«L'alta cucina ha dichiarato guerra al cliente. E rischia di fallire. Fermiamoci». L'appello dello chef Andrea Fenoglio

6 Lug 2024, 11:41 | a cura di
Un grande cuoco altoatesino lancia un grido d'allarme rivolto a una ristorazione sempre più in difficoltà dinanzi alla sfida decisiva della sostenibilità economica

«Un dessert che giunge in tavola coperto di muffe ci fa perdere 100 coperti di botto». Non le manda proprio a dire Andrea Fenoglio, due forchette per la Guida del Gambero con il suo ristorante Sissi di Merano (BZ) e stella Michelin di lungo corso, nonché punto di riferimento in fatto di alta cucina per l'Alto Adige e non solo. Lo chef, di origini piemontesi, al contrario di molti colleghi pur talentuosi, non difetta di personalità. Quella stessa che è alla base di affermazioni coraggiose e nette, espresse alla luce del sole, che hanno un indubbio merito: per quanto ovviamente opinabili, le sue dichiarazioni suonano come campanello d'allarme rivolto anzitutto a chi, come lui, è impegnato in prima persona, senza reti di protezioni economiche offerte da altre proprietà, a fare ristorazione di qualità. Un segmento, questo, che è maggioritario in Italia, ma che rischia purtroppo di finire fuori strada perché disorientato dalle troppe sirene che, dietro l'apparenza di "buone pratiche" oggi incoraggiate anche dai media, nascondono in realtà trappole insidiose.

La sua affermazione sul dolce coperto di muffe rimanda al celebre "limone dimenticato" dello chef Terry Giacomello, il cui modello di ristorazione è del tutto diverso dal suo. È così?
Negli ultimi anni noi abbiamo avuto una funzione quasi terapeutica nei confronti di una clientela sempre più scottata da un tipo di alta ristorazione che le ha riservato solo cantonate. E questo perché al cliente moltissimi menu dei cosiddetti ristoranti all'avanguardia non hanno saputo comunicare un bel niente. Eppure l'obiettivo di ogni piatto dovrebbe essere piuttosto semplice: "wow, questo è buono!" Se un intero menu non è in grado di entusiasmare, ciò si traduce in un problema grande per tutti noi perché significa che il tessuto di cui è composta la fiducia tra il cliente e il ristoratore si fa sempre più liso.

Un'osservatrice acuta come la giornalista e scrittrice Guia Soncini alcuni anni fa scriveva che si va a cena da Bottura perché il solo sedersi alla sua tavola ci offre un upgrade sociale, facendoci sentire più intelligenti. Che cosa ne pensa?
Che quando vado a un ristorante io non voglio pagare per una griffe, ma per divertirmi a tavola. Non intendo pagare un biglietto per dire, magari, che ho mangiato in un ristorante che sembra un museo d'arte contemporanea. Voglio godermi quel momento, pagando il giusto,  senza dimenticare che ho scelto di vivere un'esperienza a tavola. E questo è ciò che vuole il nostro cliente. Oggi poi c'è un altro grosso problema.

Quale sarebbe?
Quello di una comunicazione non veritiera. Ci sono delle provocazioni fine a sé stesse, dei veri e propri ghirigori degli chef, che causano un danno a tutti. Con il risultato che la gente smette di andare nei grandi ristoranti perché non si fida più.

Si spieghi meglio
Mi è capitato di sedermi in un ristorante importante e mi è stato detto che avevano acquistano un manzo intero nel rispetto della circolarità e della sostenibilità, tra i temi oggi più cool. E va benissimo: dopo di che a me quel giorno è toccato il diaframma, che però avrei pagato lo stesso prezzo del filetto, servito magari il giorno successivo a un cliente più fortunato. Vien da chiedermi: sono io ad aver sbagliato il giorno? Perché il cliente normale fa fatica a comprendere la risposta che di solito gli viene data: sei tu che non capisci lo spirito del ristorante.

Pensa che oggi ci sia uno storytelling furbo?
Non è furbo: è truffaldino. E il cliente non è scemo. Gliela si può raccontare come si vuole, ma i due tagli di carne hanno valori e costi diversi. Avrei poi anche voluto farmi mostrare la fattura dell'acquisto della bestia intera. Un altro esempio è il pane. C'è un menu degustazione di cinque o sei portate. E una di queste, scoprirò strada facendo, è il pane. Mi si dirà: facciamo così per nobilitarlo. Ma il pane è qualcosa che sta in tavola. Non è una portata, è il pane.

Insomma, il re è nudo. Qual è il suo bersaglio polemico?
Una ristorazione che ha perso di vista la cosa più preziosa che abbiamo: il cliente. Oggi non è certo più di moda dire che il cliente è il centro di tutto perché è lui che finanzia la nostra attività. Ma ogni ristorante deve stare in piedi, perché dobbiamo essere seri in tutto quel che facciamo. E se il pubblico decide di non venire più da noi, è un problema grande perché la nostra avventura professionale terminerà. Il nostro sforzo enorme deve essere emozionare il cliente affinché torni: per stare in piedi, abbiamo bisogno di molti clienti.

 


E se invece fosse proprio il cliente a non capire la ricerca di uno chef, ancorato com'è, magari, a vecchi schemi e a piatti che ripropongono sempre le solite ricette e gli stessi sapori?
È davvero troppo comodo dire: "Ah, è la gente che non ci capisce". Ed è ciò che dice oggi la maggior parte dei cuochi. Ma attenzione: è il cliente che paga e quindi capisce tutto. Se per tre volte nel mio ristorante lo stesso piatto torna indietro, noi ci fermiamo subito, perché significa che lì c'è qualcosa che non va. E poi non dimentichiamolo ...

Che cosa?

Che il nostro cliente medio esce molte più volte di noi a mangiare. Io e tutti i miei colleghi  impegnati a cucinare usciamo molto meno dei nostri clienti. E il cliente ha un'idea chiarissima di quello che desidera mangiare.

Chi sono i cattivi maestri?
Chi non rischia niente in proprio e offre un modello che non è replicabile. Chi può creare dei buchi economici perché sa che tanto verranno ripianati dalle proprietà. Sono esempi pericolosi, oltre che forme di concorrenza sleale.

Da chi e da che cosa mette in guardia?
La maggior parte dei colleghi cuochi non ha una preparazione imprenditoriale, che neppure io avevo e per cui mi sono messo a studiare. Bisogna dire chiaramente che se un ristorante perde 400mila euro ogni anno, magari inseguendo premi, e non ha nessuno alle spalle che ce li butterà poi dentro, in due anni quel ristorante chiuderà. E a quel punto i premi saranno serviti a poco.

Parliamo ora in termini positivi: come si esce a suo giudizio da questo tunnel?
Ponendo al centro dell'intera proposta - che coinvolge per il 40% la cucina (e qui penso all'armonia del gusto da raggiungere in ogni piatto), il 40% il servizio e il 20% la location - il cliente. Noi dobbiamo puntare al fatto che il cliente sia contento e soddisfatto. E questo si chiama rispetto. Troppi ristoranti gourmet se ne fregano completamente.

Come si stima la sostenibilità economica di un ristorante come il suo?
È presto detta, magari anche brutalmente: ogni collaboratore del mio ristorante, sia che lavori in sala o in cucina, deve portare 90mila euro di fatturato. Altrimenti non stiamo in piedi.

Quale pensa sia il valore aggiunto del suo ristorante?
L'umanità. Il fatto che se il cliente parla, noi lo guardiamo negli occhi, lo ascoltiamo e cerchiamo di assecondare le sue volontà.

Chi le piace, in Italia, dei grandi chef?
Perbellini perché nei suoi piatti ci sono basi di cucina importanti (e non solo assemblamento di ingredienti), c'è molto lavoro, da lui si mangia sempre in maniera eccellente. E poi mi piace molto perché è una figura moderna di chef imprenditore.

Tra i trend oggi più diffusi in ambito gastronomico quali la convincono di più?
Il vegetale, che però non è un trend: finora abbiamo avuto un modo distorto di alimentarci. E ciò a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Prima eravamo una nazione che si nutriva in maniera intelligente. La carne si mangiava una volta alla settimana. Il pollo solo la domenica perché costava caro. Dobbiamo cominciare a imparare, se non a essere sostenibili, almeno più egoisti: dobbiamo mangiare meno carne per non ammalarci. In Italia il suo consumo è già alto, in alcuni paesi del Nord America è fuori controllo. Il piatto signature del nostro menu "7 piatti" - il Mosaico di porro, alghe nori, purea di patate, salsa ponzu - viene servito con il Barbaresco: la sua è una dignità pienamente espressa.

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