La città di San Paolo è la capitale gastronomica del Brasile, una città urbanizzata intorno al crocevia di un multiculturalismo profondo che, in tre giorni di convegno, si dichiara megafono di un messaggio collettivo fondamentale “Qual seu propósito in cozinha?”. Letteralmente “Qual è il tuo scopo in cucina?”. Questa frase campeggia come slogan nel convegno enogastronomico più importante del Sud America che è Mesa, organizzato dalla rivista Plazeres de Mesa. Un auditorium dove l’intero continente gastronomico contribuisce con sano senso di partecipazione, ad amplificare il ruolo del Brasile nell’equilibrio di un ecosistema che regola l’intero pianeta.
Capita che si pensi al Sud America come a un continente la cui storia inizia con le conquiste coloniali, ma c’è una parola che segna il confine assoluto tra la storia conosciuta e quella ignorata: nativo. In questo termine c’è tutto il radicamento che lega una popolazione alla sua terra, slegandola da qualsiasi concetto di tradizione culturale che si è poi plasmata nel tempo. Nativo significa intimamente tuo e qui le api sono native, considerate uno dei tesori più preziosi del continente, le piante sono native e chiunque nasca e viva in Brasile appartiene a un’identità che è considerata nativa. Un concetto amazzonico che ha accolto il senso di appartenenza di chiunque ne ha compresa l’importanza.
Coscienza brasiliana
In un paese colonizzato la cultura conseguente è una proiezione del modello coloniale, ma succede che il tempo restituisca quell’orgoglio che porta a ricercare il valore di quanto finora è stato sottovalutato. In Brasile la prima scuola di cucina apre a San Paolo intorno agli anni duemila e fino ad allora l’enogastronomia era affidata a talenti autodidatti e a cuochi che avevano avuto la possibilità (molto rara) di fare esperienze all’estero. Oggi non è più così e nonostante le preziose contaminazioni culturali di cui si vive costantemente, in questo paese c’è un’incredibile generazione di nuove cucine che nascono sull’educazione alla cucina e sulla valorizzazione delle materie prime nazionali.
Il percorso professionale di un cuoco in Brasile nasce da lì, dall’educazione sul patrimonio gastronomico naturale nella sua biodiversità e nella sua trasversalità di utilizzo, non dalla tecnica. Si va a scuola di ambiente, prima di andare a scuola di tecnica e ricerca e si assimila il processo corretto di educazione alla cucina: prima le risorse, poi la tavola. La sensazione è che invece da queste parti si faccia il contrario, dando per scontato un fondamentale e di conseguenza, nonostante le stesse buone intenzioni, mettendo al centro di un convegno o di una discussione produttiva l’argomento sbagliato.
Cosa possiamo fare per il pianeta
Così, mentre noi ci preoccupiamo della ristorazione, della fine del modello di fine dining austero ed elegante, in Brasile ci si domanda veramente cosa possiamo fare per il pianeta e di cuochi sul palco di Mesa San Paolo se ne sono visti tanti. Diversi per natura d’intervento e di argomento, ma con un messaggio chiaro e univoco, in quei tre giorni hanno dato voce al loro proposito Ivan Ralston e Katherina Cordás del ristorante TUJU di San Paolo, gli ecuadoriani Pia Salazar e Alejandro Chamorro del ristorante Nuema a Quito, lo spagnolo Quiqe Dacosta del Dénia ad Alicante, Catalina Vélez dalla Colombia, João Diamante da Rio De Janeiro o ancora Geovane Carneiro, braccio destro di Alex Atala nel ristorante D.O.M. di San Paolo. Solo per indicarne alcuni. In ogni intervento nessuno di loro parla di “la mia cucina”, tenendo al centro dello speech il senso di appartenenza a un’identità collettiva cui dare una forma d’espressione personale. ‹‹Senza il pianeta come giacimento da rispettare, saremmo cuochi di niente oggi›› queste le parole che colpiscono e che arrivano da Rodrigo Oliveira del Mocotó di San Paolo, un ristorante che rappresenta una delle impronte gastronomiche più autentiche del paese e che in cinquant’anni ha cambiato una favela dove ogni giorno prepara dai 60 ai 100 pasti gratuiti, in un piccolo ecosistema produttivo ai margini della città.
Le parole più forti arrivano da Rosa Moraes, in un talk con Mariella Lazaretti (organizzatrice del convegno), «Quando parliamo di cucina oggi in Brasile l’istruzione va necessariamente di pari passo ed è una delle sfide più grandi per migliorare la qualità della vita della popolazione. La mentalità di una cucina non solo resiliente, ma rispettosa delle risorse, deve avere pratiche di impatto positivo nel tessuto sociale e ambientale. Guardate cosa è successo in Spagna o in California e non solo qui nel Rio Grande do Sul, secondo voi è possibile parlare del futuro della ristorazione senza prima interrogarsi seriamente su cosa stiamo facendo per il pianeta?».
Rosa Moraes, laureata in Gastronomia e madre di tre figli, oggi è l’ambasciatrice del turismo e dell’ospitalità presso Ânima Educação, un innovativo ecosistema di centri educativi che comprende più di 18 istituti di istruzione superiore in tutto il Brasile. Una donna che con forza ha guidato il lancio del primo programma universitario di gastronomia del paese e profonda sostenitrice di Gastromotiva, un progetto che favorisce la trasformazione sociale attraverso la gastronomia. Una delle persone più influenti e competenti in materia nel Sud America, che risponde così, con naturalezza, alla domanda su cosa consiglierebbe a chi crede di avere o di proporre la migliore cucina del mondo «Bisogna uscire dalla propria cucina, volare lontani dalla propria cucina e guardarsi intorno per conoscere il mondo, studiare e assaggiare le cucine di ovunque. Certamente per poi tornare nella propria cucina e non perché sia la migliore del mondo, ma perché si aggiunga al meglio che il mondo ha da offrire».
Se non siete mai stati in Brasile, vale la pena fare un viaggio nel nuovo centro della gastronomia sudamericana per scoprire un paese che ha recuperato sé stesso e la propria storia attraverso una parola, nativo.