La trasformazione della carne secondo Maple Leaf
Più di un secolo di storia, ma una visione aziendale che guarda al futuro. Si configura come la più classica dichiarazione di intenti la mission di Maple Leaf, colosso canadese dell’industria alimentare specializzato nella lavorazione della carne, al motto di Raise the Good in Food. E nello specifico, della necessità di operare scelte responsabili nell’ambito dell’industria di trasformazione delle proteine animali, Maple Leaf ha fatto una bandiera di cui ammantarsi, in nome della sicurezza del consumatore e della sostenibilità ambientale. Dunque, sono diversi gli sforzi documentati in tal senso: i report per certificare la trasparenza della filiera, l’eliminazione di coloranti e additivi artificiali (ma non l’utilizzo di antibiotici in allevamento, seppur ridotto “al minimo”), una riduzione dell’emissione di carbonio fissata al 50% entro il 2025, la lotta allo spreco. “Aspiriamo a essere il gruppo di lavorazione della carne più sostenibile del pianeta”, ribadisce con forza un altro claim aziendale. Con un pacchetto nutrito di brand all’attivo, Maple Leaf porta sulle tavole canadesi e americane bacon, prosciutto, hot dog, salsicce, tacchino e pollo arrosto, e molti altri prodotti a base di carni lavorate.
Proteine alternative. La “carne” vegetale è il business del futuro?
Ma proprio perché guardare al futuro è una legge imposta dal mercato, ancor prima che da valori etici, l’ultimo progetto messo in cantiere dal gruppo canadese amplia decisamente gli orizzonti d’interesse aziendali. Ed è emblematico di un trend che sta facendo proseliti nel mondo dell’industria di trasformazione alimentare, sollecitando grandi gruppi e multinazionali a intercettare abitudini di consumo che cambiano. La stessa Maple Leaf, già cinque anni fa, ha iniziato a interessarsi al business delle proteine vegetali come alternativa a quelle animali, investendo nell’acquisizione di realtà specializzate nella produzione di surrogati vegetali.
Il grande stabilimento alternativo di Maple Leaf
Ma è la decisione di finanziare la realizzazione del più grande stabilimento per lo sviluppo e la lavorazione di “carne” vegetale del Nord America a segnare una decisa strategia di diversificazione del prodotto. L’impianto (per il marchio Greenleaf Foods) sorgerà in Indiana, e costerà al gruppo 310 milioni di dollari, raddoppiando la capacità di produrre i cosiddetti surrogati – come il Lightlife Burger, che in Canada fa concorrenza al più celebre Beyond Burger - che sono sempre più richiesti dal mercato americano. Entro il 2020, dunque, e con l’assunzione di 460 nuovi dipendenti, Maple Leaf porterà a termine un processo di aggiornamento che la vede in prima linea nell’evoluzione dell’industria alternativa della carne, passata dall’essere un segmento di nicchia a un circuito mainstream, con l’obiettivo di servire prodotti simili – per qualità organolettiche e proprietà nutritive (con margini di miglioramento rispetto ai lavorati da proteine animali) – alle più diffuse specialità per carnivori, dall’hamburger all’hot dog.
Chi investe nel mercato delle proteine vegetali
Senza nessun timore di cannibalizzare il proprio core business, dal momento che l’alternativa farà presa sulla fascia di consumatori che non hanno mai consumato carne, o su chi, per motivi di salute, non può più consumarne regolarmente. E infatti non si tirano indietro gli altri big interessati a ottenere un buon piazzamento sul nuovo terreno di gioco: Tyson Foods, gigante della trasformazione della carne, ha investito molto nel Beyond Burger, di cui ora possiede il 5% delle quote; Impossible Foods, col suo prodotto di punta Impossible Burger, ha recentemente stretto un accordo con Burger King per divulgare presso un pubblico insolito il suo Impossible Whopper. Mentre anche Nestle corre ai ripari, investendo nella creazione del suo Incredible Burger, venduto per il marchio Garden Gourmet e pronto a entrare in distribuzione in Europa, come prodotto surgelato, entro il mese di maggio.
a cura di Livia Montagnoli