Sembrerà strano associare il nome di Claudio Baglioni alla gastronomia e al cibo inteso come nutrimento essenziale per la vita. Eppure, l’autore vincitore del Premio Tenco e di altri importanti riconoscimenti, nelle sue canzoni e anche in qualche sua dichiarazione estemporanea, attribuisce un valore etico e simbolico agli ingredienti e a ciò che il mangiare presuppone. In tante delle sue 350 canzoni finora pubblicate, il rapporto con il cibo è speculare e speculativo; potremmo riassumere così i numerosi riferimenti nei testi che abbracciano decenni e più di mezzo secolo di storia della canzone italiana. Conoscendo il Baglioni maniacale anche nella stesura della singola lettera, il cibo non può essere inserito lì per caso, ma ha una sua funzione specifica.
Attraverso i suoi canali ufficiali si è lasciato addirittura ispirare finanche dai lupini, o meglio, dalle bucce di questi identificandoli in una sorta di saudade romanzata.
Claudio Baglioni: il cantastorie del quotidiano in cui il cibo è anche quello dell'anima
Nel 1996 Baglioni partecipò al World Food Day Concert di Roma per ricordare le persone che muoiono di fame nel mondo. Un evento importante per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche per far capire che il cibo è nutrimento per il corpo e anche per la mente.
Baglioni, in quanto artista, si spinge oltre e celebra gli alimenti in altre forme in cui il simbolismo e le figure retoriche si intrecciano in una poetica personale che nel corso di questi cinquanta anni ha maturato e rappresentato in maniera del tutto personale. L’acqua, per esempio, è rappresentata in tantissime canzoni: è simbolo ancestrale e atavico, ma è anche socializzazione, identità, fusione di elementi.
Difficile far un elenco di tutte le canzoni in cui il cibo è raccontato, ma sarebbe oltretutto un lavoro sterile e inutile. In tutti i suoi 60 milioni di dischi venduti, c’è il tono scanzonato, ma anche quello più intellettualmente stimolante che fa scaturire altre considerazioni.
Musica a tavola: la creatività attraverso il cibo
Un esempio potrebbe essere il pugno di riso di cui si parla in “Per incanto e per amore” (2003) in cui le promesse sono premesse di abbandono. In "Caro padrone", canzone censurata nel 1972 e sconosciuta al grande pubblico, il pane e il latte rappresentano un'intera classe sociale proletaria in fermento.
Se volessimo partire dall’inizio di tutto potremmo parlare di una canzone molto complessa che si intitola “Io dal mare”, contenuta in un album considerato quasi una bibbia della sua discografia: “Oltre” (1990). In questa canzone si descrive la sua nascita, non nel senso anagrafico, ma del suo concepimento avvenuto realmente a Ischia. L’acqua, ma anche le acciughe appaiate, le alghe viste come delle lattughe ci riportano a immagini non definite, ma altamente suggestive.
Molto tempo prima, quando aveva 20 anni, il cibo era rappresentato in maniera molto più semplice e diretta, quasi ingenua. Si parla di coca-cola, panini, spuma, della gassosa, del caffelatte. Però, allo stesso tempo, si stava sviluppando una particolare sensibilità nell’osservare il mondo circostante. Le castagne della ragazza di “200 lire di castagne” (1977) che lavora in fabbrica assumono invece un significato intrinseco e quasi di denuncia.
Man mano, con la maturazione artistica e personale, il cibo ha sempre più un significato simbolico e all’interno delle canzoni diventa quasi un personaggio coprotagonista.
Nella struggente “Stelle di stelle” (1990), l’alcol assume il valore di clessidra, un modo per passare e misurare il tempo durante una crisi umana e artistica che è stata purtroppo reale. L’alcol, inteso come vino e non solo, è spesso citato perché ha una sua funzione sociale, ma anche psicologica. La vodka la troviamo nella solitudine spaziale di “Gagarin” (1977), ma anche in un frammento di un ricordo autobiografico legato a una tournée importante in Polonia. L’ebbrezza dell’alcol rappresenta una cartina tornasole per i sentimenti più nascosti, ma anche quelli più distruttivi emotivamente. L’idea che gli ubriachi usino i lampioni per sorreggersi e non per la luce è un’immagine evocativa molto forte ("Qui Dio non c’è" - 1990). Il neologismo dell’alcolonnello di “Strip Tease” (1977) racchiude in sé un’epoca che non c'è più.
C’è da dire che Baglioni ha spesso coniato vocaboli nuovi con l’intento di creare suggestioni visive.
Il tè è ampiamente citato e rappresenta sia l’aspetto di semplice bevanda antica ("Carillon" - 1975) sia la mestizia di un addio ("Solo" - 1977), ma anche quello più profondo e spirituale ("Opere e omissioni" - 1999).
Intorno ai trent’anni per Baglioni il cibo ha già una funzione descrittiva di stati d’animo. Ecco, quindi, che una bistecca diventa stanca, il fango è cioccolata, il bollito è un’espressione facciale. Eppure, nelle sue prime canzoni targate fine anni '60, l’arrosto era una semplice portata sui fornelli accesi di una ragazza distratta ("‘Izia" - 1970).
Il pane appena cotto è descritto sia in “Con tutto l’amore che posso” (1972) che in “Notte di note” (1985), ma anche in “Ragazza di campagna” (1973), ma la sua funzione non è più la stessa. Nella canzone del 1985 assume un valore universale e quasi sociologico.
Anche il gelato è spesso rappresentato e anche qui si passa da un alimento estivo o di inizio primavera che disegnano un'età ("Miramare" - 1973 e "Amori in Corso" - 1985) a quello di augurio al figlio Giovanni appena nato (il legnetto di Cremino da succhiare di "Avrai" - 1982). Il gelato ha un significato di libertà sociale espresso in “Ragazze dell’Est” (1981).
Se appare una certa serietà, di contro c’è anche la leggerezza che non è mai superficialità. Le guance delle donne diventano piccole mele ed Eve uva, l’osso è un elemento nella scanzonata “Io, lui e la cana femmina” (1990), la torta della nonna è raccontata nel remake di “Questo piccolo grande amore - QPGA” (2009). Finanche le ditate dell’aranciata di "Romano male malissimo" di una canzone del 1977 sono servite per raccontare l’umanità del personaggio che è stato un amico reale nella vita del cantautore.
Canzoni in cui mirtilli, capretti arrosto, baci perugina, funghi, olio di fegato di merluzzo, arance e altro sono messi allo stesso piano, ma con valori e intenzioni diverse, alle noci-barchette dei delinquenti di quando erano bambini, ai piatti di allegria e ai vuoti di vetro da rendere, al pesce fritto brasiliano, alla sensuale mousse e al sexy cioccolatino nella bocca.
Se il miele negli anni '70 era simbolo di futuro ("In Viaggio" - 1972) alle porte del 2000 diventa ingrediente durante la meditazione universale ("Mal d’Universo" - 1999).
Il sale negli anni '70 richiama il clima sudamericano in tutti i suoi elementi, negli anni 2000 diventa saggezza perché si scioglie per dar sapore al futuro.
Il caffè è spesso presente ed è stranamente “notturno” fondendosi quasi sempre con la riflessione. Un po’ come la citazione della cassa dove ogni giorno diamo un po’ di noi stessi sforzandoci di sorridere.
Claudio Baglioni: «Non ho potuto essere allora "Balla coi lupi" ma con i lupini è sempre uno sballo»
Tempo fa, è stata pubblicata pure una sua ricetta del cous cous, visto il suo amore incondizionato per Lampedusa. La cucina, i suoi profumi e rumori inconfondibili sono stati spesso rappresentati per descrivere la realtà, il quotidiano, come ritratti.
Ma ripensando ai lupini, alla fine tutto il concetto di cibo è contenuto nella sua metafora per nulla banale in cui anche le bucce e le croste hanno una loro dignità:
«Che fine ingrata fanno le bucce.
Così pure le scorze e le cortecce.
Tutto il ciclo di un'esistenza
a crescere insieme ai contenuti
e a rivestire e proteggere i frutti
e poi esserne escluse e separate
nel trionfo del disvelamento
per finire buttate in un secchio
senza più nessun ruolo e valore.
Vuote memorie di un'apparenza.
Truppe di guerra di superficie.
nei simulacri di una parvenza.
Sempre le prime a rimetter la pelle.
Con i lupini oggi è andata così.
Ma stanotte renderò omaggio
facendo gli onori di casa
alle croste croccanti del pane
e alle cocce del vecchio formaggio.»