Il viaggio degli chef italiani ai confini d'Europa per accaparrarsi una delle carni più buone al mondo

15 Ago 2024, 14:22 | a cura di
Siamo stati in viaggio con alcuni cuochi italiani per scoprire come viene prodotta la carne irlandese, ora riconosciuta IGP, partendo dai pascoli in cui gli animali vengono alimentati a erba per 220 giorni l'anno

È una giornata di pioggia e vento di maggio quando gli chef varcano la soglia dell’azienda agricola Eden Calvis Parish ad Hackballscross in Irlanda, una delle aziende agricole a conduzione familiare che alleva bovini allo stato brado: gli animali vivono all’aperto per 220 giorni all’anno e vengono alimentati solo con erba. Sono il motivo per cui otto chef italiani – Alberto Canton, Sara Conforti, Stefano Di Gennaro, Andrea Fusco, Federico Pettenuzzo, Daniele Repetti, Paolo Trippini, Francesco Cassarino – hanno scelto questa carne, vanno e vengono dall’Irlanda per poterla servire nei loro ristoranti.

I pascoli irlandesi

Irish coffee, burro, whisky, Guinness, cielo grigio e distese di erba verdissima. L’Irlanda è questo agli occhi del mondo. Gli chef italiani non attraversano il Muir Éireann, sorvolano l’Inghilterra e atterrano sull’Isola di Smeraldo semplicemente per bere un una birra e guardare i prati bagnati, vanno lì – sorpresa – per vedere con i loro occhi come vivono i bovini (Hereford, Black Angus etc..) e scegliere la carne giusta da servire ai propri clienti in Italia. Tutti loro, insieme a Filippo Saporito e Stefano Arrigoni, fanno parte del CIBC, Chefs’ Irish Beef Club, il club che raggruppa cuochi nazionali e internazionali (ottanta da tutto il mondo) impegnati a promuovere la carne di manzo irlandese nei loro ristoranti, che ora ha ottenuto anche il marchio IGP.


«Sono quasi vent’anni anni che uso carne irlandese e collaboro con Bord Bia (ente governativo che promuove prodotti food&beverage irlandesi, ndr). L’ho cucinata in tutte le maniere, dai pezzi più pregiati fino a quelli di secondo taglio», racconta Sara Conforti del ristorante Mulino Landi, Certaldo in provincia di Firenze, unica donna che ha partecipato a questa sorta di “transumanza” umana alla volta dei pascoli irlandesi. Ed è anche la più intraprendente: Sara è la prima a dirigersi verso la stalla dell’azienda agricola per prendere confidenza con un esemplare di Hereford.

In attesa di chi spieghi il lavoro in fattoria, nonostante il vento, il freddo e la pioggia, gli chef si confrontano tra di loro. Si scambiano idee, a volte trovarsi d’accordo e altre no, sul modo migliore di servire quella carne prelibata che non conosce allevamenti intensivi. Come nel caso degli animali di Mairead Kirk e suo marito Martin che gestiscono una fattoria con circa cento capi di bovini: «Compriamo i bovini nel loro primo anno, anno e mezzo di età. Al momento dell’acquisto scegliamo quelli con il peso più basso così da poterli nutrire in modo eccellente e farli arrivare tra i 400 e i 500 kg rispetto a quando li abbiamo acquistati». La cura e il rispetto per l’animale è elevato: se non raggiungono il peso ideale vengono portati prima al pascolo in erba e, successivamente, per cento giorni, vicino al fiume.

Mentre gli chef ascoltano il racconto di Mairead e Martin, i bovini brucano erba in religioso silenzio, il loro sguardo è sereno, non c’è fatica nei loro occhi. Si muovono lentamente, in serenità e il merito è del "metodo paddock": «Gli animali vivono tutti nello stesso gruppo all’interno della nostra farm e mangiano sempre erba. Evitiamo di spostare i bovini da un gruppo all’altro, per farli vivere bene e renderli più docili cerchiamo di mantenerli sempre nello stesso gruppo». Qui di campanacci e fischietti non si vede nemmeno l’ombra e quando l’unico rumore che si sente è il battere della pioggia sull’erba e il respiro leggero degli animali, lo chef Pettenuzzo dice: «Sapete cosa mi ha colpito? L’assenza di fienili: in Italia è parte integrante della stalla, qui si percepisce che l’animale vive in un ambiente naturale».

Come cucinano gli chef italiani la carne irlandese

Il viaggio degli chef fa tappa alla Carlingford Oyster Company, una nota aziende irlandese che produce oltre tre milioni di ostriche l’anno. Come da tradizione, i molluschi vengono serviti agli ospiti dopo essere stati "bagnati" con un goccio di gin e accompagnati da Guinness freschissima. Una volta in cucina, invece, Sara Conforti, prende l'iniziativa e si lancia nella preparazione di una gustosa tartare di agnello. A seguirla è Daniele Repetti, chef del ristorante Nido del Picchio di Carpaneto Piacentino, che si cimenta con un classico delle realizzazioni a crudo: «Sta preparando una tartare di manzo perché è più banale», scherza Conforti che con maestria taglia, batte al coltello, e maneggia una carne finissima, speciale.

Oltre al manzo, l’Irlanda è famosa anche per la carne d’agnello. Gli animali sono allevati allo stato brado e si cibano di erba fresca, carici, eriche, fiori selvatici autoctoni. Ma come si condisce la carne cruda di agnello che generalmente viene usata per preparazioni cotte? Mostarda in grani e chutney che si usa per accompagnare i formaggi. «La carne di agnello è tendenzialmente sul dolce; quindi, la mostarda gli dà un po’ più di sapidità», dice Conforti. Tutti scherzano, sorridono, gli altri chef chiacchierano fra una Guinness e l’altra in attesa di assaggiare le tartare di carne irlandese. Si scambiano idee. «È giusto lasciarsi contaminare dalle proprie esperienze in giro per far sì che diventiamo anche promotori di un territorio diverso dal nostro senza andare a precludere nulla. Come avviene oggi un po’ anche con le contaminazioni asiatiche: salse, ingredienti, condimenti. Penso sia bello uscire a prescindere, divulgare e conoscere», dice Stefano Di Gennaro.

Carne irlandese in cucina

Mentre gli chef si sono spostati allo Slane Castle per partecipare a un barbecue a base di bistecche e costolette bagnate da boccali di birra scura, le chiacchiere si fanno più sciolte e si va al dunque: di cosa sa la carne di manzo irlandese e perché è pregiata? Al tavolo dei cuochi il pensiero è comune: ha una forte nota vegetale. Il merito è proprio dell’erba con cui vengono alimentati gli animali. E poi la marezzatura la rende morbida come nessuna altra carne. I morsi sono semplici, la masticazione facile.

Nella sala ristorante dello Slane Castle gli chef non perdono occasione di confrontarsi: «Io la carne irlandese di manzo la uso cruda o con cotture veloci, la tocco il meno possibile: entrecôte saltato e via, oppure tartare a crudo, carpaccio, sashimi di carne», dice Sara. «La carne alla griglia irlandese la serviamo senza sale, se la mangi al naturale è strepitosa», controbatte Alberto Canton; «La differenza con la carne italiana sta nella sensazione minerale, e nella sapidità: la carne irlandese la preferisco cotta perché rispetto alla versione cruda offre una sensazione leggermente più grassa, più marezzata», replica Federico Pettenuzzo.

La cena continua con le note dei musicisti irlandesi e una visuale spettacolare tanti dischi, l’autografo di Robbie Williams, la chitarra di Noel Gallagher, grammofoni usati come lampadari. L’anima del locale è presto rivelata. E fra il ricordo nostalgico di un castello storico che fu adibito a concerti di grandi come Bruce Springsteen, Red Hot Chili Peppers, Madonna, U2 e molti altri, le chiacchiere si fanno morbide, saporite, piacevoli quanto la carne di manzo.
È l’Irlanda, baby.

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