Se in Italia il cibo comfort, veloce, democratico per eccellenza rimane la pizza, tra gli chef sono innumerevoli gli estimatori del Club sandwich. Sul mensile di marzo del Gambero Rosso gli abbiamo dedicato uno speciale. Qui un assaggio.
Qual è il piatto preferito dagli chef?
Risposta scontata: quelli dei loro colleghi stellati, da gustare e studiare con gli occhi, col naso e col palato. E invece no. La pietanza preferita, guarda un po', è un panino. Anzi proprio un sandwich! Lo sentivamo ricorrere un po’ nell’aria, nei discorsi a ruota libera a fine servizio, ma abbiamo voluto toccare con mano il fenomeno. Così abbiamo chiesto a 50 cuochi, tutti italiani e impegnati sia nella Penisola che all’estero, cosa preferissero mettere sotto ai denti nel relax notturno del dopocena, una volta smontati dalle loro cucine. Verdetto? L'80% di loro conferma la sensazione che avevamo, certo con qualche distinguo e delle riserve. Il nome del sandwich del cuore è proprio Club, nonostante nelle ore di lavoro questo toast non sia del tutto ben visto dagli stessi protagonisti della nostra indagine.
Maledetto Club sandwich
Ci siamo passati tutti. Sono le dieci di sera, sei in un grande albergo, domani riunione importante di prima mattina e non ti va proprio di vagare per una città che non conosci in preda al jet lag e alla fame, a questo punto non ti rimane altro che ordinare un bel Club sandwich, magari facendotelo recapitare direttamente in camera. L'associazione Club sandwich e hotel è immediata, ma perché? Cosa si cela dietro le quinte di questo toast goloso a più strati?
“Per me è una gran rottura questa tendenza – dichiara fuori dai denti Martino Ruggieri, dal 2014 presso uno dei maestri più blasonati della ristorazione francese contemporanea, Yannick Allenò, al Pavillon Ledoyen, dov’è deputy head chef e reduce dalla finale mondiale del Bocuse d'Or a Lione – perché solitamente il cliente lo mangia o di notte o nel pomeriggio, quando è di turno la guardia (il cuoco di guardia supervisiona la cucina nei momenti di risposo della brigata ed è addetto alle preparazioni lunghe e ai servizi in camera, ndr), il che significa che se ha ricevuto tanti ordini di Club sandwich, non si è occupato della mise en place. Invece, in caso venga ordinato durante le ore dei pasti, la preparazione spetta al garde-manger, che segue tutte le preparazioni fredde e non sarà certo contento di vedere una comanda con un Club!”. “Nelle cucine degli alberghi – confessa Eugenio Boer (Ristorante Bu:r e Altrimenti insieme a Damian Piotr Janczara) – fare il Club è una sorta di punizione: se ti comporti male tocca a te, e ti ci impegni molto perché rappresenta un'occasione di riscatto”.
Club sandwich piatto feticcio
L’elezione di un piatto a feticcio ha però mille motivazioni, alcune nascoste e impensabili come questa: a quanto pare gli chef lo ordinano continuamente perché ricorda loro i tempi della gavetta, di quando venivano redarguiti per un ritardo o un errore e venivano messi a fare la guardia in cucina… e allora giù coi Club sandwich con l’impegno di farli meglio possibile per 'espiare' la colpa. Nella testa dei cuochi dunque il messaggio è chiaro: chi prepara il Club sandwich senz’altro s’impegnerà a farlo al meglio. Se poi la suggestione combacia con la realtà, poco importa: l'allure c'è e resta.
Club sandwich icona global-chic
“È un piatto che l'ospite può chiedere sempre – conferma Francesco Apreda, per dieci anni al ristorante Imàgo dell'Hotel Hassler a Roma – dalla mattina a notte inoltrata, ed è un biglietto da visita capace di intaccare la reputazione del ristorante d'hotel, quindi non puoi nemmeno affidarne la preparazione all'ultimo arrivato. D'altra parte rappresenta l'abc della cucina, come le omelette o la Caesar salad, insomma come molti piatti globali”.
A proposito di piatti globali, si può dire che il Club sandwich sia stata un'icona del mangiare globalizzato ancor prima che il Big Mac prendesse piede: se ci pensate la ricetta standard del Club sandwich non ha praticamente mai subito variazioni, non c'è una versione italiana, francese o giapponese degna di nota; le uniche reinterpretazioni sono comunque globalizzate.
Eppure, nonostante i concetti globalizzato/globalizzazione abbiano una valenza principalmente popolare, il nostro protagonista continua a conservare un'aura per certi versi aristocratica: è sì funzionale e confortevole, eppure ti trasporta con la mente direttamente in un hotel a cinque stelle con allure alla Grand Budapest Hotel... Complici sicuramente le sue origini, che lo vedono apparire per la prima volta a fine '800 presso il famoso Saratoga Club House a New York, una casa da gioco esclusiva per soli uomini con l'esigenza di placare la fame consumando un pasto veloce e sostanzioso senza alzarsi dai tavoli da gioco. E così si inventarono un sandwich a tre strati che entrerà presto a far parte dei menu degli hotel di lusso che a loro volta contribuiranno alla sua fama di panino chic.
Il Club sandwich è dietetico? (No!)
La struttura di questo toast è rimasta invariata fino a oggi, come conferma Eugenio Roncoroni (Al Mercato, Milano), per metà americano: “È un sandwich che tuttora appaga i palati dei ricchi signori tendenzialmente sovrappeso! Diciamo che rispecchia molto il modo di concepire il cibo in America, soprattutto in California, dove l'apparenza è tutto: tu hai un panino col pollo grigliato e ti fa sentire meglio, perché ti dà l'idea di un pasto sano e leggero, ma è tutt'altro che leggero”. Ci vuole un ottimo pancarrè che deve essere necessariamente imburrato e tostato – “tutte e tre le fette e solo esternamente”, precisa Gaetano Trovato (Arnolfo, Colle Val d'Elsa) – poi ci si alterna pollo, lattuga e bacon (per alcuni “Club” sarebbe infatti l'acronimo di chicken & lettuce under bacon), e ancora pomodoro e uova.
Un tripudio di ingredienti, e di calorie, armonizzati grazie alle salse. Salse, assai sottovalutate in Italia. “Purtroppo in Italia non ho mai trovato un Club sandwich che mi soddisfacesse perché solitamente qui ci si focalizza sulle materie prime di qualità, ma si sottovaluta il ruolo fondamentale delle salse, che fanno da legante”, afferma Roncoroni che non a caso aspira a distribuire le sue nella grande distribuzione.
Ma quello delle salse non è l'unico aspetto che non convince: tra gli chef (come nella vita quotidiana intorno a noi) c'è infatti chi segue un'alimentazione sana che sembra incompatibile con il Club – pensiamo per esempio a Riccardo Camanini o Diego Rossi che anche al lavoro tendono a non mangiare mai in maniera sbrigativa, prendendosi il tempo per il pranzo e la cena. Così come c’è chi spesso vorrebbe, ma non può: ne sono un esempio antropologico i fratelli Serva, che una volta staccato il servizio alla Trota, alla “periferia” di Rivodutri, non trovano mai nulla di aperto dove poter rilassarsi magari addentando un goloso comfort food.
Club sandwich preferito dagli chef?
“In generale tutto ciò che si può mangiare in piedi o al bancone di un bar, con le mani e preferibilmente a orari assurdi, si può considerare lo spuntino preferito dagli chef! – esclama Marcello Trentini di Magorabin a Torino – Per ovvie ragioni di tempo e di vita vissuta. Certo, il Club sandwich ha un plus: tra le varie preparazioni di hand food è quello che si avvicina di più a un'esperienza gourmet”.
L'indagine sul Club sandwich continua nel mensile di marzo del Gambero Rosso.
a cura di Annalisa Zordan
foto di Alberto Blasetti
QUESTO È NULLA...
Nel numero di marzo del Gambero Rosso, in questi giorni in edicola, trovate l'indagine completa con i contributi di Giuseppe Iannotti (Kresios, Telese Terme), Simone Tondo (Racines, Parigi) e Floriano Pellegrino (Bros', Lecce). Un servizio di 11 pagine che include anche la storia completa del Club sandwich, la ricetta per farlo a casa by Francesco Apreda e la imperdibile, inedita e unica mappa dei Club sandwich preferiti dagli chef in Italia e nel mondo.
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