Non c'è estate che si rispetti senza una nuova goffa polemica del personaggio televisivo Chef Rubio in costante ricerca di visibilità e di palcoscenici mediatici facili facili da calcare muovendosi come un elefante nella cristalleria del malcapitato settore enogastronomico italiano. E così, superato il solstizio, ci risiamo. L'anno scorso furono gli attacchi al compianto Gualtiero Marchesi uniti a quelli verso Cracco, Cannavacciuolo, Vissani e altri ancora. Quest'anno a subire autentiche calunnie è addirittura un'intera azienda, il nuovo Mercato Centrale di Torino, che secondo Gabriele "Rubio" Rubini dovrebbe "fallire".
Chef Rubio fa male a se stesso
Sappiamo bene che le reiterate boutade di Rubio fanno male soprattutto a Rubio stesso, tuttavia siamo anche piuttosto persuasi del fatto che un personaggio dotato - grazie alla tv - di popolarità abbia una responsabilità da gestire, specie quando usa la propria visibilità per porsi come divulgatore. Non che non si possano affermare le proprie opinioni, ci mancherebbe, ma non si capisce perché non utilizzare il vasto palcoscenico che si ha a disposizione in maniera costruttiva piuttosto che distruttiva.
Rubio invece - spesso parandosi dietro alle pur tante iniziative benefiche e solidali che promuove - ha capito che per accumulare e mantenere follower e like bisogna sparare facile ad alzo zero su obbiettivi comprensibili ai più. E così fa, incurante delle conseguenze che pagano i suoi target e lo stesso settore dove lavora.
Rubio sempre all'attacco
La faccenda bizzarra è che Rubio, in parallelo alla sua attività di cuoco televisivo, porta avanti una battaglia di contrapposizione politica serrata e quotidiana contro istituzioni, ministri, governanti, potenti in generale. Ma è facile accorgersi del deficit di coerenza: come si fa a rimbrottare il prossimo quando si è i primi a sferrare attacchi, parole grosse, volgarità e aggressività gratuite, toni insensatamente sopra le righe, squallido machismo (fateci caso nelle sue interviste, tutti quelli che non sono come lui, testualmente, "non hanno le palle") e populismo a tonnellate? Il bue dà del cornuto all'asino... In un paese che è aduso a scambiare la volgarità per schiettezza, ecco che il sovente volgare Rubini passa per persona "alla mano e diretta". Facile facile, ad uso e consumo dei social.
Il populismo gastronomico della bettola
Populismo, dicevamo. La dialettica rubiesca in questo è davvero esemplare. In un periodo in cui il settore del cibo ha bisogno di spiegazioni e educazione, specie per i giovani, Rubio - pur sapendo benissimo di essere un personaggio pubblico - ha optato per buttarla in caciara. "Io vado solo nelle bettole: lì si parla con le persone, impari più cose, conosci chi ha preparato il cibo. Le rare volte che mi siedo al ristorante me ne pento: il luogo è, di per sé, slegato dall'essere umano" ha dichiarato nel 2018 al Corriere della Sera. Nelle bettole c'è il cibo vero, i nuovi mercati sono di plastica, le trattorie buone sono quelle dove si fermano i camionisti (peraltro protagonisti del suo ultimo programma tv) e ogni frutto della altrui creatività "lo sapevo fare anche io", come dicono gli ignoranti ostentati quando vedono un Taglio di Lucio Fontana.
La versione gastronomica dell'adagio spesso usato nel mondo dell'arte contemporanea è "non serve un genio per mettere la foglia d'oro sul risotto", dichiarazione del nostro Rubini dello scorso anno giusto per festeggiare il primo anno dalla morte di Marchesi. Ovviamente il popolo dei social gongola e si accoda ai ribaditi - ripetiamolo, facilissimi - attacchi un tanto al chilo ai ristoranti dove "si mangia poco e si spende tanto". Frasi fatte, scontatezze, cliché e stereotipi senza remore. In definitiva: noia. Ma del resto è con questa retorica d'accatto che si costruisce e si mantiene la popolarità e si governano i social. Se poi vuoi stare al gioco e replicare, però, Rubio ti blocca, si rifiuta di confrontarsi.
Come quando, due anni fa, diede dei "mafiosi" a Gabriele Bonci e a Stefano Callegari, grandi maestri dell'arte bianca romana colpevoli di aver proposto delle versioni rivisitate del tradizionale supplì. Prima ancora se l'era presa con tutti gli chef a partire da Gualtiero Marchesi. Ma Rubio sa bene che il popolino dei social va in sollucchero quando arriva il savonarola della tradizione e allora giù diffamazioni a casaccio.
Le calunnie contro il Mercato Centrale
E veniamo alle ultime calunniette. Rilasciate in un'intervista alla edizione torinese del Corriere della Sera. Nel mirino questa volta come dicevamo c'è una intera azienda chiamata Mercato Centrale, creatura di Umberto Montano che dopo Firenze si è allargata a Roma (nella Stazione Termini) e da poco - in attesa di aprire anche a Milano - ha debuttato a Torino con un format di successo all'insegna dello street food in uno spazio abbandonato da tempo finalmente recuperato nella zona di Porta Palazzo. E proprio la vicinanza con lo storico mercato torinese ha fatto storcere la bocca al nostro eroe da tastiera, secondo cui il Mercato Centrale sarebbe un posto di plastica che dovrebbe fallire perché pensato per chi ha paura di entrare nell'adiacente mercato "vero".
Ha detto proprio così, "paura", come se entrare in un semplice mercato rionale sia chissà quale prova di coraggio, ma evidentemente dal punto di vista di Rubio tutto è sfida inutilmente muscolare e contrapposizione maschia e anche per visitare dei banchi di frutta e verdura bisogna essere degli autentici coatti certificati, e noi ingenui convinti che al mercato ci andassero soprattutto le massaie e le nonne...
La realtà di Porta Palazzo
Ovviamente la realtà di Porta Palazzo è tutt'altra e la narrazione di un Mercato Centrale arrivato a sconquassare un idillio iper popolare con una proposta plastificata è tanto suggestiva quanto profondamente falsa e assai superficiale. Come sovente fa, insomma, Rubio ha parlato senza studiare, senza approfondire, senza documentarsi un minimo. Tanto se il campo di confronto è quello di Instagram, è sufficiente così. Porta Palazzo è luogo meticcio e accogliente, capace dunque per definizione di accettare cambiamenti, proposte diversificate, offerte commerciali, gastronomiche e perfino ricettive (aprirà un albergo molto particolare a breve). Il tutto con l'obbiettivo di lanciare nuove sfide a questo distretto che, anzi, sta vivendo finalmente una primavera dopo anni di declino.
Proprio noi su Gambero abbiamo cercato di raccontare tutto ciò con un grande servizio a firma di Vittorio Castellani uscito sul nostro mensile di aprile scorso e nel documentarci ci siamo resi conto quale sia stata la cura con cui Mercato Centrale è entrata nel tessuto torinese in punta di piedi, con massimo rispetto, cercando di coinvolgere associazioni e comitati di cittadini, attuando tutte le leve possibili per rendersi parte del territorio e dei quartieri circostanti. ll successo commerciale che è scaturito è frutto, oltre che dell'offerta gastronomica indovinata, anche di questo.
Ma c'è di più: se parliamo di "veri mercati", bisogna ringraziare proprio il Mercato Centrale e il suo modello. Nella sua prima sede di Firenze, infatti, il progetto ha rinverdito i fasti dell'antico Mercato di San Lorenzo contribuendo a rilanciarne il ruolo in città e presso i turisti. Al di là dell'idiozia di augurare il fallimento a società che garantiscono uno stipendio a decine di persone meno fortunate di Rubio, c'è insomma la solita indifendibile approssimazione sui contenuti.
Dunque anche stavolta attacchi gratuiti. Attacchi scomposti e volgari che non servono al settore, non contribuiscono a far crescere nessuno, non perorano nessuna causa, non insegnano nulla, non fanno migliorare alcunché e generano solo disinformazione e superstizione, perfette per entrare in sintoina col target impreparato e facilmente suggestionabile dei social.
a cura di Massimiliano Tonelli
photo credit Vito Frangione