Il sogno di un Good Food District
Perimetro è una guarnigione alimentare, armata di coltello e forchetta che a cavallo di scintillanti Berkel, difende e divulga il credo del buonmangiare. È fin troppo esplicita la dichiarazione d'intenti affidata allo slogan d'esordio del Good Food District bresciano fondato da Alberto Volpi quasi tre anni fa. O meglio, di quello che era (e avrebbe voluto essere) il distretto del gusto ideato dall'imprenditore di salumi da 170 milioni di fatturato sull'esempio della strada tracciata da Oscar Farinetti con Eataly. Perimetro Food, dicevamo, con l'intenzione di aprire in Italia ed Europa una rete di 10 store enogastronomici, ristorantino bistrot e bottega. E il sogno di raggiungere i 20 milioni di fatturato. E invece la realtà si è rivelata molto diversa dai progetti: ribattezzato sin dall'inizio l'Eataly dei salumi, alla fine del 2013 Volpi annunciava l'apertura del primo store, nel centro di Brescia, che dalla sinergia tra investimento industriale e valorizzazione delle risorse umane avrebbe tratto linfa per moltiplicarsi. Poi sono arrivati i punti vendita di Verona e Milano. Nel capoluogo veneto l'avventura si era conclusa già alla fine del 2015, evidenziando la brutta piega che solo qualche giorno fa ha finito per manifestarsi a pieno: con le chiusure di Milano e Brescia l'avventura di Perimetro è giunta al capolinea. Almeno sul territorio nazionale.
Perimetro Food. Il format
Procedendo con ordine, all'epoca il progetto scommetteva su una proposta di alta gamma incentrata sui sapori emiliani; e il motivo è presto detto: con Volpi si lanciavano nell'impresa anche Daniele Poletti di All Food (Parma) e Mauro Esposto di Gold Food (Roé). Quattro vetrine vista Duomo, design contemporaneo, prodotti selezionati anche da asporto e un menu breve di tipicità, dai tortelli alle erbe ai salumi (strolghino, salame di Felino, coppa, pancetta), dai cappelletti in brodo al Parmigiano vacche rosse, alla Sbrisolona, disponibile con orario no stop dalle 11 alle 23. Da bere Lambrusco e Franciacorta, per celebrare in tavola il rapporto di buon vicinato tra Emilia e Lombardia. A gennaio 2014 seguiva l'inaugurazione in piazza delle Erbe a Verona; entro l'anno, secondo i piani, la bandiera di Perimetro avrebbe dovuto sventolare anche in piazza della Signoria a Firenze e nel centro di Roma. Poi, a seguire, le aperture internazionali: Barcellona, Berlino, Parigi, Londra, Monaco e Mosca. Una scaletta ambiziosa e mai rispettata.
A sorpresa, invece, nell'aprile 2015 Perimetro era arrivato a Milano, al motto di “Parma da mangiare”, e proprio a due passi da Eataly Smeraldo, in corso Garibaldi, angolo piazza XXV Aprile. Dove i battenti hanno chiuso definitivamente alla fine di luglio, in contemporanea con il locale bresciano di piazza Paolo VI.
L'etica di Perimetro, la repubblica del buon lavoro
Cosa succederà ora? Certo, non si può dire che l'impresa sia stata avara di investimenti: sette milioni di euro per cominciare, uno speso esclusivamente in formazione. E un battage comunicativo che si dipanava tra molti (troppi?) slogan d'assalto, dal “buongusto per il bello” al perimetro come “area dell'eccellenza culinaria in gustimetria”. Dietro, si legge ancora sul sito, c'era la selezione di giovani motivati tra i 18 e i 30 anni, destinati a un contratto a tempo indeterminato previa formazione sul campo al seguito di Giampaolo Montali, già allenatore dell'Italia del volley, perché “il vero anello debole del settore finora è stato proprio il personale, poco professionalizzato e soggetto a un eccessivo turnover”, dichiarava convinto Alberto Volpi. Una trentina di ragazzi per cominciare, e un mese di training tra le colline di Parma; con l'idea di ampliare ogni anno l'organico di 70 unità.E allora cosa non ha funzionato?
La delusione. Ai giovani manca la passione (?)
Mentre Perimetro saluta e ringrazia affidando al web l'ennesimo slogan - “Crederci è umano, perseverare è Perimetro” - con una postilla (“ci vediamo a Londra”) che procrastina la parola fine, Alberto Volpi affida il suo disappunto alle pagine del Corriere della Sera. E riparte proprio da quel pallino per la formazione - “Perimetro è una repubblica fondata sul buon lavoro” - destinato a essere asse portante del progetto. Impegno, a suo dire, non corrisposto: “Che delusione, abbiamo scelto ragazzi per il 40% laureati e senza esperienza nel campo della ristorazione portandoli nei migliori caseifici e negli allevamenti di nicchia. Tutto a spese nostre. Volevamo trasmettergli la cultura del made in Italy ma non sono riusciti a comunicare al cliente l’eccellenza dei nostri prodotti. Forse a molti giovani manca la passione”. Parole pesanti dettate dalla frustrazione per una formula che evidentemente non ha portato i risultati sperati.
Qualità del prodotto, cattiva gestione. Chi ha la meglio?
Il patron lamenta l'abbandono del 50% del personale selezionato, intanto però gli sfugge una considerazione ben più amara (e veritiera?): la difficoltà di comunicare un prodotto di qualità, le critiche della clientela al menu sin troppo limitato, un format incapace di conquistare il pubblico con cui si è confrontato. La soluzione? L'estero, Londra in primis, ma solo “dopo una pausa di riflessione”, perché “il consumatore di target alto vuole un prodotto d’eccellenza. Il gruppo continua a crescere e penso che Perimetro potrà funzionare bene nelle capitali europee”. Certo è che, mentre il modello Eataly continua a spopolare in Italia e nel mondo, il fallimento di un progetto così ambizioso stride con l'immagine di un made in Italy enogastronomico che non conosce ostacoli. E giustificare il naufragio di un progetto di tale portata con le mancanze del personale sembra pretestuoso, mentre molto più sensate sembrano altre parole di commiato: “Passione, dedizione e volontà non sono bastate a far decollare il nostro sogno in Italia”. Come a dire che vanno bene il made in Italy, la ricerca sul territorio e la qualità del prodotto (online sono tante le recensioni di Perimetro che sottolineano la qualità, a fronte di una gestione poco oculata del servizio. E molti, ironia della sorte, lamentano la poca professionalità), ma quante sono le variabili da mettere in fila per compiere l'impresa?
a cura di Livia Montagnoli