Noma 3.0
“Per continuare a essere il Noma dobbiamo cambiare” sono queste le prime parole del comunicato con cui Noma, da venti anni tra i migliori ristoranti del mondo, ha annunciato il nuovo capitolo della propria storia, quello 3.0. Aperto nel 2003 a Copenaghen dallo chef danese di origini albanesi René Redzepi, il Noma – che nasce dall’unione delle parole “nordisk” (nordico) e “mad” (cibo) – ha chiuso per la prima volta alla fine del 2016 per ritornare all’inizio del 2018 in una nuova veste, dal 2025, poco dopo il suo ventennale, chiuderà definitivamente come ristorante per trasformarsi in un laboratorio di sperimentazione culinaria: “Servire gli ospiti continuerà a essere parte di quello che siamo, ma essere un ristorante non sarà più la nostra definizione”. Sebbene la notizia non sia proprio inaspettata è interessante cercare di capire come uno dei migliori ristoranti del mondo sia arrivato a una decisione così netta.
I problemi del fine dining
Già qualche tempo fa Rene Redzepi aveva fatto intuire che il Noma sarebbe andato incontro a grandi cambiamenti. Già in estate si erano diffuse le prime voci, poi lo scorso ottobre, in occasione della presentazione del pop-up del Noma a Kyoto del prossimo maggio, lo chef aveva detto che l’esperienza sarebbe servita per costruire “una visione più chiara di come essere il Noma e affrontare il nuovo capitolo”. Intenzione che viene confermata anche ne comunicato pubblicato il 9 gennaio sul sito del ristorante: “Nella prossima fase continueremo a viaggiare e a ricercare nuove modalità per condividere il nostro lavoro. C’è qualche posto in cui dovremmo andare nel mondo per imparare? Allora faremo un pop-up del Noma”.
L’annuncio è stato accompagnato da un’intervista al New York Times in cui Redzepi ha detto che l’alta cucina non è più economicamente ed emotivamente sostenibile: “L’alta cucina deve ripensare la sua intera industria, così è semplicemente troppo duro. Finanziariamente ed emotivamente non funziona: come imprenditore e come essere umano sento il bisogno di cambiare”. Non è un discorso insolito per René, che spesso è stato al centro dell’attenzione a causa della sua indole irascibile e della sua difficoltà a gestire lo stress, argomento negli anni divenuto prevalente in quasi tutte le sue partecipazioni nei congressi. Dopo aver seguito un corso di leadership, lo chef aveva posto tra le priorità del Noma 2.0 la creazione di un ambiente di lavoro più salubre, con tanto di spazi dedicati al benessere dei dipendenti.
La direzione intrapresa da Redzepi è quella della ricerca di un modello diverso di fine dining, settore che negli ultimi anni è diventato sempre meno sostenibile, soprattutto dal punto di vista economico. Il Noma – che nel 2021 ha finalmente ottenuto le tre stelle Michelin ed è stato nominato per la quinta volta miglior ristorante secondo World’s 50 Best Restaurants – ha registrato una perdita di duecentotrentamila euro nel suo ultimo bilancio. Se anche una realtà che negli anni è riuscita a raccogliere così tanti successi chiude il proprio bilancio in rosso, forse è il momento di aprire una riflessione su possibili modelli alternativi a lungo termine, come di fatto sta facendo Redzepi.
Il caso degli stagisti non pagati
Nel 2021 il Noma era anche stato colpito da una polemica riguardo le condizioni di lavoro degli stagisti del ristorante, il secondo grande inciampo dopo l’intossicazione di sessantatré ospiti nel 2013, raccontata da Redzepi nel documentario di Pierre Deschamps “Noma. My Perfect Storm”. Una serie di articoli del New York Times e del Financial Times aveva portato alla luce il massiccio utilizzo di stagisti non retribuiti che durante la propria esperienza non venivano formati adeguatamente ma impiegati in mansioni ripetitive e costretti a stare in silenzio e a volte sottoposti a turni lavorativi di sedici ore. In risposta alla polemica che si è creata successivamente all’uscita degli articoli, il Noma nell’ottobre del 2021 ha iniziato a pagare i propri stagisti, decisione che ha aggiunto un costo mensile di circa cinquantamila euro. Una questione, quella del pagamento e delle condizioni di lavoro, che non riguarda solo Redzepi ma tutti i grandi ristoranti, che all’estero non sono obbligati a rispettare un limite sul numero degli stagisti. In Italia, invece, esiste ed è legato al numero totale dei dipendenti, ma spesso viene aggirato con degli escamotage.
Il futuro di Noma: laboratorio di sperimentazione e pop-up
Nei prossimi mesi la strada di Redzepi e del suo team di circa cento persone – lo chef ha annunciato che non ci saranno licenziamenti e che la sede del Noma rimarrà la stessa – prenderà due direzioni. Da un lato proseguirà la strada che sembra fornire più stimoli a René, quella dei pop-up in giro per il mondo, che dopo le tappe a New York, Tokyo, Sidney e Tulum toccherà Kyoto, dall’altro la trasformazione del ristorante in un laboratorio creativo per la sperimentazione di nuovi prodotti e piatti che verranno commercializzati attraverso un sito di e-commerce.
Sarà interessante vedere quale sviluppo avrà questa linea di prodotti dal punto di vista imprenditoriale, ambito in cui Redzepi ha già dimostrato grande versatilità: nel 2020, a seguito della pandemia, aveva aperto il burger bar Popl, che aveva preso il posto dell’urban restaurant 108, mentre nel 2021 ha lanciato la sua prima linea di prodotti Noma Projects, un hub “per condividere con l’esterno le nostre conoscenze e l’esperienza maturata in questi anni in relazione alla trasformazione del cibo e alle abitudini di consumo, con l’auspicio di avviare un cambiamento positivo”. A essere commercializzata per prima è stata una linea di garum in bottiglia, prodotto delle sperimentazioni sulla fermentazione delle materie prime – tecnica di trasformazione millenaria su cui si è concentrata la ricerca del Noma negli ultimi vent’anni – proposto in due varianti vegetariane. “Nel 2025 il nostro ristorante si trasforma in un grande laboratorio dedicato al lavoro di innovazione e allo sviluppo di nuovi sapori e condivideremo il frutto dei nostri sforzi in modo ancora più esteso” recita il comunicato. Forse la nuova forma del Noma 3.0 traccerà la direzione per il futuro del fine dining nel mondo. Già in passato (grazie alla sua riapertura del 2018) il ristorante è stato rimesso in gioco nella classifica 50 Best, a cui non avrebbe potuto più partecipare dato che nel 2019 è stata creata una Hall of Fame dei vincitori, che vengono automaticamente esclusi dalla competizione. Chissà se grazie a questa nuova versione il Noma riuscirà nuovamente a tornare in gara.
Noma – Copenaghen – Refshalevej 96 – https://noma.dk/
a cura di Maurizio Gaddi