"La carne coltivata come i farmaci? È una bugia, nessuna base scientifica". Gli scienziati contro Coldiretti

19 Mar 2025, 15:12 | a cura di
Arriva la replica di 16 esperti italiani alla richiesta promossa da Coldiretti di regolamentare la carne coltivata come un farmaco. I motivi del no nella lettera firmata dagli scienziati

C'è chi la ritiene la nuova frontiera dell'alimentazione sostenibile, chi l'emblema dei cibi nocivi perché ultraformulati. Eppure sinora nessuno aveva mai paragonato la carne coltivata ad un farmaco. Succede tra le fila di Coldiretti, che ha indetto per oggi 19 marzo una marcia a Parma, promossa con lo slogan #facciamoluce, verso la sede dell'autorità europea per la sicurezza alimentare.  “Cibo dalle campagne non dai laboratori”, “Più ricerca medica”. E ancora “I cittadini europei non sono cavie”. Sono solo alcuni degli slogan levati nel corteo composto da circa 20mila persone con cui gli agricoltori hanno chiesto maggiore rigore scientifico verso la carne coltivata, da regolamentare come farmaco e non come alimento. Un appello che ha suscitato l'ira della comunità scientifica che ha risposto con fermezza in una lettera: «Tentativo preoccupante di delegittimare il lavoro della comunità scientifica indipendente».

Il nodo del contendere

La richiesta lanciata da Coldiretti all'Efsa, l’unica agenzia europea presente in Italia, è quella di far passare la carne coltivata attraverso gli stessi studi clinici e preclinici previsti per i medicinali. L’organizzazione agricola cita un documento non firmato apparso sul sito del Ministero della Salute, in cui alcuni ricercatori dell’Università di Tor Vergata avrebbero sollecitato l’introduzione di test obbligatori per i novel food, ossia i cibi innovativi proprio come la carne sintetica. Un fascicolo presente ma ancora aperto, che rimanderebbe a un tavolo tecnico interministeriale composto teoricamente da dieci membri, cinque di nomina tecnico - politica e cinque membri della Fondazione Aletheia, un think-thank su cibo e salute affiliato a Coldiretti - di cui tuttavia, secondo quanto riferito dalla divulgatrice scientifica Beatrice Mautino a la Repubblica, non ci sarebbe traccia.

La replica degli scienziati

Per tutelare la carne coltivata da pregiudizi antiscientifici, i ricercatori impegnati in Italia e in Europa hanno sottoscritto un documento congiunto. Si tratta di 16 esperti italiani, tra cui Alessandro Bertero dell'Università di Torino, Daniele Marchisio del Politecnico di Torino e Nike Schiavo, Presidente di Agricoltura Cellulare Italia APS, solo per citarne alcuni, che hanno firmato una dichiarazione per contestare le richieste di Coldiretti, definendo «privo di fondamento» equiparare carne coltivata e farmaci.

Secondo gli esperti, un accostamento simile è un errore. «Un farmaco può essere approvato pur avendo effetti collaterali noti, mentre l’EFSA autorizza solo prodotti a rischio zero», spiegano gli scienziati. In effetti, la normativa Ue sui "novel food" è già tra le più rigorose al mondo, con valutazioni che includono sicurezza, composizione e impatto ambientale. Inoltre, in base alla letteratura scientifica esistente sulle colture cellulari e sulla fermentazione di precisione - già utilizzata per prodotti come yogurt o lievito – il quadro regolatorio attuale non presenta delle criticità. Un motivo per il quale, secondo gli esperti, «la richiesta di studi clinici e preclinici non ha alcuna base scientifica».

L'appello alla politica

Gli scienziati accusano Coldiretti di «diffondere informazioni false e manipolate» per minare il lavoro dell’Efsa e il quadro normativo europeo. «Mentre Coldiretti invoca più scienza libera e indipendente, l'Efsa è già un ente tecnico e indipendente», si legge nella dichiarazione in cui i 16 evidenziano come la carne coltivata non sia di per sé «sintetica» ma un prodotto alimentare derivato da cellule animali, come il formaggio o il pane. Ecco perché nella lettera i ricercatori hanno lanciato un appello direttamente al ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida e al titolare della Salute Orazio Schillaci per chiedere di partecipare al confronto nazionale «affinché le decisioni si basino su evidenze scientifiche e non su pregiudizi».

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