Ecco come la comunità ebraica ha insegnato ai romani a mangiare i carciofi: tutta la storia del carciofo alla giudia

7 Apr 2024, 16:46 | a cura di
Specialità risalente al XVI secolo, è un piatto divenuto icona dell'antico ghetto ebraico della città eterna

Ci sono molti alimenti che hanno viaggiato e cambiato "nazionalità". Quelli durante la Diaspora ebraica, come i semi di sesamo, l'uvetta, e il cavolo cappuccio hanno contribuito a definire il sapore e il carattere di molti piatti ebraici in giro per il mondo. Ma niente come l'umile carciofo rappresenta così unicamente la cucina giudaico-romanesca.

Originariamente coltivata nei territori affacciati al bacino del Mediterraneo e in Nord Africa, la pianta del carciofo era un cibo abbastanza diffuso nell'antica Roma. Nei secoli successivi, però, ha perso popolarità. Questo fino a quando si è ricominciato a coltivarla in Spagna e poi in Sicilia, all'epoca della dominazione spagnola, durante il Medioevo.

Il carciofo alla giudia, star della cucina giudaico-romanesca da 500 anni

La zona del centro storico lambita dalla curva del Tevere, e nota come il ghetto ebraico, sorge accanto al teatro di Marcello e nasce sotto il papato di Paolo IV, che con una bolla nel 1555 stabilisce di fatto la segregazione dei residenti. A confluire nel ghetto sono anche gli ebrei sefarditi che, una volta espulsi dalla penisola iberica durante l'Inquisizione, si dirigono prima in Sicilia, dove sono introdotti al "fiore di cardo"; poi, dopo che l'Inquisizione raggiunge l'isola, la comunità ebraica ancora più a nord, portando con loro i carciofi. Arrivati a Roma si stabiliscono definitivamente.

 

L'usanza di consumare carciofi ha origine proprio nel ghetto ebraico di Roma tra il 1555 e il 1870, tradizionalmente preparati per Pesach, la Pasqua ebraica, teoria giustificata dalla stagionalità dell'ortaggio, che nella primavera vede il momento di maggiore crescita. Trecento e passa anni durante i quali la bolla papale chiude la comunità ebraica nella zona murata, e impone coprifuoco e restrizioni, impedendo ai residenti di godere di "lussi", come il consumo di certi ingredienti. I carciofi invece erano tra gli alimenti consentiti.
Così la comunità ebraica a insegnato alla popolazione romana come cucinare e gustare i carciofi. In breve tempo il carciofo diventa il protagonista indiscusso della cucina giudaico-romanesca. Come? Grazie all'abitudine tutta capitolina di friggere.

Come nasce la ricetta rinascimentale dei carciofi alla giudia

La tecnica di frittura, fondamentale per i carciofi alla giudia, è dovuta probabilmente alla professione più diffusa fra gli ebrei del ghetto. Molti di loro erano venditori ambulanti di cibo, una delle poche professioni che potevano svolgere. Vendevano i cosiddetti "pezzetti fritti", verdure e altri scarti, cibi relativamente facili da preparare e da consumare sul posto. Il primo street food! Questo metodo di frittura rendeva le pietanze kosher. Le leggi relative alla kashrut, che proibiscono di mescolare latticini e carne, hanno influenzato molte scelte culinarie nel ghetto, come il friggere cibi – carciofi compresi – nell'olio d'oliva, anziché nel burro. I carciofi “alla maniera dei giudei” diventano così uno dei piatti più popolari non solo all'interno del ghetto ebraico, ma anche al di fuori delle mura.

Il carciofo non è kosher

Adesso nel ghetto ebraico di Roma non c’è trattoria o ristorante che non li abbia in menu, anche fuori stagione. E pensare che nel 2018 il rabbinato centrale di Israele dichiarò che i carciofi alla giudia non erano un piatto kosher, dal momento che essendo consumati interi, c’era la possibilità che gli insetti si potessero annidare tra le foglie (infrangendo così una regola della Torah). La comunità ebraica romana si è fortemente opposta alla decisione, affermando che i carciofi romaneschi usati per la ricetta hanno foglie talmente aderenti l’una all’altra che è impossibile per alcun insetto penetrarvi.

Celebrazioni per il carciofo romanesco

Tanto è venerato il carciofo romanesco, che si celebrano festival e sagre in suo nome. A Roma da domenica 7 aprile fino a mercoledì 10 aprile, sulle tavole di oltre venti locali del ghetto ebraico e dei Rioni storici Trevi, Ripa e Campo de' Fiori si propongono menu a base di carciofi per la terza edizione del Festival del Carciofo Romanesco. A Ladispoli, invece, il 12, 13 e 14 aprile si tiene l'annuale Sagra del Carciofo Romanesco arrivata quest'anno alla 71esima edizione. Per chi invece desidera cimentarsi in cucina, è importante sapere che per realizzare i carciofi alla giudia la particolare maniera di "capare" i carciofi, è un requisito importante quanto la qualità del carciofo.

Come "capare" e friggere i carciofi alla giudia

Tutti i giorni fuori dal ristorante Giardino Romano, Giuseppe, aka il "maestro della pulizia del carciofo" allestisce il suo tavolino per mondare i carciofi da fare alla giudia. In una mattinata ne prepara svariate centinaia, offrendo una dimostrazione live delle sue abilità ai passanti. I carciofi sono i cimaroli (detti anche mammole) che sono i migliori esemplari della varietà "romanesco" coltivata tra Ladispoli e Civitavecchia. Caratteristiche: tondo, pesante e compatto, soprattutto privo di spine e con poca "barba". Ecco come si prepara il carciofo da fare alla giudia.


Le foglie esterne più coriacee vengono rimosse (ci si può fare una tisana o usarle per il brodo), con uno spelucchino a becco d'uccello, si eliminano poi la barba interna, le parti esterne del gambo e si monda tagliandolo a spirale, come sbucciare una mela, in modo da arrotondare la forma del bulbo. In frittura questa particolare tecnica permette all'olio caldo di far schiudere i petali del "fiore". Guai a tagliare troppo corti i gambi! I carciofi così preparati vengono lasciati in ammollo per qualche minuto in acqua acidulata con limone per evitare che si scuriscano.
La frittura è il momento cruciale: l'olio deve essere di prima qualità e i carciofi vanno fritti interi e capovolti. Fondamentale è la frittura in due tempi: prima in olio caldo per cuocerli a fondo, poi, dopo un breve riposino su carta da cucina, vengono fritti una seconda volta, in olio bollente per terminare la doratura. Ne risulta un carciofo croccante all'esterno e morbido all'interno, per nulla unto, caratterizzato da un sapore unico e inconfondibile. Pizzico di sale e via.

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