I mandorli già in fiore fanno presagire la primavera alle porte, soprattutto al sud. Ma siamo ancora a febbraio e il clima così mite non è un bene per l'agricoltura: l'effetto Sakura, forse romantico, è moto preoccupante. «I cambiamenti climatici che danno queste stagioni anomale portano squilibri in tutte le colture, sia orticole che fruttifere», conferma Francesco Castelluccio, referente politiche ambientali e agroambientali di Cia, Confederazione Agricoltori Italiani.
Uva, olive e frutta a guscio: le colture più a rischio
«Le nostre colture sono tutte un po' a rischio, perché da clima mediterraneo stiamo diventando quasi subtropicale, e le piante cercano di mettere in atto una serie di difese per proteggersi». Parla di attacchi di malattie, funghi e insetti. «I danni maggiori li possono avere l'uva da tavola e da vino, olive, frutta a guscio, soprattutto nocciole, poi castagne, e se torna il freddo con gelate tardive, anche pesche. Le stesse colpite dalle alluvioni in Emilia Romagna dello scorso anno».
Veniamo da una annata tragica per il comparto agricolo: forti piogge, alluvioni, peronospera hanno compromesso i raccolti, reso complicati gli interventi anche per le normali pratiche agricole di difesa per la difficoltà a raggiungere i campi. Per alcuni prodotti la siccità nel periodo di sviluppo ha dato frutti piccoli, le abbondanti piogge in quello della raccolta, ha generato marciume. «Se torna il freddo e le piogge incessanti tutto quel che è pronto per la raccolta può deperire già in campo per il rigore invernale. Ovviamente le colture in serra sarebbero più tutelate».
La siccità è una minaccia già evidente, con corsi di acqua notevolmente più bassi della media, e se da una parte le precipitazioni fanno tirare un sospiro di sollievo, dall'altra incombe il rischio idrogeologico perché i terreni inariditi dalla mancanza di piogge non riescono ad assorbire abbondanti precipitazioni, con il conseguente pericolo frane: 9 comuni su 10 sono a rischio secondo Coldiretti.
Come un circolo vizioso, alluvioni ed eventi catastrofici generano una coda lunghissima, non solo il raccolto perso, ma anche gli impianti da ricostruire e i mercati dai quali si rischia di uscire per mancanza di prodotto. «E quelli non perdonano: se sei fuori puoi perdere per molto tempo una fetta importante di mercato, coperta da altri». A cascata i danni si riversano sull'intero indotto (come quello della trasformazione) e anche sui consumatori, che trovano meno prodotto sugli scaffali, talvolta di importazione, e con prezzi più alti, senza che di questi aumenti ne beneficino i coltivatori.
Quali sono i rischi di questo caldo?
«D'inverno le piante sono in una fase di dormienza in cui ci sono più difese nei confronti del freddo – spiega Castelluccio – invece, con queste temperature, viene meno l'esigenza di acquisire un fabbisogno in freddo che serve per produrre e vegetare meglio».
In breve, invece che arrestare lo sviluppo fenologico, la pianta entra in piena attività troppo presto, accelerando i processi vegetativi, perché con questo caldo prolungato percepisce che stiamo già in primavera. Il pericolo maggiore è un ritorno di freddo, con gelate tardive e piogge battenti, che potrebbe sorprendere i boccioli e compromettere sia la quantità che la qualità dei frutti, perché la pianta è più fragile ed esposta agli attacchi di agenti patogeni e insetti in arrivo da fuori, che possono superare i controlli fitosanitari. Le specie aliene trovano nelle nuove condizioni climatiche un habitat favorevole al loro proliferare.
L'esempio del granchio blu è impresso nella memoria. E ora, con l'aumento delle temperature, questi temibili predatori si sono risvegliati, tant'è che le 14 cooperative del Consorzio cooperative pescatori del Polesine hanno deciso, loro malgrado, di sospendere l'attività per mancanza totale di vongole, e anche in Emilia Romagna, tra Goro e Comacchio l'allerta è già scattata, mentre fino al 22 marzo si possono presentare le richieste per i accedere ai fondi per contrastare il suo proliferare.
Il risveglio delle api
Coldiretti lancia l'allarme: le api si sono risvegliate in anticipo, “ingannate” dal caldo anomalo di questo febbraio. Sarebbero 50 miliardi gli esemplari in volo fuori stagione, che rischiano di morire di freddo se sorpresi fuori dalle arnie quando le temperature si abbassano. Non solo: le fioriture (per quanto anche loro anticipate) non sono sufficienti al sostentamento delle api, cui gli allevatori devono provvedere con una alimentazione zuccherina. A rischio non è solo la produzione di miele, che già lo scorso anno si stima sia stata una delle peggiori degli ultimi 10 anni, ma anche quella di tutte quelle colture che dipendono da questi impollinatori.
Cosa fare?
La soluzione a questa situazione ovviamente non è immediata: invertire l'andamento del cambiamento climatico è un processo difficile e a lungo termine. Quello che si può fare è porre dei freni. Ma quali? «Come confederazione siamo impegnati nel promuovere la gestione del rischio, cercando di prevenire gli effetti dei cambiamenti climatici, non solo con strumenti emergenziali come il ristoro per il danno dato dalle calamità. Da tempo chiediamo un piano strategico nazionale agricolo di larga veduta con l'adozione di normative tipo la Legge Quadro sul consumo di suolo, che è ferma dal 2012. Fondamentale limitare il consumo suolo, servono invasi e piccoli laghetti anche aziendali che possano raccogliere acqua nei momenti di maggiore precipitazione da usare per frutta e orticole in momenti di siccità. Inoltre studi evidenziano che suoli utilizzati per uso agricolo o verde urbano abbattono anche di 3 o 4 gradi la temperatura ambientale, il verde mitiga il caldo percepito, senza considerare i vantaggi per combattere i gas serra. Bisogna poi cercare di istruire nuove tecniche agronomiche».