È italiano il nuovo chef presidente dei Jeunes Restaurateurs (JRE): «Esporteremo il nostro modello in Europa»

1 Lug 2024, 11:45 | a cura di
Uno chef di Conegliano Veneto guiderà la prestigiosa associazione che riunisce oltre 400 ristoratori da 16 paesi europei

Nel week-end che ha visto l'uscita ignominiosa degli Azzurri dagli Europei di calcio, uno chef italiano diventa il nuovo presidente dei Giovani Ristoratori Europei. Si obietterà: parliamo dopotutto di una delle innumerevoli associazioni private che rappresentano una nicchia nell'ambito del mondo della cucina. E invece la designazione di Daniel Canzian alla guida, per i prossimi cinque anni, degli oltre 400 Jeunes Restaurateurs (JRE), che appartengono a ben 16 paesi diversi, è una buona notizia anzitutto per il "sistema Italia", che almeno in questo settore dimostra in Europa la sua indubbia vitalità, dopo già la presidenza, precedente a quella che si sta per concludere a guida svizzera, di Ernesto Iaccarino.

Un mandato, questo, che impegnerà lo chef nato 44 anni fa a Conegliano Veneto (TV) e titolare del DanielCanzian Ristorante di Milano, due forchette per la Guida del Gambero Rosso, a dare un contributo, si spera rilevante, a un comparto come quello dell'alta cucina legata alle nuove generazioni, che vive costantemente sotto i luccicanti riflettori dei media, ma che non di rado dà l'idea di girare a vuoto se non  addirittura a essere spesso "in cerca d'autore". Abbiamo raggiunto il neo presidente Daniel Canzian mentre si trova impegnato al congresso nazionale dei JRE austriaci, in occasione dei 20 anni della loro adesione, e gli abbiamo posto alcune domande sulle sue prime mosse alla guida dell'associazione.


Presidente Canzian, con quale mandato è stato eletto?

Con quello di valorizzare i paesi e le loro differenti identità e culture. Sono fermamente convinto che la nostra ricchezza risieda nelle peculiarità di ciascun paese. Per questo intendo ridare forza e valore ai presidenti delle varie nazioni.

Per far che cosa?

Prendiamo un esempio critico: la difficoltà del reperimento del personale. Un problema che oggi è di tutti: vale per noi come per l'Austria o la Svizzera o l'Olanda, insomma è dappertutto. Sedermi attorno a un tavolo con i presidenti dei vari paesi, sotto la veste di presidente designato per creare dei veri e propri team building, significa tentare di trovare una strada intelligente per uscire da questa situazione. Un'associazione come la nostra può parlare agli istituti scolastici dicendo loro che siamo l'unica associazione a livello planetario che può muovere cuochi provenienti da 16 nazioni diverse, in grado cioè d'intercettare ma soprattutto di formare le nuove leve. E questo è un valore che intendo spendere.

Quale sarà l'obiettivo più ambizioso della sua presidenza?

Uscire dal continente Europa e diventare intercontinentali. Se c'è un ragazzo giovane e talentuoso che sta cercando di emergere a Hong Kong piuttosto che a Rio de Janeiro perché non può entrare in JRE? In realtà l'obiettivo rimane lo stesso: individuare e aiutare chi vuole e deve emergere.

Qual è il punto di forza di un'associazione così articolata e dalla lunga storia (nata com'è cinquant'anni fa nel 1974) come JRE?

La sua forza sta proprio nella sua forza (ride, ndr). Al di là del gioco di parole, se per esempio c'è da organizzare un evento planetario importante che parli di cultura europea, anche gastronomica, negli Stati Uniti, noi abbiamo la possibilità di muoverci rappresentando appunto 16 paesi e coordinandolo dalla A alla Z.

JRE è un club esclusivo, cui in molti ambiscono a entrare. Che cosa può dare, invece, JRE a quel mondo che pur ruotando attorno alla cucina, ed è predominante, sta però fuori dall'associazione?

Lo può contagiare positivamente con un modello che mette al centro le tradizioni e le eccellenze (con le sue innumerevoli filiere di qualità) di ciascun paese. Io credo che la forza di JRE consiste nella sua capacità di rinnovarsi. E non può che essere così per un'associazione formata da giovani ristoratori, da cuochi cioè che non potranno rimanerci a vita, ma solo per un periodo limitato della loro storia professionale. E dunque se ci sono dei princìpi che fanno parte del nostro statuto e che devono essere accolti dagli associati, nondimeno è sempre più importante che ciascuno degli affiliati porti all'interno la propria esperienza e la propria storia. Così manteniamo viva l'associazione e insieme ci confrontiamo con chiunque: valorizzando la biodiversità tanto delle materie prime che ... delle persone.

 


Qual è invece il modello da non seguire?

Quello dell'omologazione. Io penso che una volta raggiunto un livello necessario di competenze tecniche valide ovunque, ciascun cuoco debba esprimere la propria personalità. Non deve rimanere impigliato in decaloghi imposti dall'alto - e poi da chi? - che lo obbligano a servire un determinato ingrediente o un piatto a un certo punto del menù. Noi dobbiamo puntare all'individualità, legata alle tradizioni e alle storie di ciascuno. La Bulgaria e la Romania, per fare un esempio, sono appena entrate in JRE con un obiettivo ben chiaro: sono due nazioni che vogliono presentare e preservare la loro identità. Non vogliono farsi influenzare.

Cosa ha in mente?

Per tornare ai tavoli di dibattito che intendo promuovere coi presidenti dei vari paesi, mi piacerebbe che ci interrogassimo di più su questi temi: dove ci stiamo dirigendo? Gli influssi orientali, ad esempio, che tanto abbiamo decantato grazie a un processo di globalizzazione, ci stanno avvantaggiando o impoverendo? È ovvio che le tecniche che abbiamo apprese in questi decenni le abbiamo fatte nostre, ma io credo che debbano servirci a enfatizzare le identità. Con sano spirito di appartenenza, noi dobbiamo essere orgogliosi delle tradizioni e dei piatti che fanno parte della nostra storia. Andare nello Schwarzwald, nella Foresta Nera, e trovare dei piatti tipici è oggi un dato di fatto. Noi dobbiamo però essere molto più abili a presentare questo modello ovunque.

Che ruolo avrà il nostro paese sotto questa presidenza di nuovo italiana?

Quello di una continua ispirazione. L'Italia con la sua ricchissima biodiversità, unica nel suo genere, rappresenta per me il modello vincente da estendere anche in Europa.

Spesso l'alta ristorazione si trasforma per tanti cuochi (giovani e non) in un'avventura senza ritorno: non crede che molti di loro sono impreparati a dare una veste economicamente sostenibile alle loro pur legittime ambizioni?

Non dobbiamo avere paura di dire quali sono le criticità del nostro settore e dobbiamo farlo senza vergognarci. Per poi naturalmente cercare d'individuare delle soluzioni. Dobbiamo ad esempio batterci affinché ogni cuoco che concepisce il suo menu abbia ben presente il business plan della sua stessa carta. Queste nozioni venti anni fa forse non erano necessarie. Ora sono fondamentali.

Non teme che questo carico di lavoro e di responsabilità influenzerà, in negativo, il suo ristorante che la vedrà giocoforza meno presente?

Assolutamente no, perché questa mia nuova veste avrà sì un'influenza, ma un'influenza che sarà positiva: i miei collaboratori stanno già sviluppando da tempo le loro attitudini al meglio. L'evoluzione di una grande tavola, del resto, deve avvenire attraverso una strutturazione sempre più intelligente e complessa delle forze che vi lavorano: più responsabilità, migliore utilizzo del tempo, aggiornamento continuo.

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