La colazione in Corea
Riso, carne, verdure. E fermentati. Sono questi i capisaldi della cucina coreana, una tavola antica, considerata fra le più salutari al mondo, spesso oggetto di studi scientifici che hanno confermato l'effetto positivo di questo tipo di alimentazione riguardo – tra le altre cose - al rischio diabetico e cardiovascolare. Merito delle materie prime usate e di una delle tecniche base della tradizione, la fermentazione, metodo di conservazione che dà origine a un trama aromatica complessa e sfaccettata, inconsueta per il gusto occidentale, ma intensa e avvolgente. Anche al mattino, il pasto si compone di piatti speziati dai profumi vivi e penetranti, con riso – ingrediente sempre presente – galbi e il celebre kimchi, oltre alla recente invenzione del tost-u, un sandwich ripieno di uova e cavolo e cosparso di zucchero muscovado, venduto principalmente come street food nei chioschi del Paese. Ecco quindi le tradizioni della colazione coreana e la ricetta per fare il kimchi in casa.
I banchan e la tradizione del kimchi
Usanza radicata nella cultura coreana è quella dei banchan, ovvero dei piccoli assaggi di pietanze tipiche, definiti contorni, e serviti insieme al riso. Porzioni contenute, simili alle più note tapas spagnole, da consumare durante il pasto per accompagnare le portate principali, diffuse in tutto il Paese ma in particolare nella provincia di Jeolla, dove vengono preparate quotidianamente. La colazione non fa eccezione, e fra i banchan immancabili, c'è l'onnipresente kimchi. Simbolo della cultura culinaria locale, il kimchi è un fermentato di cavolo cinese, ma ne esistono anche altre varietà preparate con ingredienti diversi, dal rafano ai cetrioli. Un alimento che in passato veniva preparato in casa, nelle giare di terracotta dove subiva il processo di fermentazione che gli conferiva quell'aroma e sapore inconfondibile, ma che oggi viene molto spesso realizzato a partire da preparati. Una pratica antica, quella della conservazione dei vegetali, in principio effettuata solo con il sale, col tempo anche con altri condimenti che, insieme all'acido lattico, danno il via alla fermentazione. Un'usanza nata, come spesso accade, dalla necessità di preservare il più a lungo i prodotti in una terra dal clima rigido e ostico, che limita la disponibilità di ingredienti freschi durante i mesi più freddi.
L'usanza della conservazione sotto sale
Una storia che comincia durante il periodo dei Tre Regni – I secolo a.C., VII secolo d.C. - già testimoniata nel testo storico cinese “Registrazione dei Tre Regni”, nella sezione “Popoli orientali”: “Il popolo di Goguryeo possedeva una tecnologia superiore per fare liquori, la salsa di soia e altre salse, e per preparare frutti di mare in salamoia. Goguryeo depredò prodotti marini locali e sale da Okjeo”. Si parla insomma di una popolazione antica già consapevole della necessità del sale per conservare il cibo. In un altro testo, stavolta coreano, “Resoconti storici dei Tre Regni” del 1145 si legge che già nel 683 “la popolazione del regno di Silla Unificato amava consumare frutti di mare in salamoia nelle cerimonie di matrimonio”. Fra i primi reperti storici che confermano la diffusione di questa pratica di conservazione, invece, la giara di pietra del 720 ritrovata nel tempio Beopjusa, molto probabilmente utilizzata proprio per contenere il fermentato.
La nascita del kimchi
Le prime informazioni sul kimchi si trovano nel testo poetico cinese “Shi Kyung”, dove la preparazione è descritta con il nome di “Ji”. Un'altra documentazione scritta è quella nelle registrazioni storiche del periodo Goryeo, dal 918 al 1392, dove si legge un elenco dei vari tipi di kimchi che potevano essere offerti durante i rituali antichi, come quello di filipendula, quello di germogli di bambù, il kimchi di rapa e quello di erba cipollina. Anche il letterato Yi Gyu-bo di Goreyo, nella sua antologia “Raccolta di opere del cancelliere Yi della Corea”, scrive un poema dedicato alla rapa in salamoia. È solo durante la dinastia Joseon, però, che i coreani iniziano a sviluppare tecniche di lavorazione sempre più affinate che hanno portato poi nel tempo alle tante varianti del kimchi. In questo periodo, infatti, comincia a diffondersi l'utilizzo della salsa di soia, elemento fondamentale che sostituì ben presto gran parte del sale, insieme ai peperoncini, altro ingrediente oggi imprescindibile. Il celebre tongbaechu kimchi – quello con cavolo cinese – è stato inventato per la prima volta dopo 1800, ed è diventato fin da subito una delle preparazioni più popolari.
Le tante sfumature di galbi
C'è poi il galbi, piatto a base di costolette grigliate di manzo o maiale, portate crude, e cotte su griglia direttamente sul tavolo, solitamente dagli stessi commensali. La carne può essere marinata in liquido dolce o salato, quasi sempre a base di salsa di soia, aglio e zucchero (molto spesso anche zenzero), oppure cotta in purezza, senza essere insaporita. Nonostante il manzo sia la carne più scelta, è possibile anche trovare galbi a base di spalla di maiale, tagliata a fettine sottile di circa 2,5 centimetri di larghezza. Tante le tipologie nate nel tempo: c'è il LA galbi, un taglio alternativo con le ossa che spuntano lungo il bordo più lungo, metodo sviluppato dagli immigrati coreani a Los Angeles per usare al meglio le costolette più sottili in voga in America, una variante che consente alla marinatura di penetrare più velocemente nella carne, molto apprezzata nella Corea del Sud. E poi il saeng-galbi, quello non marinato, il dwaeji-saeng-galbi a base di maiale nero dell'isola di Jeju, il dak-galbi, interpretazione della provincia del Gangwon che prevede pollo marinato, cavolo, patate dolci, foglie di perilla (erba aromatica tipica delle cucine asiatiche), e gochujang, salsa piccante a base di pasta di peperoncino fermentata. Nonostante si tratti di un piatto sostanzioso più comune a pranzo o a cena, si gusta anche al mattino nel galbi burrito, una piadina ripiena di galbi, kimchi e verdure a scelta.
La ricetta: il kimchi