Contadini in rivolta in India. Cosa sta succedendo? Una protesta economica e sociale

31 Gen 2021, 10:28 | a cura di
L’autunno scorso, il governo indiano approvava una riforma agraria destinata a stravolgere il sistema agricolo di un Paese costituito al 70% da famiglie di contadini. Da allora, gli agricoltori sono in rivolta contro le leggi accusate di favorire le multinazionali a discapito dei piccoli produttori. E il braccio di ferro sta paralizzando l’India.

La presa del Forte Rosso di Delhi

Da mesi, l’India è in allerta per le proteste diffuse degli agricoltori, in dissenso con le nuove leggi in materia di agricoltura approvate dal governo di Narendra Modi, senza prima consultare le parti in causa. Col passare delle settimane l’insofferenza è montata fino a degenerare in scene da guerriglia urbana, con le forze armate chiamate ad arginare la rabbia dei manifestanti, sfociata in episodi di violenza. Quella che si configura, dunque, è una vera rivoluzione agricola che ha già trovato il suo simbolo nella “presa” del Forte Rosso, lo scorso 26 gennaio, nel giorno della Festa della Repubblica, a opera dei contadini in rivolta. Tra i monumenti più celebre di Delhi, la cittadella rossa costruita in epoca Mughal è stata vandalizzata dai manifestanti, riportando danni evidenti ancora non quantificati dalle autorità. Sono queste le immagini che hanno fatto il giro del mondo, sovrastando il senso di una protesta che in realtà molti agricoltori stanno conducendo pacificamente ormai da due mesi alle porte della città e in altre località indiane.

Contadini assaltano il Forte Rosso

La riforma agraria di Modi

Cosa sta succedendo, davvero, in India? E perché il settore agricolo è in rivolta? All’inizio di novembre scorso, più di 200 sindacati agricoli di 22 stati indiani organizzavano un blocco stradale nazionale contro la riforma agraria introdotta all’inizio dell’autunno dal primo ministro Modi, che in India governa con la maggioranza assoluta, accusato di avvantaggiare le multinazionali a discapito degli agricoltori. Il disappunto è legato principalmente all’abolizione del sistema tradizionale dei mercati “mandi”, che permette agli agricoltori di vendere direttamente i propri prodotti a punti di raccolta statali presenti nei centri rurali, confrontandosi con il governo locale per il pagamento di eventuali dazi e tasse. Un sistema, questo, che garantisce grande potere economico ai governi locali, di fatto principali distributori dei prodotti agricoli del territorio di pertinenza (non a caso, le istituzioni locali si occupano anche dello stoccaggio dei prodotti, mediante agenzie pubbliche). A beneficiarne, finora, sono stati soprattutto gli Stati più produttivi, come il Punjab e l’Haryana, considerati i granai dell’India, che gestiscono il commercio dell’85% dei cereali in India, godendo di un prezzo calmierato.

La liberalizzazione favorisce le multinazionali?

L’intenzione della riforma agricola, invece, è quella di favorire gli investimenti privati per produzione e distribuzione, sottraendo potere agli stati locali, per stimolare la competitività nel settore agricolo. Ma questo minaccia di complicare l’attività dei contadini, abituati ad avere un referente diretto e sicuro per la vendita dei propri prodotti, senza l’interferenza di intermediari (mentre il timore più grande è che al sistema “statale” si sostituiscano potenti monopoli privati, disinteressati a retribuire il lavoro dei contadini al prezzo finora garantito, e pagato in anticipo, dagli Stati; ma il governo centrale assicura che non sarà abolito il “prezzo di sostegno minimo”). La questione riguarda il 70% delle famiglie indiane, dipendenti dal lavoro agricolo su piccoli appezzamenti e già prostrate dalla siccità. Inoltre, la liberalizzazione del commercio agricolo finirebbe, inevitabilmente, per danneggiare gli stati che finora hanno proliferato sulle proprie risorse agricole. Ecco perché, dietro alla protesta che ormai infiamma il Paese, a partire dalla prima “marcia” su Delhi, si intrecciano motivi economici, sociali e politici, interdipendenti gli uni dagli altri.

Contadini protestano in India

L’assedio di Delhi

Dopo settimane di proteste, all’inizio di dicembre, mentre migliaia di persone scioperavano a sostegno del settore agricolo (paralizzando anche la circolazione ferroviaria), il governo è tornato a riunirsi per discutere eventuali emendamenti alla riforma, presentati dal partito di opposizione, il Congresso Nazionale Indiano, che ha sempre sostenuto gli agricoltori nella rivolta. L’impossibilità di giungere a un compromesso, nonostante i ripetuti negoziati e l’intercessione della Corte Suprema (che all’inizio di gennaio ha bloccato la riforma per esaminarne la validità costituzionale), però, ha rinsaldato la resistenza degli agricoltori, che tuttora sono accampati alle porte della capitale indiana, con i loro trattori al seguito. Così si arriva agli ultimi giorni, con la disponibilità del Ministro dell’Agricoltura a rinviare per un periodo di 18 mesi l’introduzione delle nuove leggi, per ridiscuterle con i sindacati. Proposta al vaglio del movimento agricolo, che però non ha impedito ai manifestanti – decine di migliaia di agricoltori – di entrare a Delhi con mezzi agricoli e cavalli lo scorso 26 gennaio, nel corso di una marcia autorizzata che ha finito per deviare dal percorso consentito, rompendo le barricate della polizia. Bilancio: un morto, centinaia di feriti, diversi arresti. Ora i sindacati, che hanno condannato le violenze - come peraltro la maggior parte degli agricoltori, che hanno sempre agito in modo pacifico - premono per la prudenza: la marcia verso il Parlamento prevista per il prossimo 1 febbraio è stata cancellata. Sarà invece indetto uno sciopero della fame. Resta da capire come – e se – sarà possibile trovare un accordo, mentre il governo di Modi annaspa tra le difficoltà.

 

a cura di Livia Montagnoli

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