Dinanzi a un interrogativo abbastanza banale su come nasce l'ispirazione in cucin, val la pena forse proporne un altro, di natura opposta, domandandoci piuttosto quali strade apra quella stessa ispirazione che la sostiene. A orientarci nella risposta ci soccorre uno chef culturalmente agguerrito, Stefano Basello del ristorante 1905 di Udine, due forchette per la Guida del Gambero Rosso e cuoco innamorato del proprio territorio, quel Friuli che è terra di confine, ricca di prodotti buoni, ma anzitutto di saperi popolari, molti dei quali purtroppo a rischio di finire dimenticati. Quelle stesse tradizioni che qui sono alla base di un dessert straordinariamente evocativo: Lis Aganis, questo il suo nome, dedicato a delle divinità mitologiche.
La cucina del ristorante 1905 a Udine
Lis Aganis è un dessert che ha per forma un gomitolo di lana. Vi troveremo al suo interno delle fragole accompagnate da un cremoso al levistico, il tutto circondato da un terrario da cui emergono delle piantine insieme ancora a una noce e a un cremoso al sentore di fungo. A colpire sin da subito è l'ispirazione che ha guidato lo chef e che è di natura mitologica. E che ci obbliga sin d'ora a conoscere questa sorta di ninfe, le agane appunto, a volte benigne nei confronti dell'uomo, altre meno (e cos'altro potrebbe essere, del resto, se non la rabbia delle agane la schiuma che si forma tra le cascate del torrente Arzino?) e che proprio nei secoli, tali creature, hanno animato un ricchissimo immaginario popolare. Sono gli stessi racconti che hanno incendiato la fantasia del nostro cuoco friulano, la cui fascinazione ha dato forma a questo dolce, che prima di tutto è omaggio alle proprie radici per poi rappresentare - e questo è ciò che più conta per noi - un modo diverso di fare (alta) cucina.
Una leggenda
Secondo la tradizione popolare, le agane - lis aganis in dialetto friulano - sono figure mitiche femminili che abitano vicino ai corsi d'acqua: torrenti di montagna, laghetti alpini, ma anche in orridi e grotte. Uno dei racconti più diffusi che le vede protagoniste narra dell'incontro di una madre che un giorno scorse, lungo gli argini di un fiume, una di queste creature intenta a fare la maglia: «Ti darò questo gomitolo - disse l'agana alla povera donna - così che tu possa preparare dei vestiti per i tuoi bambini». Quella madre si mise subito al lavoro e confezionò gli indumenti per la prole. Intanto quel gomitolo che le era stato donato sembrava non finire mai: così, dopo aver provveduto ai bisogni dei propri figlioli la madre lo donò ad altre donne affinché se ne servissero pure loro. E ancora oggi, si dice, non ancora esauritosi quel gomitolo di lana sta ancora passando di mano in mano.
Tradizioni da difendere e tramandare
Spiega lo chef Stefano Basello: «Il gomitolo rappresenta il patrimonio del nostro territorio che va condiviso e che ciascuno può utilizzare a seconda delle proprie necessità. Il filo invece rimanda ai ricordi, a quella ricchezza di saperi e tradizioni che noi dobbiamo preservare e tramandare». Ed ecco allora emergere nel suo significato (e valore) questo dessert tanto insolito quanto accattivante: con il richiamo al levistico e alle erbe più diffuse raccolte nella Val d'Arzino, dove si crede abitino le Agane. Il sentore di fungo, sprigionato dal cremoso, viene invece così decifrato: «Noi vogliamo immergere il cliente in quella zona boschiva dove è avvenuto l'incontro di questa storia - spiega lo chef -. E così pure le piantine che abbiamo raccolto in quella stessa valle e che sono presenti nel piatto intendono trasportare l'ospite nel luogo della leggenda, insieme alle noci e alle fragole di cui si dice sono ghiotte le nostre divinità».
Suggestioni e immaginario
Quest'esempio di dessert dello chef Basello ci parla di un'ispirazione che affonda le radici in un immaginario ricchissimo di suggestioni e che muove da aneddoti e da storie per approdare poi - ma si badi bene: solo successivamente - in un piatto. E dove quindi la tecnica e la conoscenza degli ingredienti - ovviamente entrambe di prim'ordine - sono al servizio di qualcosa di diverso: che certo è un racconto, ma prima ancora è un nucleo fortissimo di valori - l'amore, su tutti, per la propria terra - da cui sgorga, a mo' di sorgente naturale, la fantasia in cucina. Con Pancor - "il pane che viene dal cuore" - Stefano Basello ha voluto raccontare il disastro della Tempesta Vaia dell'ottobre del 2018 quando milioni di alberi della Carnia e di Sappada vennero sradicati dalla furia del vento. Da quelle cortecce di abeti bianchi e rossi strappati, lo chef ha ricavato una farina commestibile che ha dato vita a un pane straordinario che ancora oggi arricchisce il suo cestino del pane - che è di riferimento - servito al ristorante e in cui troveremo anche pani preparati con farine di tuberi e di ghiande, con quei prodotti di sussistenza che ancora una volta raccontano di quei durissimi anni di guerra e della lotta per la sopravvivenza di un intero popolo.
Un modello per giovani cuochi
Seduti alla tavola di questo elegante ristorante cogliamo un'accezione importante in cui si declina oggi l'alta cucina: che è certo creazione di piatti straordinari, ma attraverso di essi è anzitutto consapevolezza del proprio ruolo. Di ispirazione, cioè, per un intero territorio, con il sostegno delle filiere di piccoli produttori spesso eroici coinvolti in progetti di qualità, ma insieme modello per giovani cuochi affinché approcciandosi a questo difficile e insidioso mondo si ancorino a valori e passioni forti così da non finire travolti dinanzi alle inevitabili difficoltà.
Un'energia vitale
La piccola pasticceria che chiuderà l'esperienza al 1905 di Stefano Basello sintetizza al meglio un percorso che è stato anzitutto un modo diverso di intendere e fare cucina: lo chef servirà le sue praline, i biscotti, le frittelle di mele estraendoli direttamente da quello zaino di legno dotato di molti cassettini chiamato crassigne, indossato da uno dei suoi ragazzi di cucina, proprio come un tempo dai cramârs, gli ambulanti della Carnia. Furono costoro a diffondere in questa terra la cultura delle spezie che influenzò la loro cucina (si pensi al piatto simbolo, i Cjarsons, i ravioli carnici con quella cannella e il cacao che ancora li impreziosiscono) a testimonianza di una vitalità che ieri come oggi è il tratto distintivo di ogni energia creativa.
Ristorante 1905, via Tricesimo 276, Udine - tel. 0432 545096