proprio già fatto non pensandoci due volte: a Bergamo la situazione è brutta e tristissima, poter ogni tanto ordinare un piatto preparato da Chicco Cerea potrebbe essere una piccola svolta per scacciare la malinconia. Sembra frivolo? Non lo è. E vale per i bistrot creativi così come per le pizzerie passando per le galeterie. Nel tanto tempo che dovremmo passare in attesa che il contagio passi, sarà un piccolo esperimento da studiare e da analizzare, così come da studiare saranno le tipologie di piatti e di ricette che i cuochi decideranno di calibrare sulla nuova modalità di fruizione. Ci sarà, purtroppo, tutto il tempo di sperimentare e di capire come si muoveranno le grandi (Deliveroo, Just Eat, Glovo, Foodys, Uber Eats...) e le piccole (l'innovativa Cosaporto, ad esempio) realtà che si misurano in questo comparto: se le cose andranno come devono andare e se tutti rispetteremo le regole col massimo scrupolo, si potrà vedere una flessione della emergenza tra “un paio di settimane”, come ha detto Giuseppe Conte. Ma a quel punto non ne saremo fuori, saremo solo all’inizio della fine. Ci sarà tempo quindi anche per analizzare i sommovimenti di un altro settore adiacente: quello che non consegna cibo pronto, bensì prodotti. Benché macellerie, alimentari, verdurai potranno rimanere aperti, la spesa a domicilio sperimenta in questi tempi la sua più alta tensione di domanda. Abbiamo qualche giorno fa provato a capirci qualcosa sentendo alcuni operatori, ma la situazione è fluida e in continuo cambiamento. Da osservare.
Per tutti i ristoranti poi che non ce la faranno ad organizzarsi per offrire consegna a domicilio per queste settimane di quarantena nazionale, resta solo il tempo della riflessione e delle strategie per l'immediato futuro. Come ripartire in un paese dove non sappiamo che capacità di spesa ci sarà? Come ripartire in un mondo che non sappiamo quando tornerà ai livelli di flussi turistici di prima? Come riuscire a tenersi stretti i propri collaboratori ("puntate sullo smaltimento delle ferie", ha detto il Governo)? Per questo e per molto altro abbiamo iniziato a mettere insieme una serie di riflessioni e spunti in questi giorni.
Gli chef che avevano capito tutto
In questo scenario agghiacciante e imponderabile, bisogna dare comunque atto ai tanti ristoratori che, vedendoci più lungo degli altri, avevano capito tutto giorni prima e (eliminando qualsiasi possibilità di contatto per i loro clienti) avevano deciso di chiudere anche quando le norme consentivano di stare aperti. E' il caso in primis di Alberto Gipponi a Brescia e di Christian Mandura a Torino che hanno scritto parole di pietra sulla questione, facendo sì che molti colleghi li seguissero. Stessa cosa ha fatto Massimo Bottura a Modena. In linea generale il settore, dopo i primi sbandamenti all'insegna di inopportuni e dannosi hashtag al grido di "nonsiferma" (se ci fossimo fermati allora, non saremmo combinati così oggi), sta rispondendo con una dignità straordinaria e con un senso di responsabilità e di comunità encomiabile. Come Gambero Rosso siamo orgogliosi di lavorare in mezzo a professionisti di questa caratura e chiediamo che si faccia di tutto, a crisi terminata, per non disperdere una sola di queste professionalità, di queste unicità, di queste eccellenze.
Il settore agroalimentare può lavorare
Nell’annunciare anche la nomina di un commissario straordinario (c’è da fare acquisti urgenti per salvare vite e non mandare in tilt gli ospedali, dunque è stato scelto Domenico Arcuri, boss di Invitalia, che il mestiere degli acquisti nella pubblica amministrazione lo sa fare eccome), il Primo Ministro ha avuto delle parole anche per un altro comparto che ci riguarda molto da vicino: quello dell’agricoltura, dell’allevamento, delle filiere rurali e della trasformazione dei prodotti della terra in cibo. Ebbene tutto questo – con richiami ad una economia che fa pensare giocoforza ai grandi conflitti mondiali del Novecento – potrà continuare. Molti settori produttivi in questa drammatica crisi dovranno fermarsi del tutto o quasi, ma non quello dell'agricoltura e dunque del vino. Anche perché tra qualche settimana ci sarà necessità di brindare. Parecchio anche.
a cura di Massimiliano Tonelli