Siamo in uno dei momenti clou per il cioccolato: uno dei protagonisti delle lunghe feste in cui viviamo immersi e un compagno perfetto per le serate tra amici e in famiglia, dopocena, partite a giochi di società di ogni tipo. Eppure... eppure, nonostante le importanti performance del prodotto sul mercato italiano, uno dei più grandi pasticceri e cioccolatieri italiani – Luigi Biasetto – non ha dubbi: «Purtroppo in Italia non riusciamo ad apprezzarlo e a farlo apprezzare al meglio». Anche se i prezzi del cioccolato continuano ad aumentare.
Prezzi in crescita
Oltre ad essere uno dei prodotti più amati al mondo, da secoli in grado di mandare in visibilio le papille gustative di grandi e piccini, il cioccolato è anche al centro di un business in continua ascesa che, stando alle stime Mintel, passerà dai 127.9 miliardi di dollari del 2022 ai 160.9 del 2027. Buone le performance di crescita previste nel nostro Paese, considerato un consumatore moderato di oro nero: con i suoi 3 kg di cioccolato pro capite annui, l’Italia si attesta, infatti, decisamente al di sotto della media europea degli 11 kg.
Il monito di Biasetto
«La leggerezza con cui molti cioccolatieri conservano questo prodotto – lasciato in vetrina ad invecchiare per molte settimane, mal conservato, esposto alla luce e senza lucentezza – è la causa delle "basse" vendite in Italia, dove il cioccolato viene acquistato 2 volte meno che in Spagna e 4 del Belgio – ammonisce il pasticcere veneto, Relais Dessert, Luigi Biasetto – Anche tra i consumatori c’è spesso molta confusione, un dato che si riflette sulle vendite che raggiungono l’apice nel periodo di Pasqua, quando vanno a ruba le uova fatte anche sei mesi prima, mentre nel resto dell’anno il 90% degli acquisti sono destinati alla regalistica».
Le stagioni del cioccolato
Comunque la si veda, nell’ultimo anno il 90% delle famiglie italiane ha acquistato cioccolato e lo ha fatto con una frequenza quasi mensile che si concretizza in 11 atti l’anno, come spiega Paola Bonassoli, Cluster Lead MN di Consumer Panel GfK Italia. «In termini di dinamica si registra una buona crescita delle tavolette, il cui acquirente ha un profilo più “giovane”, mentre le praline, preferite da un target più agè, sono positive solo a valore (a causa degli aumenti di prezzo). N
onostante alcune differenze di profilo, esiste un’ importante sovrapposizione tra i 2 mercati: in media il 65% delle famiglie acquista almeno una volta in un anno sia praline che tavolette». E che si tratti di pièce, praline e tavolette, il Natale rappresenta un momento d’oro (secondo solo alla Pasqua) per le vendite che quest’anno dovranno fare i conti con il prezzo del cacao alle stelle: il più alto mai registrato negli ultimi 40 anni.
Ma anche in tempi di caro cacao, i driver che muoveranno il chocolate business saranno quelli della qualità e del green: il consumatore sempre più esigente si orienterà verso prodotti premium, che rispettano i dettami della sostenibilità e, possibilmente, a basso contenuto zuccheri(previsioni Mintel).Ed è proprio all’abbassamento dell’apporto calorico, oltre che dell’indice glicemico (di ben il 50% rispetto al cioccolato tradizionale), che ha puntato Guido Castagna, uno dei più grandi cioccolatieri italiani.
«L’attenzione dei consumatori verso prodotti più leggeri si registra da tempo e finora solo le multinazionali erano state in grado di soddisfare questa domanda». Punto Zero è la risposta artigianale e bean to bar (ossia dalla fava alla tavoletta) che il piemontese signore del cioccolato ha voluto dare alla domanda di cioccolato healthy.
«Ho pensato a dei prodotti in linea con il trend salutista e che potessero essere destinati all’autoconsumo. All’interno ci sono muesli, shake proteici e ovviamente le barrette che si presentano divise in rettangoli da 10 grammi: la dose giornaliera perfetta per gli sportivi e per gli over 35 alla ricerca di un sano appagamento. Per realizzare questi prodotti senza zucchero ho selezionato delle fave di cacao venezuelane che presentano note particolarmente morbide e ho usato il trealosio, uno dolcificante naturale di origine giapponese che non presenta retrogusti e permette di tenere basso sia l’indice glicemico che il potere dolcificante (del 60% in meno)».
Il cioccolato diventa mindful
Ma non solo un cioccolato scarico di zuccheri, ad essere molto richieste sono anche le varianti in linea con il mindful eating, ossia con un approccio al cibo che invita a mangiare consapevolmente, ascoltando i segnali del corpo e prediligendo ingredienti di qualità secondo la logica del poco (o del meno) ma buono.
«Oggi si è alla ricerca di prodotti che permettano di appagarsi in modo consapevole che si traducono sia in versioni più leggere del cioccolato, ma anche sane per l’uomo e per il pianeta. Come nel caso dei prodotti vegani che, se si parla di cioccolato, sono quelli in cui il latte viene sostituito da altri ingredienti; noi, ad esempio lo abbiamo proposto a base di chufa, un tubero dai molteplici effetti benefici» spiega Alberto Simioniato, direttore della Chioccolate Academy di Milano.
Ci sono poi dei prodotti completamente nuovi, e particolarmente salutari, che pur partendo dal cioccolato se ne discostano per il risultato finale. «Abbiamo messo a punto una kombucha, una bevanda dalle note proprietà depurative e in grado di rafforzare il sistema immunitario, partendo proprio dalla fermentazione della polpa di cacao, ossia da quella polpa che avvolge le fave all’interno delle cabosse. Lavorando questa polpa insieme all’acqua e allo zucchero si ottiene una bevanda ancestrale, ricchissima di minerali, dal profumo floreale e con una nota acetica ben pronunciata. Un prodotto che permette ai coltivatori di cacao di ottenere un’ulteriore fonte di reddito, ma che è anche un’ottima base per cocktail o long drink perfetti, grazie alla nota rinfrescante, per accompagnare il pesce».
I nuovi paradigmi del gusto
Anche il sapore del cioccolato è cambiato nel tempo e ciò che qualche decennio fa era considerato eccellenza oggi non lo è più. «Complice l’avvento del bean to bar, nel giro di una ventina d’anni, siamo passati da un prodotto potassato e molto tostato per coprire le imperfezioni qualitative del cacao, ad un cioccolato con spiccate note aromatiche» continua Castagna. Insomma il palato si è evoluto e oggi il consumatore è sempre più alla ricerca di prodotti premium. Un dinamismo che ha portato i cioccolatieri ad oltrepassare le convenzionali frontiere del gusto e a dar vita a declinazioni frutto di abbinamenti finora impensabili, come nel caso del Fervolato, il nuovissimo cioccolato a marchio NOALYA, che unisce i cacao lavorati nella fabbrica di cioccolato Tessieri di Ponsacco (Pisa) con il mosto appena spremuto delle uve appassite del Sagrantino di Montefalco di Marco Caprai.
«Dopo alcuni anni di esperimenti, abbiamo presentato il Fervolato, un prodotto ottenuto con un procedimento originale che unisce aromi e profumi della pianta del cacao con quelli complessi ed intriganti del frutto della vite» spiega Alessio Tessieri. «Non si tratta di un semplice cioccolato mescolato a un vino. Con il Fervolato siamo di fronte a profumi, aromi, gusti, tessiture che conservano le armonie proprie dei frutti di origine».
Le altre vie dell’oro nero
Dunque sapori inediti, ma anche la geografia del cioccolato tocca luoghi inesplorati. Se fino a qualche anno fa erano infatti il Piemonte, seguito da Umbria, Toscana e Sicilia, le regioni più vocate, oggi i chocolate maker disegnano nuove rotte del fine flavour cacao. Armin Untersteiner e Katya Waldboth sono, ad esempio, i pionieri del cioccolato bean to bar in Alto Adige. «Abbiamo scoperto il mondo del craft chocolate una decina di anni fa, durante un viaggio nel sud dell’India. Tornati in Alto Adige ci siamo resi conto che qui nessuno produceva cioccolato partendo dalle fave. Così è nato il nostro progetto. Noi ci occupiamo personalmente dei processi di selezione, tostatura e macinatura di fave di cacao “fino de aroma”, un ultra premium fine flavour cacao proveniente da agricoltura biologica e commercio equo».
Nell’ottobre 2018, dopo anni di studi e prove, i prodotti a marchio Karuna Chocolate sono arrivati nelle botteghe dell’Alto Adige. «Abbiamo subito trovato terreno fertile: la nostra regione è infatti molto attenta alla qualità dei prodotti; inoltre abbiamo collaborato con degli artigiani locali e, insieme a loro, realizzato dei coccolati in grado di regalare i sapori della nostra terra, come la tavoletta fondente e olio essenziale di pino cembro. Oggi il 50% della nostra produzione viene venduta in Alto Adige e una parte viene esportata anche negli Usa, in Giappone e Cina».
Il cioccolato diventa dunque anche un mezzo per veicolare la cultura dei luoghi. «Raccontare il territorio elbano attraverso il cioccolato è un privilegio per me» spiega la ben cinque volte medaglia d’oro agli International chocolate awards, Paola Francesca Bertani. «I risultati che ho conseguito con il mio cioccolato sono stati importanti anche perché hanno portato la mia isola all’attenzione di persone che non la conoscevano. Io ci tenevo che passasse il messaggio che l’Elba non è solo una località turistica dove trascorrere l’estate, ma è un luogo ricco di storia e di ispirazioni che io trasformo in praline. Spesso parto da un prodotto locale, come le albicocche della azienda agricola Elisa o l’Aleatico di Antonio Arrighi; a volte è un paesaggio a colpire l’immaginazione, mentre altre è la storia la mia fonte di ispirazione: i siti archeologici o i personaggi del passato sono il punto di partenza per strutturare la praline come un racconto».
Un racconto che ha toccato persino la dantesca discesa agli inferi, declinata in 9 praline, ciascuna dedicata a un cerchio. «Ho voluto dare una “lectura Dantis” all’insegna del gusto, offrendo un viaggio emozionale tra note esotiche, come il mango e la noce moscata, e sapori del territorio, come il ginepro dell’Elba o l’aceto balsamico di Aleatico dell’azienda Arrighi».
Il chocolate maker non è un mestiere per tutti
Se si ripercorre a ritroso la storia, è stata Luisa Spagnoli, fondatrice della leggendaria Perugina, la prima signora del cacao. Diversi decenni dopo, a scrivere un’importante pagina del cioccolato in rosa, Cecilia Tessieri Rabassi, la prima donna Maître Chocolatier al mondo; ma anche Donna Elvira, ideatrice di un opificio bean to bar nel territorio modicano o Francesca Caon che grazie alle migliori fave del Perù realizza prodotti fatti completamente a mano e venduti esclusivamente on line.
«Spesso si sottovaluta quanto sia fisicamente faticoso il lavoro che c’è dietro alla realizzazione di una tavoletta – spiega Pia Rivera, la chocolate maker originaria dell’Amazzonia ecuadoriana che ha fondato il brand Aruntam Sensory Chocolate – Se non si dispone di un’azienda molto attrezzata, la maggior parte del lavoro va fatto manualmente ed è anche per questo motivo che quello del cioccolato è un comparto tradizionalmente maschile. Un peccato perché noi donne siamo molto attente ai dettagli, anche a quelli che possono sembrare insignificanti». Un rigore ed una cura maniacale che si riflette nel cioccolato al femminile.
The dark side of the chocolate
Insomma fiorente, innovativa e con buone prospettive di crescita, ma l’industria del cacao non è certo esente da criticità, ambientali quanto etiche. È infatti da sola responsabile del 45% della deforestazione in Costa d’Avorio e Ghana (da dove proviene ⅔ del cacao mondiale), mentre più di 1,5 milioni di bambini vengono sfruttati per la raccolta delle cabosse.
Inoltre il cioccolato è il primo ingrediente per impronta idrica e contribuisce in modo significativo alle emissioni di CO2 (come secondo prodotto al mondo). Con il crescere di questa consapevolezza, è aumentata l’attenzione dei consumatore sulla provenienza del prodotto e su tematiche calde come gli equi compensi e il giusto trattamento dei lavoratori del cacao. E anche tra gli addetti ai lavori sono nati di progetti volti a promuovere un cacao sostenibile come quello firmato Jean Paul Hevin, uno dei massimi maitre chocolatier al mondo, che ha chiamato a raccolta “les Chocolatiers Engagé”: professionisti del cioccolato disposti a rispettare un protocollo che in primo piano mette valori etici e di solidarietà sociale.
Inoltre per studiare un cioccolato alternativo sono al lavoro alcune fantasiose start up, come la pugliese Foreverland che ha recentemente lanciato Freecao, un prodotto privo di cacao (e che per questo non può essere tecnicamente definito cioccolato) creato a partire dalla carruba, un legume di cui l’Italia è il secondo produttore mondiale.
«Quando abbiamo iniziato a pensare ad un’alternativa al cioccolato e ci è subito venuta in mente la carruba – spiega Giuseppe D’Alessandro, CMO di Foreverland – Ricordo che i miei nonni, in Puglia, la chiamavano il cioccolato dei poveri proprio per la somiglianza, sia in termini di colore che di consistenza, col cioccolato al latte. Freecao è un progetto che rappresenta una svolta ecologica – comporta infatti una riduzione dell’80% delle emissioni di CO2 e del 90% del consumo di acqua rispetto a quello necessario per la produzione del cacao – ma è anche più sano perché privo dei 9 principali allergeni, non contiene glutine, né caffeina ed ha il 50% in meno di zuccheri (rispetto ad un cioccolato al latte tradizionale)».