Un pranzo di Natale senza cappone? A casa di Giorgio Barchiesi, in arte Giorgione, non può proprio mancare, ma meglio se ripieno (qui la ricetta preparata passo passo sul Gambero Rosso tv), perché «Come lo faccio io, non lo fa nessuno». Inimmaginabile anche per Pellegrino Artusi, il grande maestro della cucina italiana, che nel suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene proponeva un menu ricco e articolato, con il cappone lesso come protagonista indiscusso. Era il 1891, ma già da secoli questa portata aveva conquistato il suo posto d’onore nelle festività natalizie, diventando simbolo di abbondanza e prestigio. Dal Medioevo fino alle nostre tavole moderne, il cappone non ha mai perso il suo valore culturale e gastronomico, unendo le famiglie nel giorno del 25 dicembre.
Perché mangiamo il cappone a Natale
Pellegrino Artusi non aveva dubbi: il pranzo di Natale doveva essere un inno alla carne. Il cappone, lessato o accompagnato da sformati, era il fulcro del suo menu natalizio, accanto a piatti come i cappelletti in brodo o il pasticcio di lepre. In un periodo storico in cui la carne era un lusso, consumarla durante le feste era un simbolo di celebrazione e di sacrificio economico, soprattutto per le famiglie meno abbienti. Il cappone, gallo che veniva castrato e poi fatto ingrassare, era una pratica già nota nell'antica Roma, per due obiettivi principali: mantenere l’armonia nei pollai, riducendo l’aggressività dei galli, e migliorare la qualità delle loro carni. Terzo, ma non ultimo, obiettivo, il risultato era una pietanza tenera e saporita, perfetto per i banchetti delle festività.
Il cappone come moneta di scambio
Nel Medioevo, la carne era un bene prezioso riservato ai ricchi, e il cappone divenne un piatto elitario, associato ai giorni di festa. La sua importanza era tale che spesso veniva utilizzato come mezzo di pagamento: contadini e mezzadri lo offrivano a medici, nobili e persino agli ecclesiastici come omaggio o compenso. La letteratura italiana, dai Promessi Sposi di Manzoni alle cronache storiche, è ricca di riferimenti al cappone come dono simbolico, spesso accompagnato da un messaggio di deferenza o strategia sociale. Con il Rinascimento, il cappone diventa status symbol delle tavole aristocratiche. Veniva ingrassato con cura e destinato ai banchetti natalizi delle famiglie più ricche, ma anche usato come dono per ingraziarsi i potenti. In questo contesto nasce la tradizione del cappone ripieno, cotto intero con un ripieno di carni, spezie ed erbe aromatiche. La preparazione era lunga e laboriosa: l’animale veniva continuamente irrorato con il fondo di cottura per garantire una carne morbida e succulenta.
Come si mangia il cappone in Italia
Ogni regione italiana ha reinterpretato il cappone, creando ricette che rispecchiano le tradizioni locali. Nel nord Italia, ad esempio, il cappone è spesso lessato o bollito, servito intero e accompagnato da salse tipiche come la mostarda o il bagnet verd piemontese. Mentre nel centro Italia, grande protagonista è il brodo, base per preparare tortellini, cappelletti e altre paste ripiene. Questo piatto, oltre a scaldare il corpo, aveva una valenza simbolica di purificazione e rigenerazione. Infine, in Campania e Abruzzo, il brodo di cappone si arricchisce con altri tipi di carne, diventando una pietanza opulenta e corroborante. Il brodo di cappone, in particolare, ha sempre goduto di una fama speciale: già nel Cinquecento, il medico e naturalista Ulisse Aldrovandi ne elogiava le proprietà ricostituenti, descrivendolo come un elisir capace di restituire forza anche ai malati più gravi.
La ricetta di Giorgione
Ingredienti per 4 persone:
- 2 kg di cappone grande, ruspante, biologico, già pulito
- 400 grammi di salsiccia di maiale
- 4 fette di pane bianco ammorbidite nel latte
- 4 fichi secchi e 4 prugne denocciolate
- una mela
- scorza di limone q.b
- sale e pepe q.b
- 10 fette di guanciale
- sale grosso q.b sulla superficie del cappone
- un arancio tagliato a fettine per guarnire