«Che è?» chiede con il suo linguaggio disinibito Lidia Poët, una bravissima Matilda De Angelis che interpreta con rispetto la prima avvocata d’Italia nella serie Netflix La Legge di Lidia Poët, dal 30 ottobre presente con la seconda stagione. La brodaglia che il giornalista (e amato) Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta) versa nella tazzina di porcellana all’aspirante avvocata ha un aspetto liquido e misterioso. Siamo nella Torino di fine Ottocento, proprio là dove è nata la macchina espresso di Angelo Moriondo (era il 1884), e quello offerto all’aspirante avvocata è un caffè fatto in casa con l'antica cuccumella (già presente da inizio Ottocento). Dall’espressione incuriosita di Poët – che fino a quel momento avevamo visto solo sorseggiare il tè, tantissimo tè – si capisce che non è affatto una bevanda comune.
La scoperta del caffè
«Che è?». «È caffè» risponde Jacopo sorridente, «ti rimette in vita, fidati». Insieme, stanno lavorando al caso che fa da filo conduttore a tutti gli episodi della seconda stagione, li aspetta una lunga notte di studio e una grande pila di appunti dalla pessima grafia da decifrare. Jacopo conosce già gli effetti della caffeina sul corpo umano, e attende trepidante la reazione di Lidia, che dopo il primo sorso non può fare a meno di sorridere. «Mmh…» esclama compiaciuta, senza lasciarsi andare a troppi complimenti, ma non riuscendo a trattenere una risata beffarda. I due finiscono la tazzina in silenzio, con la bottiglia di cognac già aperta che li accompagnerà per diverse ore. E quello sarà solo il primo di tanti caffè sorseggiati dall’avvocata.
Chi era Lidia Poët, la prima avvocata italiana
La serie è romanzata, ma Lidia Poët è realmente esistita: laureata in giurisprudenza nel 1881 con una tesi sul diritto di voto per le donne, iniziò a farsi le ossa con l’avvocato Cesare Bertea a Pinerolo. Finito il praticantato, era pronta per iscriversi all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino, ma la sua richiesta venne ostacolata da diversi uomini. Alla fine, quando fu accolta, questi si dimisero per protesta, e il 9 agosto 1883 Lidia Poët divenne la prima donna italiana ammessa all’esercizio dell’avvocatura. La sua storia, con qualche intreccio amoroso in più, costumi azzeccatissimi e un bel cast (ottima l’interpretazione di De Angelis), viene raccontata nella serie tra un caso e l’altro che Lidia risolve con arguzia, nonostante la sfiducia da parte del mondo maschile: «Se Dio ti voleva avvocato, non ti faceva donna».
L'espresso nato nella Torino di Lidia Poët
Il look è un punto forte della produzione (oltre ai costumi, il trucco così identificativo per l’avvocata, che riprende i puntini della dieresi del cognome ai bordi degli occhi, è un tocco di classe) ma La Legge di Lidia Poët non è un Bridgerton all’italiana: alcuni dettagli storici sono piuttosto accurati, come la Mole ancora in costruzione, e anche la scoperta del caffè. Al tempo, quello fatto in casa cominciava a divenire più popolare, e nel frattempo nasceva l'invenzione che ha fatto la storia dei bar italiani: la macchina espresso. Pioniere, dicevamo, è stato Moriondo, che però non pubblicizzò mai l'innovativo strumento. Nel 1901, il milanese Luigi Bezzera rivide il progetto e presentò la macchina agli operatori del settore, destando la loro curiosità. Il brevetto passò nel 1902 in mano a Desiderio Pavoni, fondatore dell'azienda meneghina La Pavoni s.p.a.: a questo punto, la macchina per espresso in ottone cromato chiamata Ideale iniziò a essere prodotta in serie.
Fondamentale fu l’intervento di Pier Teresio Arduino, che nel 1905 iniziò a curare anche il lato estetico e quello del barista milanese Achille Gaggia, che nel '38 introdusse un meccanismo a pistoni che spingeva l’acqua attraverso la polvere di caffè ad alta temperatura. Era fatta, era nata la prima macchina espresso a pressione.
Il caffè con la cuccumella ai tempi di Lidia Poët
Ai tempi di Lidia Poët, quindi, il caffè espresso era ancora tutto da inventare. La cuccumella ritratta nella serie, invece, esisteva già da decenni grazie a tre stagnini francesi, i saldatori dell’epoca. Il primo fu Hadrot, che nel 1806 inventò un modello di caffettiera simile a quello che oggi conosciamo, il secondo fu Sené nel 1815, che realizzò una macchinetta in latta con bollitore, filtro e caffettiera, tenuti insieme da due morsetti di rame. Nel 1819, poi, un altro stagnino, Jean-Louise Morize, realizzò la prima caffettiera in rame, materiale ben più pregiato della latta.
L’invenzione si diffuse presto nel resto d’Europa e per moltissimi anni la caffettiera fu l’unico sistema casalingo per preparare la bevanda in Italia, parecchio antecedente alla più famosa moka. Il nomignolo napoletano cuccumella è un diminutivo di cuccuma, termine usato per indicare un vaso di rame o terracotta.