«L’ingresso degli artisti è sempre stato in via Verdi. C'è stato Pavarotti, Muti, Fracci, Favignano. Tutti passavano da qui, dal nostro bar», racconta Luigi Speranzella ai microfoni di Alanews, con la voce incrinata dal rammarico per la chiusura definitiva del Caffè Verdi. Dopo 45 anni accanto al Teatro alla Scala, lo storico locale che ha accolto artisti del calibro di Luciano Pavarotti, Carla Fracci e Luciana Savignano, spegne le luci per sempre.
La mano di Blackstone e l’addio senza appello
A decidere il destino del Caffè Verdi è stata Blackstone, colosso degli investimenti americani, che ha scelto di non rinnovare il contratto d’affitto. Speranzella spiega: «Abbiamo cercato di negoziare il canone, ma non abbiamo mai ricevuto risposta. Hanno detto che avevano altri programmi e interessi». Per la famiglia Speranzella, questa decisione è arrivata come una doccia fredda, soprattutto considerando i rapporti sereni con i precedenti proprietari dell’immobile.
Un colpo alla comunità artistica
La chiusura del Caffè Verdi lascia un vuoto non solo nel tessuto urbano, ma anche nella comunità artistica che gravitava attorno al Teatro alla Scala. Riccardo Muti ha espresso profondo dispiacere per la perdita di un luogo che era diventato simbolo di convivialità e cultura. «Era la nostra creatura, fatta con amore e passione, cresciuta come un figlio», confida Speranzella, evidenziando il legame profondo che la famiglia aveva con questo spazio.
Una storia spezzata
L’incertezza sul futuro dello stabile lascia presagire un destino legato al lusso e alla speculazione immobiliare. La volontà di trasformare lo spazio per ospitare firme di prestigio si scontra con il significato storico e culturale del Caffè Verdi, che per decenni è stato un punto di riferimento per la città. «Oramai non ce la sentiamo più – ammette Speranzella – eravamo legati a questo posto. Era il nostro lavoro, ma anche la nostra vita. Ora svendiamo tutto, a malincuore».
Con la chiusura del Caffè Verdi, Milano perde un altro pezzetto della sua anima.