Chef's Table. Perché piace?
Si chiama Chef's Table Pastry ed è l'ennesimo capitolo della saga ideata da David Gelb per Netflix. Pluripremiata per la capacità di confezionare un prodotto impeccabile focalizzando l'obiettivo sul mestiere di chef, la serie ha contribuito negli ultimi anni a restituire un'immagine quanto più possibile approfondita e introspettiva di alcuni grandi cuochi internazionali, descritti però come personalità complesse, di cui indagare quel fattore umano sul quale la regia indugia con piacere. Il rovescio della medaglia è forse quello di aver accelerato quel processo di mitizzazione degli chef che procede ormai a briglia sciolta fomentato dal dilagare dello storytelling. D'altro canto, però, il pubblico, e non solo lo zoccolo duro costituito dagli addetti ai lavori, sembra apprezzare il racconto di un mondo che in sé riunisce molti elementi di fascino, a partire dall'esclusività di certe esperienze per approdare più banalmente all'idolatria dell'immagine, specie quando è associata al cibo. E tra i meriti di Chef's Table c'è indubbiamente quello di riuscire a condensare in episodi da tre quarti d'ora ciascuno, o poco più, una quantità incredibile di still life a tema gastronomico e paesaggi mozzafiato immortalati in ogni angolo del mondo. Ma il segreto del suo successo – 3 sono le stagioni “canoniche” prodotte finora, più la miniserie da 4 episodi dedicata all'alta cucina francese e l'ultima incursione nel mondo della pasticceria – è legato soprattutto alla capacità di raccontare belle storie, conferendogli autorevolezza e autenticità. E ancor prima, quindi, la capacità di selezionare i protagonisti del racconto: negli anni si sono avvicendati davanti alla telecamera Massimo Bottura e Virgilio Martinez, Alain Passard e Dan Barber, Enrique Olvera e Jordi Roca. Ma anche figure meno conosciute a livello internazionale (almeno non dal pubblico generalista), che dopo Chef Table's hanno trovato una inaspettata celebrità, da Vladimir Mukhin ad Ana Ros – lei stessa racconta spesso di quanto la messa in onda del suo episodio abbia influito in modo evidente sul libro delle prenotazioni, in quel di Caporetto, dove guida la squadra di Hisa Franko – da Gaggan Anand a Ben Shewry.
La nomination per Corrado Assenza
La primavera scorsa, con l'uscita del nuovo capitolo “dolce” anche la Sicilia si è ritagliata il suo spazio: una narrazione potente nella sua essenzialità, proprio com'è il Caffè Sicilia di Noto, e l'attore protagonista da cui la storia prende le mosse, Corrado Assenza. Sul suo rapporto con la terra, e sul racconto lineare di un artigiano onesto e appassionato che non ha bisogno di effetti speciali per conquistare chi l'ascolta, si fonda l'intero sistema narrativo dell'episodio, che è pure un'ottima opportunità per riscoprire i dolci più apprezzati del maestro: la sua granita, il gelato, la cassata, i cannoli. Divide la scena con lui Francesco, il figlio che continuerà la tradizione familiare. La Sicilia, è sempre lì, a riempire gli occhi (a voler trovare una pecca certe sequenze con sottofondo musicale d'ordinanza rischiano di restituire un'immagine fin troppo folcloristica della sicilianità, a uso e consumo del pubblico americano). Una formula che ha colpito nel segno – molte sono state le recensioni positive della critica – e ora conquista una nomination di prestigio agli Emmy Awards 2018, nella categoria Outstanding Cinematography for a non fiction program, unico episodio della serie nominato quest'anno, a contendersi il premio nella cinquina che include pure la puntata di Part Unknown dedicata a Lagos (ma l'apprezzata serie di Anthony Bourdain, a poche settimane dalla sua scomparsa, ottiene numerose nomination, compresa quella per la sceneggiatura dell'episodio dedicato al Sud Italia). I premi saranno annunciati solo il prossimo 17 settembre, durante la cerimonia della 70esima edizione degli Emmy Awards al Microsoft Theater di Los Angeles.
a cura di Livia Montagnoli