Quando Donald Trump qualche giorno fa ha fatto la sua apparizione in un McDonald’s della Pennsylvania, facendo finta di servire hamburger & chips, secondo gli analisti il suo intento era di prendere in giro Kamala Harris, che tempo fa dichiarò di aver lavorato al McDonald’s negli anni ’80, mentre frequentava il college: Trump, senza prove, da sempre sostiene che non sia vero e che la Harris sia una bugiarda. Allo stesso tempo, però, secondo quanto dichiarato a Eater da Adam Chandler, autore di Drive-Thru Dreams, libro che analizza la cultura statunitense attraverso la lente del fast food, il fatto che Donald Trump mostri alla gente comune che ama le patatine fritte (come la maggior parte dei suoi connazionali) è probabilmente significativo per una certa parte del paese.
L'importanza di mangiare in pubblico
A parte il caso McDonald’s, la visita in ristoranti e fast food è diventata un punto fermo delle campagne elettorali statunitensi, perché, come osservato sempre da Eater, mangiare in pubblico resta ancora oggi una delle azioni più umane, normali e vere che un politico possa fare. Attraverso la scelta del ristorante e di cosa mangiare, però, i politici possono anche comunicare – inconsapevolmente, a volte - le loro convinzioni su classe, razza, religione. Non deve sorprendere, quindi, che la scelta di quali insegne visitare sia frutto di una vera e propria strategia politica, che spesso include sopralluoghi e verifiche sulla storia del locale e dei suoi proprietari e che può mettere un partito politico in connessione con una parte precisa della comunità.
La campagna democratica
Per questo vediamo i politici statunitensi mangiare alle fiere del bestiame o assistiamo a episodi specifici, come quello raccontato da un ristoratore afroamericano del North Carolina: lo scorso giugno un gruppo di uomini in giacca cravatta e occhiali da sole si è presentato a mangiare nel ristorante Mike D's BBQ a Durham, era un sopralluogo dei servizi segreti e infatti qualche giorno dopo, il locale sarebbe diventato lo scenario di una cena di Doug Emhoff, marito della vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, con altri politici democratici, durante il Juneteenth, Giornata dell'Indipendenza, festa che commemora la liberazione degli schiavi afroamericani. Quella di East Durham è una comunità storicamente nera, per i democratici farsi vedere quel giorno in quel ristorante è stato un modo per mostrare che hanno a cuore la causa. Emhoff quella sera ha chiesto anche di vedere gli affumicatori e il brisket in cottura (con tanto di foto ricordo).
Qualche giorno fa, Kamala Harris, che ha mostrato di avere un legame più profondo con il cibo di tutti i suoi predecessori, ha fatto tappa al 4th Street Delicatessen di Philadelphia, per prendere un pastrami di pane di segale a portar via. Nel mentre strette di mano ai clienti del locale e discorsi kennediani su quanto gli elettori abbiano più cose in comune che differenze. I titolari del locale hanno commentato così su Instagram: «Ieri abbiamo continuato la tradizione di accogliere personaggi politici nel nostro deli prima del giorno delle elezioni per incontrare e connetterci con la nostra incredibile comunità e i nostri clienti. È stato un onore ospitare la vicepresidente Harris e il suo team». Avvenimenti simili pure alla gelateria Ted and Wally di Omaha, in un quartiere creativo centro della politica liberale in Nebraska, punto di partenza importante per scalfire il potere repubblicano nello Stato.
È sempre vantaggioso per un ristorante essere sotto i riflettori?
Se molti ristoratori sono felicissimi di essere scelti dai politici che stanno per essere eletti, alla domanda, che parrebbe retorica, tocca rispondere di no. Il problema sorge, ad esempio, se il patron del locale scelto da questo o quel candidato non è allineato con le idee del politico in questione. Oppure se non vuole schierarsi pubblicamente davanti ai propri clienti e rimanere neutrale. Molti ristoranti sono stati presi di mira per aver ospitato politici: il McDonald's dove Trump ha organizzato la messinscena di cui parlavamo è stato inondato di recensioni negative su Yelp e sempre Trump, nella scorsa campagna elettorale, causò un boicottaggio al Sammy's Mexican Grill di Catalina, in Arizona (e qui scatta immediatamente il parallelismo italiano sull'effetto Salvini per alcune aziende del settore).