Sorprendere i clienti con un fine pasto memorabile, forse, è una delle sfide più difficili che i pizzaioli moderni debbano affrontare. Il cliché del tipico dessert da pizzeria - ricordate la panna cotta o il tartufo al cioccolato? – ha perso terreno a favore dell’arte pasticcera, declinata in agili monoporzioni. Anche il recente trend della pizza dolce, dopo un esordio all’insegna di creme spalmabili e snack ad alto tasso zuccherino, ha visto crescere l’offerta prodotti di qualità. Ora la posta in gioco è alta: nelle pizzerie ci aspettiamo di trovare dolci all’altezza della degustazione, in grado di stuzzicare il palato e rispecchiare pienamente la filosofia del locale. Impresa ardua, ma non impossibile.
Abbiamo chiesto ai pizzaioli di raccontarci l’evoluzione dei loro dessert
Abbiamo chiesto ad alcuni pizzaioli di raccontarci l’evoluzione dei loro dessert, per approfondire il processo tecnico e creativo che li contraddistingue. C’è chi punta dritto sulla pizza dolce, perfezionando il topping con un sapiente accordo di sapori e consistenze, e chi può vantare una carta di dessert realizzati da pastry chef di alto livello. Tutti, però, adottano soluzioni versatili, studiate nel dettaglio e cucite su una clientela sempre più variegata. Per salutare gli ospiti con una coccola e per lasciare un ultimo incisivo ricordo dell’esperienza.
Franco Pepe- Pepe in Grani (Caiazzo)
Partiamo dalla carta dei dolci di Pepe in Grani, qui il filo conduttore è senza dubbio la pasta lievitata e fritta: “I dessert tradizionali, come la crostata di ricotta e pistacchio, fanno da supporto alle varie interpretazioni di pizza dolce, che sono una parte fondamentale del menu. Nell’80% dei casi i clienti preferiscono queste ultime”, ci spiega Franco Pepe. Tutto ha avuto inizio dalla Crisommola (prima pizza dolce premiata dalla guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso) grazie a alla quale il maestro pizzaiolo ha valorizzato le albicocche del Vesuvio, frutti a rischio di estinzione recentemente entrati nei presidi Slow Food, che si caratterizzano per una combinazione unica di dolcezza e acidità. La base è costituita da un disco di impasto fritto in olio altoleico a 190 °C; sulla superficie dorata e croccante sono adagiati ciuffi di ricotta di bufala, scorza di limone, confettura di “crisommole”, nocciole tostate, olive caiazzane disidratate e foglie di menta fresca. La pizza dolce viene servita in tranci che, oltre ai dettagli e gli effetti cromatici del topping, mettono in risalto l’alveolatura del singolo spicchio.
Dopo la Crisommola è arrivata la Cerasella firmata da Stefano, il figlio di Pepe: in questo caso la pizza fritta è farcita con Falernum, sfoglia fredda di fior di latte all’arancia, fondente fuso, menta, fior di sale, scorza d’arancia e ciliegie sotto spirito. “Ho sempre voluto proporre anche sfizi realizzati con la pasta della pizza, come gli straccetti miele e rosmarino e il cono dolce. Per il nuovo menu mio figlio Stefano ha messo a punto un cono di pastiera fritta dedicato ad Alfonso Pepe, grande pasticcere scomparso da poco che porta il nostro stesso cognome. Non eravamo parenti, ma ci legava un rapporto di stima e Stefano ha voluto omaggiarlo in questo modo”. Il cono racchiude un ripieno di crema pasticcera, fiordilatte, canditi, nocciole tostate, zucchero, cannella e arancia: l’accostamento riproduce i sapori del dolce campano, con l’involucro fritto e croccante a far da apripista.
Ivano Veccia- Qvinto (Roma)
Da Qvinto i dessert comprendono le pizze dolci stagionali di Ivano Veccia e le creazioni del pastry chef Alessandro Capotosti. “La pizza dolce, molto amata, rappresenta l’ultima tappa di un percorso degustazione. Viene richiesta spesso dai gruppi, ma è capitato anche che una singola persona la ordinasse e terminasse da sola. Chi ama i dolci monoporzione, invece, sceglie i dessert di Alessandro, che sono eccezionali; con lui stiamo pensando di collaborare nei prossimi mesi”, racconta Veccia. Non sarebbe la prima volta: quattro anni fa, tentando di realizzare una pizza dolce con tutti gli ingredienti cotti in forno, il pizzaiolo studiò insieme al pasticcere Antonino Maresca una rielaborazione della Tarte Tatin: “Venne benissimo, ma volevo creare qualcosa che richiamasse le mie origini ischitane, quindi modificai completamente la ricetta insieme allo chef Nino di Costanzo, mio grande amico”. Così è nata la sua pizza dolce dedicata allo strudel napoletano, che ogni anno torna in carta a partire da settembre. La base prevede una crema al forno su cui sono adagiate mele annurche caramellate con lo zucchero, pinoli tostati, scorza di limone e arancia, polvere di cannella e uva passa “bagnata nello Strega per dare un tocco vintage al topping”. A fine giugno, invece, entra in menu la Ficata, condita in due tempi separati: “Per prima cosa realizzo una base da infornare con crema e caramello in polvere speziato. Dopo la cottura gli ingredienti si rapprendono, formando uno strato solido: in quel momento aggiungo fichi, mandorle e germogli di basilico greco”. Entrambe le pizze sono servite con una pallina di gelato alla vaniglia, per bilanciare il dolce con un guizzo di freschezza.
Francesco Martucci- I Masanielli (Caserta)
La sua è una pizzeria con cucina-laboratorio di 320 metri quadri, che può vantare dolci studiati ad hoc -e prodotti in loco- da una pastry chef professionista: Lilia Colonna, compagna di vita e di lavoro. Ecco spiegata la ricca carta dei dessert con cui il maestro pizzaiolo Martucci delizia i suoi ospiti. “Molti li affiancano agli standard dell’alta ristorazione, non per sminuire il concetto di pizzeria, ma per valorizzare la nostra ricerca, che investe anche l’atto finale dell’esperienza gastronomica. Ora stiamo lavorando al nuovo menu degustazione di 10 portate, in cui Lilia ha avuto un ruolo fondamentale. Per dirla in altre parole, ha pensato una chiusura degna di Jimi Hendrix”. Ma come si inseriscono i dessert in un percorso incentrato su una grande pizza? “Il dolce è la prima cosa che il cliente ricorda, proprio perché è l’ultima che ha mangiato. Noi abbiamo una pasticcera con un’identità forte e un timbro riconoscibile fra tutti. Inutile dire che Lilia è attentissima ai dettagli, dalle singole varietà di cacao, alle farine. Ma, soprattutto, il suo talento le consente di esprimersi in modo originale e sorprendere le persone con un gusto a cui non sono abituate”. È quel che accade con il Figo (a base di pasta sfoglia, namelaka di ricotta di bufala, melassa di fico bianco e fico essiccato del Cilento), in cui la sfoglia tirata a mano è sottoposta a oltrecottura, sviluppando un retrogusto amarognolo che bilancia la dolcezza dei frutti maturi. O con la Black Forest, dove tre tipi di cioccolato, amarene candite e in composta creano un sorprendente gioco di consistenze. Dulcis in fundo? Si, ma con cautela: “In pizzeria bisogna ottenere un risultato equilibrato, stemperando gli eccessi di dolcezza. L’ultima cosa che vogliamo è un fine pasto stucchevole”.
Pier Daniele Seu- Seu Pizza Illuminati (Roma)
Sulle preferenze dei Seu-addicted, il pizzaiolo romano non ha dubbi: “La clientela si divide al 50% fra chi sceglie la pizza dolce e chi un fine pasto al cucchiaio”. In effetti i dessert, da Seu Pizza Illuminati, puntano sulla varietà e si rinnovano costantemente. “Per l’estate ho voluto introdurre dolci freschi, come la macedonia servita con una quenelle di sorbetto di Marco Radicioni (gelatiere di Otaleg a Roma)”, racconta Seu. “Il suo punto di forza è la combinazione di frutta e verdura: cetrioli, carote e sedano sono messi in osmosi con il succo della frutta stessa, per ottenere una consistenza particolare e un sapore concentrato. Il nostro menu prevede anche sorbetti variegati e cheescake; uno dei fine pasto più amati, però, rimane il Tiramiseu, perché evoca il fascino della ricetta storica attraverso una rivisitazione personale e contemporanea. Ecco, credo che i clienti siano in grado di capire se dietro la realizzazione di un dolce c’è un percorso ben studiato: i dessert hanno senso solo se coerenti con l’identità che la pizzeria ha costruito”.
D’altra parte, le pizze dolci giocano un ruolo fondamentale. Il dettaglio che fa la differenza è un metodo di cottura specifico, che Seu ha messo a punto per preservare la morbidezza del disco e, al tempo stesso, ottenere una consistenza piacevolmente croccante. Parliamo della caramellizzazione dell’impasto: dopo la stesura, il pizzaiolo bagna leggermente la superficie prima di aggiungere lo zucchero di canna. In questo modo i granelli si fondono con la pasta durante il passaggio in forno. Il risultato? Una crosta sottile e impalpabile che sprigiona la fragranza tipica del caramello. Con queste premesse, Seu realizza i topping più estrosi: dalla versione Fior di Fragola (farcita con ricotta mantecata al lime, fragole in osmosi, purea di fragola, mandorle sabbiate e menta), premiata dalla nostra Guida Pizzerie d’Italia 2019 come migliore della categoria, alla new entry Pizza Colada (stessa base caramellata con ricotta mantecata al lime, ananas marinato al rum, purea di cocco, cocco disidratato e menta). “Hanno sempre avuto una risposta importante da parte del pubblico, quindi ne offriamo 5-6 gusti diversi a rotazione durante l’anno. In generale, secondo me è un trend che si affermerà sempre di più nelle pizzerie. Le pizze dolci sono una novità interessante su cui lavorare, a patto di non sovraccaricare l’impasto con ingredienti di scarsa qualità, che penalizzano l’armonia del topping”.
Gianni di Lella- Pizzeria La Bufala (Maranello)
“Credo che clienti, attraverso la pizza dolce, possano scoprire il piacere della degustazione e approcciarsi a sapori diversi. Questo prodotto è ancora poco diffuso e chi ne ha fatto il proprio campo di sperimentazione ha l’opportunità di affermare qualcosa di assolutamente nuovo”. Così il pizzaiolo di origini campane, premiato lo scorso anno dalla nostra Guida Pizzerie d’Italia con la pizza dolce Tarte Tatin, sintetizza il suo pensiero. Di Lella punta anche sul gusto agrodolce delle tonde a degustazione, come la pizza Da Amalfi in Emilia con crudo di Parma, fiordilatte, stracciatella, scorze di limone e colatura di amarene modenesi. L’obiettivo? “Trasferire gradualmente sulla pizza la stessa ricerca che anima i piatti di uno chef. Per questo è importante il confronto con cuochi professionisti, che possono ampliare la visione del pizzaiolo: io collaboro con Pier Paolo Ferracuti e Richard Abouzaki (che, oltre al ristorante Retroscena, hanno inaugurato da poco La sera pizza vista mare a Fermo)”.
Tornando alle pizze, Di Lella passa dalla rivisitazione creativa dei dessert tradizionali all’illusione ottica dei condimenti salati. La Tarte Tatin, ad esempio, è farcita con mele Granny Smith caramellate al profumo di calvados invecchiato, per riprodurre la crosticina tipica della torta cotta in forno; in uscita il pizzaiolo aggiunge anche gelato alla crema e menta al profumo di cioccolato, che apportano un tocco di freschezza al topping. Nella Margherita non Margherita, invece, l’apparenza inganna: al posto della mozzarella c’è una meringa all’italiana e la classica salsa è sostituita da una marmellata di pomodoro alle fragole. L’unico ingrediente in comune è il basilico fresco, punto d’incontro fra dolce e salato. Anche sul fronte degli impasti la sperimentazione è sempre in atto: “Sto utilizzando un impasto con farina di riso Artemide, perché il suo sapore pulito -quasi neutro- valorizza al meglio il topping. Una base poco invadente ha il pregio di esaltare materie prime di qualità”. Il ristorante offre anche dessert al cucchiaio, come il tiramisù o la torta tenerina con mascarpone sifonato, ma Di Lella “spinge” la clientela verso le pizze dolci. Oltre ai gusti già collaudati -fra cui spiccano anche Zuppa Inglese e Tiramisùlapizza- tra poco inserirà in menu una versione dedicata alla Lombardia, per omaggiare la regione più colpita dall’emergenza Covid. Con quali ingredienti? Lo scopriremo presto.
a cura di Lucia Facchini