Negli Stati Uniti si fa largo la nuova cucina caraibica. Chef originari delle Antille, stanchi di eseguire ricette riflesso di un’impostazione classica, se non eurocentrica, decidono di mettersi in gioco per raccontare una storia culinaria diversa, più aderente alle proprie radici: una storia “americana con influenze caraibiche”. Tanto per confermare la vocazione cosmopolita e la natura sempre più eterogenea alla base della proposta gastronomica statunitense.
Inversioni di rotta
Negli ultimi anni si sta rinfoltendo la schiera di cuochi alla ‘scoperta’ delle tradizioni culinarie dei Caraibi. In particolare, delle singole isole (fra cui quella "italiana" di Aruba). Come riporta il New York Times, molti di questi chef che sono perlopiù americani caraibici di prima generazione formatisi attraverso i dettami della cucina classica, iniziano a specializzarsi sulle specifiche preparazioni di ciascuna isola e sulla loro evoluzione nel tempo. Alcuni, alla ricerca della propria identità ai fornelli, hanno abbandonato il percorso in ristoranti più prestigiosi e sofisticati, per esplorare le radici e l’eredità dei luoghi di origine. Così, dopo anni di lavoro presso raffinati locali europei di città come New York e Washington D.C., hanno imboccato una strada diversa ma coerente con il rispettivo retroterra. Emblematica la testimonianza dello chef haitiano americano Gregory Gourdet: “trascorrevo così tanto tempo imparando e cucinando le culture di altre persone, che non imparavo e condividevo la mia”; come del connazionale Chris Viaud (in riferimento al coinvolgimento e alla curiosità della clientela per la storia intorno a piatti come il pollo brasato in salsa creola): “risuonava davvero con l’essere fedele a me stesso”; o ancora della pasticcera Paola Velez: “(adesso) uso la cucina come un modo per trovare la mia identità”. La stessa, fondatrice di Bakers Against Racism, ha trovato la sua cifra stilistica solo successivamente quando al ristorante Kith and Kin è riuscita ad abbracciare appieno la propria eredità culturale adattando gli ingredienti dell’area dominicana alle basi tecniche della scuola francese, a partire dalla torta di carote con glassa al frutto della passione e dai bun al platano. E, a proposito di inversioni di rotta professionali, c’è anche chi ha sentito il richiamo della propria terra a tal punto da convertire il suo ristorante in una cucina incentrata esclusivamente sulle ricette del territorio di provenienza. Esattamente quanto fatto da Nelson German: trasformare il suo locale californiano in una proposta completamente dominicana.
La cucina delle isole
“La cucina è un luogo in cui possiamo ingrandire la nostra isola”. Parole della cuciniera del Trinidad e Tobago, nota sulla scena dining di New Orleans con il soprannome Queen Trini Lisa, e che si sposano con lo spirito di questa nuova corrente caraibica desiderosa di approfondire e divulgare le ricette isolane. In questa direzione, nessuno meglio dei fratelli Martinez può rappresentare il movimento. Con il loro Celeste a San Juan, aperto dal 2022, fanno un lavoro capillare sugli ingredienti locali attraverso una rete di produttori fidati, in primis pescatori. I diners vengono così ‘educati’ sulla ricchezza dell’isola, stupiti dal fatto che il tonno pinna gialla (loro servito) si possa pescare anche nei pressi del Porto Rico.
L’interpretazione della tradizione culinaria dei luoghi non è però rigida. Questi chef made in Usa ma contaminati dalla storia familiare sviluppatasi sulle sponde del Mar Caraibico donano piuttosto un tocco speciale alle pietanze. Una rivisitazione ‘locale’ viene per esempio data dal cuoco Tavel Bristol-Joseph al pepperpot guyanese che serve regolarmente presso l’insegna texana Canje. Lo stufato, considerato solitamente un piatto unico preparato con un brodo profumato e accompagnato dalla cassareep (succo tipico fatto a partire dalla manioca), viene qui realizzato con la carne di cinghiale; in questo caso, quella di una specie invasiva che si aggira per il Texas.
Comunità e cultura caraibica negli Stati Uniti (e non solo)
Gli americani caraibici costituiscono sì una minoranza del paese, ma non proprio esigua. Secondo i dati forniti da un think tank che analizza i flussi migratori, ovvero il Migration Policy Institute, il 46 % degli immigrati di colore degli Stati Uniti è proveniente dai Caraibi. Arrivano da circa 13 paesi, da un’area che va dalle Bahamas fino al Sud America. Negli Usa un ruolo cruciale per la diffusione di gusti e costumi delle isole è stato esercitato dalle enclavi caraibiche a New York e Miami (dove ormai si registra la più grande comunità cubana del paese), anche e soprattutto grazie al comfort food d’asporto (compreso quello giamaicano) preparato dagli immigrati degli anni ’70.
Sempre nel quadro “anglosassone”, risalta l’anima multietnica di Londra. La città, che vide a partire dagli anni ’40 una massiccia importazione di forza-lavoro dai Caraibi per far fronte nel dopoguerra alla carenza di manodopera, accoglie oggi in uno dei suoi quartieri gentrificati la più numerosa comunità di giamaicani al mondo. Non è un caso se il quartiere di Brixton sia noto anche come Little Jamaica; con platani e altra frutta delle Antille che ravvivano le bancarelle del suo caratteristico mercato. Per quanto riguarda la ristorazione, è proprio a un cuoco originario della Giamaica che si deve la comparsa del fine dining di impronta caraibica nel Regno Unito. L’executive chef Collin Brown da tempo fa della fedeltà alle proprie radici indigene un tratto distintivo della sua cucina.
I Caraibi rappresentano un insieme di arcipelaghi che sono espressione multiculturale consegnata dalla storia; influenzati per secoli dalle popolazioni autoctone e indigene, dal colonialismo europeo (non solo conquistadores), dalla schiavitù africana giunta tramite la tratta transatlantica e infine dalle successive migrazioni sudamericane (oltre che asiatiche).
Nonostante questa eterogeneità culturale, frutto di questo scambio fra popoli ed etnie nel tempo, l’area viene spesso considerata dal pensiero comune un monolite. Parimenti, questo pregiudizio investe anche la sua cultura culinaria. E una tale percezione comune viene ad appiattire di conseguenza il cibo caraibico. Identificato banalmente come fruttato o in grado di invogliare solo i turisti e ricondotto in modo semplicistico ad un’area macroscopica che tralascia le differenze fra le varie Antille.
Malgrado ciò, vista la spinta della nuova ‘avanguardia’ caraibica ai fornelli, i fiduciosi non mancano: “storicamente le cucine delle persone di colore non sono celebrate (allo stesso modo) nel mondo gastronomico. Ma questa cosa sta cambiando…”.