Il cappero, il bocciolo del fiore della Capparis spinosa, è il piccolo contrappunto sapido capace di fare la differenza in ricette come pizza di scarola, vitello tonnato, spaghetti alla puttanesca o in una semplice insalata estiva. Quando i boccioli si schiudono si aprono dei fiori bianchi con al centro un cespuglietto di stami viola-fucsia, che aggrappati su mura antiche, pareti rocciose e muretti a secco, regalano uno spettacolare colpo d’occhio.
Capperi, che pianta!
Il cappero non è l’unico figlio di questo arbusto diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna alla penisola arabica, passando per il sud Italia, le nostre isole maggiori e il Nord Africa. C’è il cucuncio, il frutto del cappero che nasce dopo che è sbocciato il fiore, una bacca allungata soda e carnosa ideale come finger food per stuzzichini e antipasti. Ci sono le foglie, con la versione essiccata che rappresenta un bocconcino croccante, leggerissimo e divertente, perfetto per il classico aperitivo. Altro che patatine fritte in busta! La Nicchia, storico capperificio di Pantelleria, del famoso prodotto agricolo dell’isola chiude l’intera filiera, dalla terra al barattolo, lavorando pure di notte, e propone tutti i figli della pianta: il cappero appunto, dal 2010 protetto anche da una Igp, il cucuncio, le foglie e perfino i germogli. Su questi prodotti base si gioca un assortimento che si arricchisce delle varie declinazioni su tema e si moltiplica in diverse linee: sotto sale, in olio, in aceto, essiccati, sotto forma di creme spalmabili e protagonisti in una ricca gamma di specialità insieme ad altri compagni di viaggio (origano, olive, pomodori secchi, mandorle, acciughe…). A completare la gamma dei prodotti origano di Pantelleria, uva passa zibibbo, vari paté e pesti, marmellata di arance e confetture ai sapori dell’isola, Passito di Pantelleria.
La storia della Nicchia di Pantelleria
L’azienda agricola con il capperificio, il luogo storico di questa realtà rurale pantesca, è situata in contrada Scauri ed è stata creata nel 1949 da Antonio Bonomo e Girolamo Giglio, successivamente passata dai figli dei fondatori a Gabriele Lasagni, l’attuale titolare di quella che oggi è una delle punte di diamante della produzione di capperi nella Perla Nera del Mediterraneo. «Per completare la filiera – spiega Lasagni – nel 2010 abbiamo acquistato il marchio e il laboratorio da Gianni Busetta (titolare del ristorante La Nicchia, ndr), in via Stufe di Khazzén; accanto abbiamo allestito il Museo del Cappero». Il prodotto di punta aziendale è il cappero, proposto di ogni dimensione, pezzatura, confezione, tipo di lavorazione e conservazione: piccoli, medi e grandi, sotto sale marino, in aceto di vino bianco, in olio evo, croccanti, in polvere, Igp Cappero di Pantelleria, biologici (provenienti solo dai terreni aziendali), fino ai capperi “spaziali”, ossia liofilizzati «per le missioni spaziali», straordinariamente friabili, ideali per aperitivi insoliti e per un’esperienza – assicura Lasagni – gastronomica. Sicuramente l’esperienza è garantita dai capperi Igp, minuscoli e compatti, con un meraviglioso profumo vegetale e salmastro che richiama il mare, le rocce arroventate dal sole e scolpite dal vento e dalla salsedine, l’alloro e il rosmarino selvatici.
Nelle foglie di Capparis spinosa il futuro della produzione?
Ma la vera sorpresa sono le foglie. «È un ottimo condimento – spiega il titolare di La Nicchia – un prodotto completo: sapore, consistenza, geometria». Quelle sotto sale sono «amate da chef stellati». Quelle in olio evo sono ideali per condire e guarnire le pietanze, o da fare fritte in pastella. Le foglie croccanti sono perfette da sbriciolare in zuppe, minestre e consommé e soprattutto come chips per aperitivi, una formidabile alternativa alle patatine fritte in busta: più buone, più sane e veramente – letteralmente – leggere. «La foglia del cappero non appartiene alla tradizione dell’isola, è un prodotto nuovo nato dall’esigenza di ottimizzare i costi della produzione dei capperi. Oggi si può anche guadagnare da questa parte della pianta – aggiunge Lasagni – Il nostro slogan è “stiamo costruendo il futuro del cappero”. Ma questo futuro lo vedo grigio, ci sono tanti nodi ancora da sciogliere».
Cambiamento climatico e manodopera
I problemi intorno a questo prodotto rustico, ricco di sapore e virtù nutraceutiche grazie all’alto contenuto di quercetina, sono tanti e complessi. «Non usiamo aromi e conservanti, tutto molto naturale e molto semplice. Ma in realtà produrre a Pantelleria è assai complicato – spiega Gabriele Lasagni – in campo e nel laboratorio la meccanizzazione è difficilissima: nel cappereto bisogna andare con trattori spinti a mano, non c’è acqua e il vento strappa tutto quindi niente serre. Siamo in balia della natura e degli eventi atmosferici». Un altro problema è l’età media dei produttori, molto alta. «I giovani non sono incentivati a fare questo lavoro. I piccoli contadini panteschi raccolgono 50-100 chili di capperi l’anno e non sono interessati a sottoporsi ai controlli dell’Igp. Noi paghiamo la differenza ma su quantitativi così piccoli poche centinaia di euro non spostano l’economia della famiglia». E qui si scivola nella nota dolente della manodopera. «È un problema che abbiamo da oltre 20 anni. Avevo cercato persone in Marocco, grandissimo produttore di capperi – racconta Lasagni – ne avevo trovate 5 pronte a venire a Pantelleria per lavorare nella nostra azienda agricola. Avremmo pagato il viaggio, dato vitto e alloggio. Loro erano interessati. Questo lavoro sarebbe stata una risorsa economica per se stessi e le proprie famiglie, con uno stipendio mensile di 1.500 euro senza spese avrebbero potuto mettere i soldi da parte da inviare in Marocco. Poi quando tutto era pronto per farli venire qui ci sono stati intoppi burocratici…».
Anche la lavorazione non scherza. «Per il cappero non esiste un’attrezzatura specifica come per il vino, l’olio o il pomodoro. Lavorando su una materia prima salata usiamo l’acciaio, che comunque richiede manutenzioni costanti. A Conegliano abbiamo acquistato una vasca per il lavaggio delle verdure e l’abbiamo adattata al cappero mettendoci denaro, ore di tempo, pensieri. A distanza di neanche due anni e con un investimento di 65mila euro è quasi inutilizzabile: la salamoia danneggia anche l’acciaio inox AISI 316».
La produzione di capperi 2023
Ultimo ma non per importanza: il cambiamento climatico, che non risparmia neanche Pantelleria, anzi aggrava la siccità che da sempre è uno dei grandi problemi dell’isola. «La campagna 2023 ha dato il 42% in meno di produzione, ma non tanto per la siccità – precisa Gabriele – il cappero è una pianta che cresce in aridocoltura. La maggior parte dei terreni va in produzione a fine maggio-inizio giugno. Lo scorso anno a febbraio e marzo, mesi in cui di solito ci si aspetta la pioggia, le temperature erano estive. A maggio e giugno, quando ci sarebbe bisogno di molto caldo, le temperature non erano così elevate quindi nel periodo clou le piante erano ferme, poi a luglio sono partire e qualcosa si è raccolto a settembre, ma il grosso è stato perso».
Il 2024 è un anno anche peggiore, aggravando l’estrema fragilità dell’ecosistema agricolo di Pantelleria. «I giorni a ridosso di San Giovanni sono quelli normalmente di maggiore raccolto dei capperi, ma quest’anno la situazione è drammatica, per il cappero e soprattutto per l’origano: produzione pari a zero. Quale sarà il futuro agricolo di Pantelleria, e del cappero in particolare?». Forse proprio la foglia. «A causa dei capricci del clima i fiori della pianta stentano e non arrivano al bocciolo, ma la foglia no, cresce rigogliosa e carnosa. La loro raccolta è un incentivo in più per mantenere in piedi una situazione precaria e una produzione faticosa – conclude Lasagni – soprattutto per i contadini indecisi se continuare o abbandonare i terreni».