Cime di Rapa. L’idea
Il progetto si chiama Cime di Rapa, e prende in prestito uno dei simboli gastronomici più noti della cucina tradizionale pugliese. Ma non punta certo a limitare il suo raggio d’azione all’utilizzo dei prodotti sdoganati dai convenzionali circuiti di distribuzione. Anzi. La missione di Cime di Rapa, catena di ristorazione che proprio durante la pandemia ha iniziato a concretizzare le molteplici frecce al suo arco, è quella di “fare strada con la biodiversità”. Il riferimento alla strada non è casuale, perché il progetto ha dalla sua una vocazione “street” e un’offerta incentrata sulla semplicità del gusto, a partire dalla valorizzazione della materia prima. L’idea nasce in Puglia per iniziativa dell’Agenzia Formativa Ulisse, scuola di cucina nata nel 2016 ed ente di formazione accreditato presso la Regione, impegnata tra le altre cose a favorire l’inserimento lavorativo di persone in difficoltà, in collaborazione con i centri di assistenza sociale regionali e con le associazioni di supporto a donne vittime di violenza, ragazzi che hanno abbandonato la scuola, persone emarginate e desiderose di imparare un mestiere.
Una catena di ristorazione di qualità
Cime di Rapa, non a caso, vuole essere anche naturale approdo occupazionale per chi frequenta i corsi di Ulisse, come spiega Elio Dongiovanni, che della scuola è direttore: "Il nostro obiettivo è formare risorse umane che abbiano una possibilità concreta di entrare nel mondo del lavoro, nel settore della ristorazione. Con Fondazione per il Sud, nel 2019, abbiamo avviato le prime due cucine ambulanti, occupando alcuni dei nostri ragazzi; ma l'intenzione era quella di concretizzare un modello più stabile di avvicendamento scuola-lavoro, soprattutto per le persone più svantaggiate che si formano con noi. E allora abbiamo pensato alla catena di locali, con l'obiettivo, dopo due anni di contrattualizzazione dei ragazzi, di stimolare l’autoimpiego, lasciandoli liberi di gestire uno spazio sotto forma di affiliazione". Questa idea di ristorazione veloce - da subito votata a recuperare la cucina tradizionale, standardizzando il processo artigianale con il supporto della tecnologia industriale - vuole ora approfondire il legame col territorio locale e con la scoperta dei suoi prodotti, anche – e soprattutto – quelli dimenticati, altrimenti condannati a sparire dal mercato (una filosofia che per molti versi trova corrispondenza nel precedente siciliano di Fud, progetto illuminato di Andrea Graziano). Una dichiarazione di intenti che coincide in tutto e per tutto con il pensiero di Angelo Giordano, agronomo salentino “fuoriuscito” dal percorso accademico per intraprendere, ormai diversi anni fa, una battaglia a favore della biodiversità agricola e della libera circolazione dei semi, a partire dal grande patrimonio di ecotipi e tecniche di coltivazione tramandati in Puglia. L’incontro con Ulisse l’ha portato a sposare la causa del progetto Cime di Rapa, che con la sua supervisione crescerà in termini di ricerca sul prodotto e sul gusto e di divulgazione dell’identità gastronomica regionale: "Abbiamo proposto ad Angelo di calare il suo progetto sulla biodiversità nella catena ristorativa di Cime di Rapa, mettendogli a disposizione cento ettari di terreno per sviluppare i nostri orti e alimentando la creazione di una rete di agricoltori con cui stipulare contratti in campo che siano per loro vantaggiosi a livello economico".
La cucina della biodiversità
Angelo ha risposto alla chiamata, e ora è docente di chimica e biologia per Ulisse, oltre che responsabile dell'approvvigionamento e della coltivazione di ortaggi e legumi per il marchio Cime di Rapa, che ha già iniziato a svilupparsi su tre fronti complementari: il cibo di strada proposto a bordo dei food truck, l’urban food dei locali di ristorazione veloce destinati ad aprire in città, e il farm food, idea più articolata di divulgazione, cucina e ospitalità che prenderà forma in alcune masserie pugliesi. “La logica che unisce le tre diverse espressioni” spiega Angelo “è quella di mutuare accessibilità ed efficienza del servizio da un fast food, servendo però un prodotto da trattoria, inteso nel senso più nobile e genuino del termine (tra orecchiette con polpette al sugo, pitta salentina, pucce homemade, ndr). È un progetto di ristorazione che unisce ragione sociale, valorizzazione del territorio e di chi lo coltiva, tradizione gastronomica e tecnologia, perché si è investito molto anche sulle attrezzature necessarie a preservare la materia prima”.
A Lecce (dov'è anche la sede centrale della scuola, e si centralizza parte della linea di produzione, dalla pasta fresca alle pucce, passando per le cotture sottovuoto di pietanze tradizionali), a settembre scorso, è già nato il primo locale della “serie” Cime di Rapa Urban, ora costretto a fermarsi per le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria. “Ma si tratta di un’ottima base di partenza per capire quel che faremo. Normalmente il fast food è il regno delle monovarietà, noi invece lavoreremo sulla biodiversità nell’ambito di un progetto di filiera chiusa, iniziando dalla coltivazione dei prodotti che ci interessa riscoprire. Il passaggio più ostico, come sempre, è reperire e mettere a coltura semi esclusi dal mercato, ma la buona cucina sarà il modo per comunicare il valore del nostro lavoro. Cerchiamo di rendere economicamente sostenibili colture a grande rischio di erosione genetica, e questo è l’unico modo per preservare la biodiversità”.
Il lavoro nell’orto
Così, la zuppa di ceci in menu sarà il trionfo del cece rosso liscio delle Murge, di cui Cime di Rapa seguirà tutta la filiera, dal seme alla piantumazione, dalla raccolta alla conservazione, alla cottura. E così per altre materie prime sconosciute ai più: “Approfittiamo di questo periodo di stop per programmare le colture e sperimentare i piatti del menu autunnale, ricercando prodotti sul territorio, consultando vecchi ricettari di cucina popolare, studiando metodi di trasformazione e conservazione della materia prima che le rendano giustizia”. Ma anche la strada delle masserie è ben tracciata, già avviata in sordina a Martina Franca (nella masseria Iazzo Scagno) e Maruggio: "La formula delle masserie, tutte dotate di orto, prevede di coinvolgere un turismo interessato a scoprire il valore della gastronomia locale, in un contesto più rilassato rispetto ai locali cittadini. Ma la filosofia resta la stessa, e a Martina Franca nascerà un vero e proprio museo della cultura contadina, con laboratori che raccontano la tradizione del cibo”. Il piano di sviluppo per il 2021, pandemia permettendo, prevede 11 aperture, "partendo da Alberobello, all'interno di un trullo, e Matera, per poi risalire la Penisola, alla volta di Roma, Bologna, Milano" spiega Dongiovanni "Al momento impieghiamo una quarantina di allievi, il capitale umano non ci manca, e l'intenzione è di continuare su questa strada".
La pagina Fb del progetto Cime di Rapa
a cura di Livia Montagnoli