Pericarpo, mesocarpo ed endocarpo. Ovvero buccia, polpa e poi il seme avvolto nel suo pergamino: sono questi i tre elementi che compongono il frutto della pianta del caffè, la Coffea (suddivisa in Coffea arabica e Coffea Canephora, più comunemente detta robusta). Una drupa rossa che cresce nei Paesi della fascia equatoriale, e della quale, come nelle migliori tradizioni più antiche, non si butta via niente.
La cascara
Nonostante il prodotto più consumato e diffuso sia il seme, anche la buccia del caffè può essere impiegata per realizzare un prodotto dal gusto unico, a metà fra un caffè filtro e un tè, un infuso ricavato proprio dalle bucce essiccate. Si chiama cascara (letteralmente “guscio”, “buccia” in spagnolo) e, benché derivi dalla stessa pianta, ha un gusto e un profilo aromatico molto diverso da quello a cui l'oro nero ci ha abituato.
Cascara: i sentori
Note di ibisco, petali di rosa, frutti rossi, mango, aromi esotici e floreali sono le nuance che più spesso si trovano all'interno della bevanda, ancora molto poco conosciuta in Italia. Come si prepara? Proprio come un tè: si può quindi scegliere di infondere le bucce semplicemente con un filtro immerso in acqua calda (fra i 90° e i 100° C) oppure utilizzare la French Press, strumento molto in voga fra i baristi professionisti.
Cascara: le varianti
Analogamente a tè e caffè, tempi, temperature e dosi devono essere adeguati a seconda del tipo di tazza che si vuole ottenere: più o meno concentrata, più o meno persistente, astringente, delicata o profumata. Senza dimenticare il caffè di partenza: anche in questo caso, la qualità della materia prima influisce sul risultato finale, così come la varietà e il sistema di lavorazione.
Metodo naturale e metodo lavato
Lo conferma Elisabetta Paviglianiti, barista ed esperta di caffè specialty appassionata della bevanda. “L'origine del caffè è determinante anche quando si tratta della buccia. Il profilo aromatico finale sarà più aromatico, intenso, dolce o acidulo a seconda della materia prima di partenza”. Ma non è solo l'origine a definire il gusto: “Molto dipende anche dal metodo di lavorazione usato in piantagione”. Naturale o lavato: queste le due tipologie di separazione della polpa dai semi. Nel primo caso, la ciliegia di caffè viene lasciata essiccare naturalmente al sole, per essere poi divisa nelle sue due componenti, polpa e buccia, fino ad avere il chicco pulito. Nel secondo, la drupa viene spolpata tramite dei macchinari in grado di estrapolare il chicco dal pergamino, la membrana che lo avvolge. Questo viene poi immerso in vasche di acqua per circa tre giorni, durante i quali subisce dei processi di fermentazione, per essere poi lavato e asciugato.
Dolcezza o acidità?
“La cascara preparata con bucce di ciliegie essiccate con metodo naturale risulta molto più dolce, mentre quella con metodo lavato presenta note più acidule che ricordano la prugna e la frutta rossa”. Che sia la dolcezza o l'acidità a prevalere, l'infuso regala grandi soddisfazioni, “sia nella versione fredda – squisita – che calda”. Elisabetta lascia infondere le bucce per circa 3/4 minuti a 98°C, nel caso della tisana calda, “mentre per la variante fredda basta una semplice infusione con acqua e ghiaccio”. Gli assaggi migliori, come sempre, sono quelli fatti nei Paesi d'origine, in piantagione, insieme a coltivatori e appassionati che da sempre consumano il prodotto. “Ogni origine ha un suo carattere: certo, stiamo parlando di bucce essiccate, quindi si tratta di differenze sottili, ma il gusto cambia leggermente di zona in zona”. Il prezzo è inferiore rispetto a quello dei chicchi, ma non di molto: “Tutto dipende dalla qualità. Per gli specialty, si paga comunque di più, circa 4/5 euro al chilo”.
Cascara: la caffeina
Si tenderebbe a pensare che, essendo un infuso di bucce, il contenuto di caffeina sia inferiore rispetto a quello della comune tazza di caffè filtro. Ci sono diverse scuole di pensiero al riguardo, e la teoria più accreditata fra gli esperti di settore parla di circa 100mg di caffeina per litro, più o meno quattro volte inferiore rispetto al classico caffè. Nel 2013, la torrefazione britannica Square Mile Coffee ha condiviso sul suo blog specializzatto i risultati di un'analisi effettuata dal laboratorio tedesco CR3, lo stesso che lavora i loro decaffeinati: anche durante le infusioni più lunghe e complesse, il contenuto di caffeina non superava mai il massimo di 111,4 mg per litro (molto poco rispetto a quello del caffè filtro, che va dai 400 agli 800 mg per litro). Eppure, i coltivatori continuano a sostenere il contrario: “In piantagione mi è stato detto che ne ha quasi il doppio. Non so se si tratti di una leggenda o un dato scientifico, ma questo è ciò che si dice nella maggior parte dei contadini dei Paesi d'origine”.
La cascara anti-spreco
Attualmente, non sono molti i bar italiani a proporre la cascara, mentre nel resto d'Europa e del mondo, dove la tendenza delle caffetterie specialty e la cultura del caffè di qualità si è già affermata da tempo, ha cominciato a riscuotere successo fin dal 2010. In piantagione, si beve da sempre, in un'ottica di riciclo e riutilizzo (“le bucce vengono usate anche per concimare”), omaggio a una pianta preziosa che, per intere popolazioni, rappresenta la più florida delle risorse economiche. Qualcuno che la prepara anche in Italia, però, c'è e, gradualmente, sta già conquistano il pubblico, che trova in questo ibrido fra caffè e tè il giusto compromesso tra acidità e dolcezza. Provare per credere.
a cura di Michela Becchi