A Genova c’è un posto magico. Si chiama Romanengo ed è la confetteria più antica d’Italia. Un luogo che è un tutt’uno con la storia della città e del suo porto, la rotta delle spezie, l'eredità araba della canditura e l’arte della confetteria e della cioccolateria condivise con la vicina Francia.
La proposta storica
Due sedi, via Roma, risalente agli anni '20 nel Novecento, e via Soziglia, aperta nel 1814, luogo di grande eleganza, fuori dal tempo: si resta incantati dallo splendido bancone che propone mille prelibatezze. La raffinatezza è la caratteristica più evidente, lo si capisce immediatamente anche solo osservando la confetteria, fiore all'occhiello della produzione, insieme al cioccolato. Ottimi i fiori cristallizzati, che raccontano la Liguria, i marron glacé (quando è stagione), le gocce di rosolio, i confetti con mandorle di Avola, pinoli, pistacchi di Bronte, scorze di arancia candita, fili di cannella.
Valgono l'assaggio e l'ammirazione tutti i prodotti in assortimento: la pralineria, la pasticceria (con le strepitose paste di mandorla, i canestrelli, le meringhe), i distillati e gli sciroppi, prodotti unici, spesso da antiche ricette tramandate nei secoli. In autunno dominano i dolci di Ognissanti, la primavera è delle specialità quaresimali: le lavorazioni interamente frutto di una maestria artigianale quasi unica. Il packaging, inutile dirlo, è raffinatissimo.
L’epica dei Romanengo
La storia dell'impresa è lunga, si risale al 1780 con l'attività di speziale di Antonio Maria Romanengo (originario di Voltaggio, nell’appenninica Val Lemme), che a Genova commercia nei prodotti esotici che fin lì hanno mosso le sorti del mondo, come zucchero, cacao, caffè, o le spezie, dal pepe alla cannella, dalla noce moscata allo zenzero. Antonio Maria, insieme ai figli Francesco e Stefano, amplia ai dolci la produzione aziendale: i due ragazzi hanno acquisito la patente di “confettieri”, già allora antica arte peculiare della città.
È Stefano, nel 1814, ad aprire la bottega di via Soziglia, quella che oggi splende nel suo fascino, grazie soprattutto al radicale restauro voluto nel 1852 dal figlio Pietro (il cui nome campeggia tutt’ora nell’insegna, insieme a quello del padre), anch’egli confettiere e speziale, che porta l’azienda al successo internazionale. Grazie al talento nella pasticceria, ma anche all’ottimizzazione produttiva, nella seconda metà dell’Ottocento la fama di Romanengo è tale che, nel 1868, le sue prelibatezze vengono scelte per le nozze reali del Principe Umberto con Margherita di Savoia.
Il Novecento, le guerre, le nuove sedi
L’avvio del nuovo secolo è un periodo più complicato, sia per le vicende familiari (dopo la morte di Pietro Romanengo, la sua eredità viene raccolta dai figli Stefano e Carlo) che per l’avvento della Prima Guerra Mondiale. A questo punto sono i figli di Carlo, Pietro ed Emmanuele, a prendere le redini dell’azienda; dopo la scomparsa del fratello, Pietro deve rimboccarsi le maniche e acquisisce, nel 1926, il terreno di viale Mojon, dove impianta lo stabilimento produttivo che ancora serve le diverse sedi di Romanengo.
In questi anni viene aperta anche la nuova bottega in via Roma, in un palazzo dei Berio (nota famiglia di oleari di Oneglia): tutt’oggi aperta, anch’essa con il suo fascino immutato, il pavimento a scacchiera di marmo, tra specchiere, lampadari e mobili d’epoca. Arriva la Seconda Guerra Mondiale, con l’inevitabile strascico di difficoltà e carenza di materie prime, ma la famiglia anche stavolta riesce a ripartire. Durante il boom economico è Giuseppe a dirigere ed espandere il business, seguito, negli anni ’80, da i figli Pietro e Paolo.
La nuova compagine societaria e l’approdo a Milano
La famiglia Romanengo attraversa epoche e guerre e oggi è ancora alla guida dell'insegna, con Pietro (Responsabile della Qualità), Giuseppe e Francesco (a capo della produzione), affiancati, dal 2019, dall'imprenditore francese Jean-Sébastien Decaux, che detiene la maggioranza della holding. Decaux vive in Italia e ha un legame affettivo con la Liguria: abbraccia la vocazione di alta artigianalità che da sempre contraddistingue l’azienda, ma non trascura di innovare. E alla fine del 2022, infatti, l’arrivo dell'impresa a Milano ha fatto molto parlare di sé. Sotto l'insegna Romanengo 1780, in via Caminadella 23, a pochi passi dalla Basilica di Sant’Ambrogio, un locale ovviamente bellissimo, firmato dall’architetto Filippo Meda e dallo studio spagnolo Cousi Interiorismo.
Deliziosa corte interna e ambienti differenziati tra Confetteria e Bottega delle Spezie (che richiama la vocazione settecentesca del primo negozio aperto), tanto verde petrolio, ocra, parati floreali. Se ovviamente qui le specialità della confiserie sono protagoniste, non manca una proposta dagli accenti più "urbani", con light lunch e sala da tè, nella Corte, che inaugura la somministrazione nelle insegne Romanengo. Dopo Milano, altro luogo scelto per portare la propria produzione è Venezia, con un corner nello sfavillant Fondaco dei Tedeschi, attivo dallo scorso luglio.
Il legame con l'agricoltura responsabile
A far da filo conduttore a questo slancio verso il futuro, un ritorno alle radici: l'innovativo progetto agricolo della Cascina Romanengo, in Val Lemme. La terra d’origine del fondatore Antonio Maria Romanengo, infatti, ospita oggi la cascina biologica e rigenerativa che produce molte delle materie prime utilizzate dall’azienda nella produzione.
Siamo a Capriata d’Orba, sull’Appennino ligure, al limitare tra Monferrato e Liguria: se nei mesi autunnali si omaggiano le castagne, tra maggio e settembre sono i fiori e i frutti di varietà locali a catalizzare l’attenzione, ma anche il frumento, in un approccio partecipativo e formativo molto attento a promuovere un’agricoltura più responsabile (che ha appena valso a Romanengo il premio Bandiera Verde 2024). In azienda anche 14 ettari di bosco, mantenuti integri per preservare la biodiversità dell'intero areale.