Addio nonne, ora le conserve le fanno gli chef. Ecco come i cuochi italiani rivoluzionano gli iconici barattoli

6 Set 2024, 18:12 | a cura di
La conservazione degli alimenti stagionali è una pratica antica legata all'artigianalità del cibo che molti chef, ancora oggi, portano avanti nei loro ristoranti

La fine dell’estate è il “tempo delle conserve” per eccellenza. La preparazione della passata di pomodoro è tradizione nel Sud Italia: tutta la famiglia si riunisce per infilare in barattoli e bottiglie l’oro rosso da consumare in inverno. Ma ci sono ancora persone che portano avanti tradizioni antichissime, come quella dell’astrattu in Sicilia. L’economia domestica alla vecchia maniera insegna che conservare ortaggi o fare marmellate è cosa buona e giusta, eppure nell’èra dei cibi ultraprocessati, l’artigianalità è difficile da mantenere. Sono sempre più rare le preparazioni in casa di sottaceti, sottoli, confetture, ma tra gli chef questa pratica non è mai tramontata. Molti cuochi e cuoche, anche di grandi ristoranti italiani, hanno il merito di aver ripreso (e in parte continuato) questa grande tradizione, il alcuni casi anche “destagionalizzato” le conserve, cominciando a produrle tutto l’anno e non fermandosi solo agli ortaggi, ma spingendosi fino a cedri sotto sale o candidi, come nel caso di Caterina Ceraudo del ristorante Dattilo di Strongoli (Crotone), o il pesce, come fa da oltre vent’anni Moreno Cedroni (ristorante Madonnina del Pescatore) che mette in barattolo anche polpo e seppie.

Le conserve degli chef

Ma perché a un certo punto gli chef hanno cominciato a fare le conserve? Alcuni portano avanti delle tradizioni familiari, ma lo fanno anche perché pensano sia un atto sociale, come spiega Giulio Gigli del ristorante Une di Capodacqua (Foligno): «Le conserve nascono anche dalla necessità di conservare un prodotto presente solo in un determinato periodo dell’anno, nella stagione in cui ce n’è in gran quantità. Poi la tradizione insegna che la conserva è un momento di incontro: quando c’è abbondanza di un prodotto si lavora tutti insieme per alleggerire le operazioni, ed è quindi un atto sociale. A me ha insegnato tutto mio nonno, facevo le conserve con lui. Ho ereditato i suoi barattoli e li tengo ancora per fissare tutto nella memoria». Ma è anche un gesto verso l’ambiente, Gigli continua: «Il fatto di conservare ci permette di utilizzare prodotti fuori stagione, aggiungere degli elementi, dei sapori che altrimenti non potresti usare».

Il fattore ambiente e sostenibilità sta anche a cuore a Caterina Ceraudo, che ha un orto adiacente al suo ristorante: «Un terreno con agrumeto di 5mila ettari dal quale produciamo limoni, cedri, arance, mandarini, un po’ di tutto, anche ortaggi come melanzane e zucchine. L’idea è quella di seguire la vecchia economia domestica applicata al ristorante per evitare sprechi»; e anche ad Alice Delcourt del ristorante Erba Brusca di Milano affida la sua motivazione a un fatto ambientale, economico e sostenibile ma non tralascia il gusto delle cose: «I prodotti così conservati hanno un sapore più complesso e rendono il piatto stesso più complesso. Per esempio, se la ricetta ha alla base un peperone fritto e ci aggiungi un battuto di peperoni fritti con crema di peperoni fermentati accanto, il tutto ha un’esaltazione diversa». Più filosofico e ancestrale il motivo per cui Moreno Cedroni fa conserve di pesce da oltre vent’anni: «Mi ero invaghito dell’immortalità del cibo, il concetto proprio di conservare del cibo in queste scatolette che dura nel tempo».

Le tecniche di conserva

Sottaceti, confetture, sottoli, sotto sale, fermentazione. Le conserve degli chef sono fatte con metodi diversi in base al prodotto che si sta lavorando. Al ristorante Une, dove si producono tra gli ottocento e mille barattoli l’anno, si conservano frutti, ortaggi ma anche fiori: «Raccogliamo quelli di acacia, sambuco, ginestra, aglione e ci facciamo degli aceti aromatizzati», racconta Gigli che spiega come, oltre alla tecnica del sottolio e sottaceto abbina anche altre che ha sperimentato con il tempo: «Prendiamo della frutta cruda, la mettiamo in barattoli e ci aggiungiamo un liquido bollente fatto con acqua, aceto, zucchero e sale, una foglia di shiso, e poi sterilizziamo a 95 gradi per 45 minuti». La tecnica del sotto sale viene usata da Caterina Ceraudo: «Dal nostro agrumeto prendiamo i cedri li puliamo per bene, da interi togliamo solo la parte superiore del picciolo, incidiamo una croce e poi li mettiamo nel barattolo aggiungendo sale e zucchero in uguali quantità. Li teniamo così in frigo per diversi mesi: da gennaio, febbraio che è periodo di raccolta fino ad agosto per usarli nei piatti. Poi va consumato entro un annetto».

Conserve Giulio Gigli - Ph. Andrea Di Lorenzo

Le conserve sono destinate anche alla vendita, come fa Alice Delcourt con il suo kimchi di cavoli; Moreno Cedroni con le conserve di pesce e Caterina Ceraudo con confetture e succhi a cui hanno aperto degli shop online, Gigli invece riserva le sue creazioni in barattolo solo ai clienti che vanno a mangiare in Umbria. Ma in generale le conserve finiscono nei piatti di questi quattro chef e di tanti altri. «Conservo tanti prodotti, ad esempio le melanzane, le zucchine, le destiniamo alle degustazioni enologiche: se ci sono visite in cantina offriamo anche i prodotti dell’orto per far assaggiare totalmente la nostra terra. Ma poi uso le conserve anche per i piatti al ristorante: con il caramello di peperone faccio la ricciola glassata, con il cedro sotto sale, un’insalatina e i canditi li utilizzo per dolci e panettoni», dice Ceraudo.

Alice Delcourt, invece, oltre al kimchi, usa «aceti di frutta per condire i dolci, o chutney da abbinare alla carne, ma poi gli ortaggi sottolio e sottaceto che produciamo sono tanti e li usiamo per completare i piatti: cipolla, cipollotto, carota, finocchio, cavolo rapa, cavolo cappuccio».
Più elaborata la lavorazione delle conserve di pesce di Cedroni: «Ho studiato l’argomento, ho creato un laboratorio per produrle. Abbiamo iniziato con ricette della tradizione come seppie con piselli, polpo con patate, tonno bianco al rosmarino, ventresca di tonno, uova di seppia e trippa, coda di rospo, ma produciamo anche tre sughi: arrabbiata di pesce, amatriciana e pomodoro e basilico. Facciamo tutto internamente: dopo la cottura, riponiamo tutto nelle scatoline e poi sterilizziamo, al momento siamo a circa cinque/seicento pezzi all’anno che vendiamo online». C’è anche una conservazione fatta tramite pastorizzazione come le marmellate agrodolci senape, zenzero e giardiniera e la produzione di due bevande analcoliche. Oltre alla vendita, Cedroni valorizza le conserve usandone alcune nei piatti: «Nel fish e chips uso lampone e zenzero e salsa giardiniera».

Kimchi di Alice Delcourt

Conserve: un amore contagioso fra i cuochi

Il mondo delle conserve coinvolge molti chef che preferiscono utilizzarle per ridurre gli sprechi di cibo, come fa Nicoletta Franceschini del ristorante Silene di Foligno che mette nei barattoli salicornia, fichi acerbi, fiori; o ancora c’è chi ha costruito un nuovo business parallelo al ristorante, parliamo di Luca Marchini che con la sua Bottega da Re conserva non solo ortaggi per giardiniere o confetture, ma si è spinto anche a conservare il pesce e la carne. La lista è lunga: c’è Alessio Brusadin che ha lasciato la cucina per mettersi a produrre conserve a Pordenone (ne avevamo parlato qui); Omar Casali del ristorante Marè di Cesenatico che ha creato la linea sottovetro, Indispendabili tra cui spiccano la Salsa Margherita, i fichi caramellati, la cipolla in agrodolce e carciofi con aglio nero e rosmarino; Valeria Piccini del ristorante Da Caino a Montemerano che ha creato La Dispensa di Caino, tra i prodotti da provare il sugo di cinghiale in barattolo.

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram