La situazione in Venezuela è sulla bocca di tutti - noi ve ne abbiamo parlato nel 2016 e già le cose non andavano affatto bene - ed è notizia recente che l'attuale presidente Maduro, sempre più contestato ma ancora sostenuto dai militari, non abbia accettato gli aiuti umanitari inviati dagli Stati Uniti. Ma c'è chi combatte e resiste (molti la chiamerebbero resilienza) a colpi di pasti caldi e nutrienti. È la nuova iniziativa #ChefsForVenezuela dell'associazione capitanata dallo chef José Andrés.
#ChefsForVenezuela
“Quando siamo arrivati a Cúcuta, al confine tra Venezuela e Colombia, c'erano 40mila venezuelani che stavano attraversando il confine. All'epoca era ancora legale”. A parlare sono i volontari dell'associazione World Central Kitchen, capitanati dallo chef spagnolo, negli Stati Uniti da oltre vent'anni, José Andrés. “Dopo il divieto di uscire dal Paese hanno continuato in migliaia a varcare i confini, così abbiamo iniziato a distribuire loro pranzi al sacco nutrienti”.
Il progetto #ChefsForVenezuela è iniziato ufficialmente il 20 febbraio “dopo aver inviato una squadra esplorativa per valutare la necessità reali dei fuggitivi”. Dopo poco meno di un mese, e nonostante le notizie poco rassicuranti degli ultimi giorni che vedono gli aiuti umanitari bloccati alla frontiera - secondo la protezione civile colombiana, si tratterebbe di 14 camion con a bordo un totale di 280 tonnellate di aiuti – hanno già aiutato 4mila persone al giorno.
Come funziona
In pratica forniscono cibo ai rifugi che già si trovano lungo i percorsi più battuti dai venezuelani in fuga. Solitamente questi rifugi sono gestiti da cittadini colombiani anche se in alcuni casi capita di trovare qualche venezuelano che, una volta fuggito, vuole aiutare i concittadini. “Sono degli spazi che forniscono cibo, riparo temporaneo e materiale medico di base. Il nostro compito è quello di portare in questi rifugi pasti nutrienti e caldi ogni giorno”. Il loro “Chef Relief Team” cucina i pasti nella loro attuale cucina a Pamplona. “Inizialmente era a Cúcuta, ma Pamplona è più strategica perché si trova giusto a metà strada tra Cúcuta e Bucaramange, il tratto che molti venezuelani percorrono a piedi quando decidono di lasciare il Venezuela per dirigersi verso la Colombia”.
Le altre iniziative
“Inoltre, abbiamo chiesto a chi gestisce i rifugi in quale altro modo potevamo essere utili. In molti casi ci hanno chiesto stufe a gas, decisamente più performanti e sicure di quelle a legna che hanno a disposizione”. Attraverso le donazioni, tra l'altro, si può aiutare il World Central Kitchen anche a pagare il gas di cui sopra.
L'associazione non è nuova a questo tipo di iniziative: lo chef Andrés l'ha fondata in seguito al devastante terremoto del 2010 ad Haiti con la convinzione che il cibo possa essere un agente di cambiamento. Insomma, dove qualcuno ha bisogno di aiuto e pasti caldi, i volontari della World Central Kitchen arrivano. “Ci siamo poi espansi a livello globale con progetti in Brasile, Cambogia, Cuba, Repubblica Dominicana, Haiti, Nicaragua, Zambia e Stati Uniti, ma José nonostante i molti impegni – ultimo: l'inaugurazione del Mercado Little Spain a New York - continua a lottare assieme a noi. È anche andato a Caracas per un paio di giorni per testare con i propri occhi la situazione”, scampando tra l'altro all'ultimo blackout che ha colpito il Venezuela. Quando la notorietà è funzionale a un fine virtuoso, ben venga.
La mappa dei rifugi: https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=1ow-spDH_LzUjWbNavnG1KgmPxwQtTRhJ&shorturl=1&ll=7.5241917212532625%2C-72.78447110000002&z=9
a cura di Annalisa Zordan